Pagine

lunedì 19 novembre 2007

Occitani in Liguria? (7)

I vecchi lettori di questo blog sanno di cosa sto trattando. I nuovi, se vogliono capire , devono andare a questo post e si faranno un'idea.

Ci sono novità, non da parte della Provincia di Imperia, che sulla questione, almeno per quanto ne so, se sta rannicchiata in se stessa come un riccio pauroso, ma da parte dei professori, gli unici che possono mettere una pietra tombale a questa vicenda che ha assunto i tratti di un paradosso linguistico.

Il giorno 16-17-18 novembre si è svolto a Bolzano il Convegno di Studi "Garibaldi e l’identità nizzarda – Garibaldi und Nizzas Identitaet". Nel consesso è stato emesso questo O.d.G che verrà inviato a tutte le autorità competenti sulla materia, in primis la Provincia. Il documento riafferma in maniera ormai incontrovertibile che l'occitanità incautamente e irresponsabilmente dichiarata di alcuni paesi della Liguria occidentale è un'assurdità che va corretta senza indugio.

Vedremo se finalmente il riccio si schiude.

275 commenti:

  1. Ma che bella figura i nostri politici provinciali, hanno aspettato tanto che sono riusciti a farsi prendere per il... naso anche a Bolzano. Speriamo che quando leggeranno questo documento si decidano una buona volta a dire la loro

    RispondiElimina
  2. Sarebbe ora che le togliessero le Province. Un branco di inetti, questo e altro non sono.

    RispondiElimina
  3. Pur essendo dipendente provinciale, vedo che le Province non brillano affatto, anzi. Ma non è che le Regioni siano meglio. Il problema vero sta negli amministratori, e nel loro bassissimo livello (culturale, etico, eccetera). Va però detto che la classe politica non sta in un mondo a parte e neppure è stata calata dal cielo, ma è semplicemente l'espressione della maggioranza degli italiani, che regolarmente la elegge. Di tanti, troppi italiani che ritengono più meritorio essere furbi che onesti, e via dicendo: esattamente come negli anni Ottanta, di malaugurata memoria. Altrimenti, visto che sono stati appunto eletti, i politici sarebbero altri. Nessun popolo "buono" elegge politici "cattivi", e viceversa.
    Insomma,abbiamo quel che ci meritiamo, o almeno quel che si merita (e si è scelta) la maggioranza di noi. Senza più distinzioni morali, purtroppo, tra destra e sinistra. Anzi, ci si prepara una bella grossekoalition che ci garantirà immobilismo politico e aria asfittica per un po' di lustri...

    RispondiElimina
  4. che dire? ho letto l'ordine del giorno. sono in attesa anch'io di comunicazioni ufficiali.
    sono curioso di come andra' la vicenda e di come verra' classificato questo sottogenere "ligure alpino".
    Spero inoltre che un domani - se non e' gia' stato fatto - siano date spiegazioni sul perche' esistano tante differenze tra il ligure "genovese", parlato in buona parte della provincia di Imperia, ed il ligure "roiasco", che seppur classificato di matrice ligure pare un'oasi a se', stretta tra francia, liguria e piemonte.
    Si potrebbe dire: e' un dialetto di matrice ligure che pero' si stacca dal ligure "genovese"; cioe' presenta forti dissonanze con il resto del parlare della provincia di imperia?
    cordiali saluti

    RispondiElimina
  5. dire che ci siamo scelti i politici con l'attuale legge elettorale, mi pare un po' troppo :-).
    Io ho votato ad es. per un partito ma poi ho saputo che in parlamento e' entrato un'ex terrorista (che non avrei certamente votato!).
    Inoltre che i politici siano ignoranti e' risaputo. Ne possono essere competenti in tutti i campi.
    Ma - prendiamo il caso in questione - devono esserci degli organismi scientifici accreditati a cui demandare studi e ricerche, per poter fare leggi il piu' possibili conformi agli studi ufficiali, ed il meno possibili conformi agli interessi o umori politici.
    Perche' ad esempio - e lo chiedo ai professori - non esiste una classificazione ufficiale chesso' da parte del ministero per i beni e le attivita' culturali?
    Se io, autodidatta, scrivessi o aprissi un museo, sostenendo che gli abitanti dei balzi rossi erano della specie homo abilis, andrei contro le pubblicazioni ufficiali della soprintendenza archeologica della liguria (A. Del Lucchese - guida alle caverne ed il museo preistorico dei Balzi Rossi - Tipografia dello Stato).
    Cosi' dovrebbe essere per il patrimonio demo etno antropologico (per cui esiste un'apposita sovrintendenza), o no?

    RispondiElimina
  6. Caro Gianni, ci risiamo, guardi che il dialetto brigasco è già stato abbondantemente classificato come ligure, e nessuno studioso si prenderà mai la briga di mettere in discussione un dato di fatto universalmente accettato negli ambienti scientifici (se lo trova, vince una bambolina). Anche i motivi delle differenze tra il ligure occidentale (non genovese, che è un'altra cosa) parlato in gran parte della provincia di Imperia rispetto al ligure alpino di alcune zone dell'interno (comprese Realdo, Verdeggia e Olivetta) dovrebbero ormai esserle stranoti, oltrettutto sono stati chiariti abbondantemente da Forner in un suo intervento e non voglio ripeterli ancora. Quanto al resto, posso essere d'accordo, ci vorrebbe una specie di "authority" in campo linguistico che decida quali aree sono ammissibili a tutela e quali no in base a questa legge, anche se resto del parere che la legge andrebbe riformulata in maniera più aderente alle reali esigenze di tutela. Tuttavia, finché questa "authority" non esiste (e attualmente non esiste), e finché la legge esiste, qualsiasi studioso e qualsiasi cittadino ha il diritto di intervenire e di denunciare i casi di palese abuso come quello di cui stiamo discutendo ormai da mesi. Speriamo che una presa di posizione autorevole come quella del convegno di Bolzano serva a suscitare un minimo di interesse al problema da parte degli amministratori imperiesi, in fondo si chiede loro soltanto di dare ragione delle loro scelte e, se risultano basate su informazioni erronee, di modificarle. E' ovvio che se non ci sarà reazione neppure in questo caso le iniziative e le prese di posizione come quella del convegno di Bolzano saranno destinate a moltiplicarsi, ormai la questione ha assunto dimensioni macroscopiche e temo quindi che le scelte dell'amministrazione continueranno a essere messe in discussione ai più svariati livelli fino a che non ci sarà da parte dell'amministrazione stessa una chiara presa di posizione. Certo che finora hanno avuto un atteggiamento masochistico, rischiano di fare una pessima figura, soprattutto nei termini dell'"immagine" loro e della cultura locale che sostengono di voler tutelare. E visto poi che all'occitanità di Realdo ecc. ormai non ci crede più nessuno, vale il vecchio detto "errare è umano, perseverare è diabolico".
    Cordiali saluti, F.T.

    RispondiElimina
  7. La risposta alla domanda di Gianni è affermativa. Cercando su Wilkipedia si legge che il motivo per cui il dialetto olivettese è ostico a chi parla il ligure della costa e che (cito) "Nella regione delle Alpi Marittime le parlate liguri alpine si differenziano da quelle costiere per il mancato influsso del tipo genovese e per l'originale sviluppo di alcuni fenomeni fonetici e morfosintattici, che le hanno conferito tratti maggiormente conservativi e specifici".
    Quanto alla legge elettorale, è vero che non si potevano dare preferenze, ma le liste (col relativo ordine progressivo e quindi con le probabilità di venire eletti) le hanno fatte i partiti, ragion per cui votarli (e mi ci metto anch'io, purtroppo) ha voluto dire approvare il loro modo di fare, ed eleggere i personaggi da loro scelti (il cui elenco era leggibile ovunque). A parziale scusante c'era il fatto che non si poteva quasi far diversamente; vedremo adesso che legge elettorale faranno, ma ormai il grande abbraccio che si prepara tra il Veltro e la Lonza (di pel maculato e sghignazzante) rischia di schiacciarci tutti.
    Che tristezza!

    RispondiElimina
  8. In ogni caso, se stavolta la provincia non si muove c'è sempre la strada dell'esposto in prefettura e al TAR, che è già bell'e pronto. Mi pare di capire che al prof. toso questi metodi non piacciano, ma questa parte ci sono altri disposti a farla.

    RispondiElimina
  9. Finalmente un gesto concreto ed assai clamoroso da parte di importanti studiosi e storici su una questione di fondamentale importanza, che va bel al di là dell'occitanità o meno del brigasco. Qui si tratta della falsificazione o meglio dell'invenzione di un'identità!
    Dubito però che la Provincia si muovi!

    RispondiElimina
  10. Ho sentito gente in Riviera che intende boicottare ristoranti, alberghi e botteghe dei tre borghi "occitani" fino a quando i comuni non faranno marcia indietro. Se quella dell'occitano voleva essere una trovata per la promozione turistica mi sa tanto che l'hanno fatta grossa.

    RispondiElimina
  11. Penso che ormai al brigasco (ed alle sue varianti) occitano ormai non creda più nessuno, neppure coloro - per fortuna sono pochi! - che si ostinano a crederlo. Con questa magica parola "se ghe encia a bucca" (si riempiono la bocca). Fa trend la bandiera "occitana" (che occitana non è), fanno trend (oggi un po' meno) i balletti occitani (o supposti tali). Tutto questo sulla pelle degli ultimi "veri" brigaschi, non coloro che si professano tali, ma non lo sono. Uno di questi ultimi pionieri, realdese verace, è stato il grande Erminio Lanteri Motin, che sapeva pensare ed agire di conseguenza, senza abbandonarsi a facili entusiasmi o a propagandare stupide ed inesistenti ideologie o lingue.
    Speriamo che gli enti ai quali verrà inviato l'ordine del giorno facciano la loro parte.
    Speriamo anche che i giornalisti capiscano l'importanza del fatto.

    RispondiElimina
  12. Per il Giurista: ha ragione, non sono per natura propenso alle vie legali, anche se, a mali estremi, concordo che si debbano opporre estremi rimedi. Tuttavia sarei ottimista, mi risulta che l'ordine del giorno elaborato dai colleghi riuniti a Bolzano è stato inviato per via ufficiale attraverso l'Università di Genova, che è uno degli enti coinvolti nella gestione della 482/1999 per il suo territorio di competenza (quindi la Liguria), ed è stato spedito per conoscenza al ministero, ai comuni, alla prefettura ecc. Quindi una mancata risposta da parte della Provincia questa volta non sarebbe, come è stato finora, un semplice segnale di disattenzione verso un paio di linguisti e un bel po' di cittadini, ma un vero e proprio sgarro istituzionale. Staremo a vedere. Un cordiale saluto a tutti, FT

    RispondiElimina
  13. Si, in effetti se anche questa volta la provincia fa "orecchie da mercante" la situazione si fa più grave del normale: a questo punto non saremo più di fronte a "disattenzione" ma a vero e proprio errore istituzionale. (voluto? buona fede o cattiva fede? mah!)

    RispondiElimina
  14. Appunto. E in questo caso la cosa bisognerà denunciarla con voce forte e chiara

    RispondiElimina
  15. so che dal punto di vista scientifico non ha molto valore, ma questo è quanto dice la voce "Terra brigasca" su Wikipedia: "In tutto il territorio si parla il dialetto brigasco, una variante del ligure affine ad altre varietà della Val Roia e delle Alpi Marittime. Il carattere ligure della parlata viene oggi riconosciuto dal governo francese dopo una fase storica contraddistinta dal tentativo, per motivi ideologici e politici, di attribuire il brigasco e gli altri dialetti della zona (tendasco, saorgino-olivetano ecc.) al gruppo occitano. L'attribuzione al gruppo occitano viene ancora difesa in territorio italiano da alcuni cultori locali, ma nessuno studioso tra i molti che si sono occupati dell'area (tra i quali il tedesco Werner Forner, il francese Jean-Philippe Dalbera e l'italiana Giulia Petracco Sicardi) ha mai avallato la presunta "occitanità" del dialetto brigasco, che viene basata dai suoi sostenitori su un numero limitato apporto di elementi lessicali: neppure i tratti culturali caratteristici della zona rimandano specificamente alla realtà "occitana", ma più in generale al contesto alpino. Questa è la posizione sostenuta anche dall'antropologo Pierleone Massajoli, autore, assieme a Roberto Moriani, di un monumentale "Dizionario della cultura brigasca"; anch'egli, dopo avere sostenuto per un certo periodo il carattere "occitano" del dialetto e della cultura brigasca, ha finito per riconoscerne a più riprese l'insostenibilità. L'attribuzione alla minoranza "occitana" delle località brigasche in territorio italiano sulla scorta della L.N. 482/1999 in materia di minoranze linguistiche storiche è basata sul discutibile criterio dell'autodichiarazione di appartenenza da parte delle amministrazioni locali, criticato negli ambienti scientifici perché consente, come è avvenuto in questo caso, una riformulazione delle identità locali priva di riscontri oggettivi".

    RispondiElimina
  16. caro professor Toso,
    personalmente volevo approfittare di questa "querelle" per approfondire, in maniera semplice, la mia conoscenza dello studio dei dialetti/lingue liguri.
    Immaginavo che la materia fosse gia' stata trattata, ma, non ho la capacita' ne' la "forza" di andare a cercarmi e leggermi difficili tomi scientifici.
    passo dopo passo: vedo pero' che acquisisco sempre qualche conoscenza in piu'.
    Ora sono gia' a due o tre dialetti classificati (da me compresi, naturalmente)):
    1) un dialetto genovese (che immagino sia fuori dalla provincia di imperia (mia provincia)
    2)un dialetto ligure OCCIDENTALE
    3) il dialetto ligure alpino o roiasco.
    Spero con il tempo di riuscire a comprendere - tipo specchietto - tutta la classificazione attribuita alla mia regione (che poi vecchia non e': dato che e' sorta nel 1970).
    sinceramente cordiali saluti
    gianni

    RispondiElimina
  17. ps: non si potrebbe al posto di una bambolina - vincere una bambolona di vent'anni, bionda, occhi azzurri - non importa ne' nazionalita' ne lingua, ne dialetto.
    :-)
    cordiali saluti da
    gianni

    RispondiElimina
  18. Col cavolo, la bambolona me la tengo io!!! Scherzi a parte, la classificazione scientifica comunemente accettata dai linguisti e generalmente nota anche a livello di divulgazione stabilisce in area ligure: 1) un tipo "genovese" diffuso lungo la costa più o meno da Noli a Moneglia e nell'entroterra corrispondente a sud dello spartiacque, con appendici in Valle Scrivia, alta Val Trebbia e altre zone; 2) un tipo "orientale" gravitante su La Spezia e comprendente le Cinqueterre e la bassa Lunigiana (Sarzana e dintorni non parlano ligure, ma lunigianese, che è una varietà a se stante); 3) un ligure "centrale" diffuso sulla costa più o meno da Noli a Taggia, con diverse sottosezioni (il finalese ad es. è più genovesizzante); 4) un ligure "occidentale" o intemelio da Taggia verso ovest fino a Monaco, nell'ambito del quale le parlate delle valli interne (es. Pigna, Buggio, Triora) cominciano ad avere caratteristiche "alpine" più o meno pronunciate; 5) un ligure "alpino" diffuso essenzialmente in val Roia (e quindi detto anche Roiasco), che comprende anche l'olivettese e il brigasco, ma anche ad esempio l'ormeasco (con caratteri propri); 6) un ligure "dell'Oltregiogo", che sfuma di volta in volta in caratteristiche piemontesi (Val Bormida, Sassello, Orbasco, Ovada) lombarde (Novi ligure ad es.) o emiliane (Val Trebbia non genovese, val d'Aveto, val di Taro); 7) dialetti liguri coloniali (bonifacino in Corsica, tabarchino in Sardegna, i dialetti liguri che furono parlati in Provenza, a Gibilterra, in Tunisia, in Grecia ecc.) e genovese d'America (Argentina e Cile). Questa classificazione non implica, per motivi che non sto a ripetere, che questi gruppi siano omogenei al loro interno, e può implicare maggiori o minori affinità: ad esempio i dialetti costieri sono molto più simili tra loro di quanto spesso non accada tra un dialetto costiero e uno dell'entroterra, come accade nel caso ad es. del ventimigliese e del brigasco, ma anche, ad esempio, del dialetto di Vartazze e del sassellese. Per certi aspetti il ventimigliese assomiglia più al varazzese che al brigasco, ma questo non significa che il brigasco non sia un dialettl ligure. Se dovessi spiegare i motivi fonetici, morfologici, sintattici e lessicali di questa classificazione Alberto Cane si metterebbe a piangere, perché gli intaserei il blog, però sono criteri motivati e, per quanto possibile in questa materia, oggettivi. La regione è nata nel 1970, ma la configurazione culturale e linguistica della regione è di molto anteriore, e non soltanto legata alla funzione unificante svolta a suo tempo dalla Repubblica di Genova. Del resto TUTTE le regioni italiane sono nate nel 1970. Ma questo è un discorso che esula dalle mie competenze.
    Un cordiale saluto

    RispondiElimina
  19. Belin che chiarezza, professor Toso.
    Non ho capito Gianni quando dice che la Liguria ha avuto inizio nel 1970 (!). Geograficamente credo abbia almeno mille anni...

    RispondiElimina
  20. Sì, mi merito la bambolona!!!

    RispondiElimina
  21. beh, a questo punto la bambolona gliela lascio: per ringraziarla di essere stato cosi' chiaro e divulgativo.
    Le regioni sono state istituite nel 1970 (vado a memoria).
    Una volta conoscevo un vecchietto, un po' bonaccione, di Realdo, che quando beveva un bicchierino di troppo (e succedeva spesso :-)), asseriva in brigasco che lui era un piemontese.
    A mio modo di vedere, lui era semmai un cunese (di nascita). Risultava infatti nato nel comune di Briga marittima, prov. di cuneo fino al 1946. Il piemonte e' venuto dopo, appunto nel 1970.
    La liguria ha 1000 anni? anche qui non basterebbe il blog di alberto cane....e andremmo ancora piu' fuori tema.
    Sapete chi fu il sostituto di Ponzio Pilato in giudea? Un "ventimigliuso": marco emilio basso. Siamo quindi nei primi anni post Cristum, chi c'e' piu' ligure di lui, di antica data?
    Gia' pero' l'allora albintimilium o albium intemelium era una cittadina romana.......
    quindi ventimigliuso doc o romano?
    :-)

    RispondiElimina
  22. non so se Cane ha gia' dedicato un treadh a questa recente scoperta, mi scuso ma la tentazione e' forte:
    http://archeoblog.net/category/epoca-romana/
    dat | Epoca Romana, Nuovi Ritrovamenti, Scavi

    Thursday 04 Oct 2007
    Trovato il cardo massimo di Albintimilium, Ventimiglia
    Circa tre settimane fa l’ultima campagna di scavi condotta dagli esperti della Sovrintendenza ai beni archeologici per la Liguria tra i resti dell’antica Albintimilium, la Ventimiglia romana, ha recato l’ennesima gradita sorpresa: è tornato infatti alla luce il lastricato del “ Cardo maximus” della città imperiale, cioè della principale arteria longitudinale di quell’importante municipium, posto al confine con la Gallia Narbonense.
    Il cardo, il cui orientamento era diretto da Nord verso Sud, rappresentava un elemento insostituibile nell’urbanistica delle città imperiali di nuova fondazione. Costruiti secondo una logica militare, questi centri urbani presentavano una pianta a scacchiera al cui interno le varie strade si intersecavano ad angolo retto. Gli assi principali erano il decumano maximus, orientato da oriente ad occidente ed il cardo maximus. Una volta tracciate queste prime arterie venivano disegnate anche le vie minori parallele alle prime due. Ad Albintimilium il decumano corrispondeva all’antico tratto urbano della Via Julia Augusta, già chiamata Aurelia dal nome del console che l’aveva tracciata al fine di raggiungere più velocemente le Gallie, ove in epoca tardo- repubblicana i romani combatterono vittoriosamente le popolazioni autoctone. Albintimilium fu fondata proprio in quest’epoca come accampamento militare destinato ad ospitare le legioni dirette nell’odierna Francia. In epoca augustea poi assunse al rango di Municipium e dette a Roma anche alcuni personaggi illustri tra cui quel Marco Emilio Basso destinato a succedere a Ponzio Pilato come governatore della Palestina. Era una città splendente, onusta di monumenti dei quali al giorno d’oggi rimangono alcuni importanti resti tra cui il bellissimo Teatro romano, luogo deputato da qualche anno ad accogliere una suggestiva stagione musical- teatrale estiva. Nel punto in cui il cardo maximus incontrava il decumano maximus sorgeva poi il Foro, cioè la piazza in cui si svolgeva la vita pubblica della città e su cui aggettavano i principali edifici pubblici.

    Ora per l’appunto gli sforzi degli archeologi che operano a Ventimiglia sono indirizzati a riportare alla luce i resti di quest’importante centro della vita pubblica urbana. Albintimilim con Albingaunum e Sabatia era uno dei tre municipi della Liguria di Ponente ma nel corso dei primi secoli successivi alla nascita di Gesù Cristo assunse una posizione preminente rispetto agli ultimi due tanto da essere ricordata nella cartografia bizantina come il più importante caposaldo dell’Impero romano d’Oriente nell’Alto Tirreno dopo Luni. Fu in epoca bizantina che, sotto la minaccia delle ripetute scorrerie Longobarde, il sito su cui sorgeva Albintimilium venne abbandonato e la città, che ormai si chiamava Vintimilium, ricostruita sul colle che sovrasta la foce del Roja ove tuttora sorge il centro storico di Ventimiglia. Pur trasferita altrove l’antica Albintimilium non perse la sua importanza tanto da ospitare la prima Diocesi cristiana delle Liguria occidentale i cui confini ricalcavano quelli dell’antico Municipium romano. Ora la nuova scoperta, presentata ai visitatori in occasione delle giornate del Patrimonio artistico italiano ed europeo.

    RispondiElimina
  23. la Liguria come istituzione regionale esiste dal 1970, ma come concetto geografico e identitario esiste da sempre. Il Piemonte nel 1500 non c'era ancora, la Lombardia fino all'Ottocento si confondeva con la Pianura Padana e anticamente la Calabria corrispondeva alla Puglia, ma noi c'eravamo già.

    RispondiElimina
  24. Chiedo scusa se mi intrometto, ma non mi pare il caso di fare sofismi se Liguria, Piemonte o che altro esistono dal 1500 o dal 1970. Non ha senso dire che Liguria e Piemonte o Calabria esistono solo dal 1970: quella è l'istituzione delle regioni. Sennò diciamo che l'Italia esiste solo dal 1861 e la Germania dal 1870... Né ha senso dare delle date medievali: un conto sono le entità politiche che con quel toponimo si indicano, un conto sono le entità geografiche, culturarli e linguistiche. Per inciso, la Liguria si è sempre chiamata Repubblica di Genova, e i liguri erano noti nel mondo come genovesi, mentre esiste una Contea di Piemonte e poi un Principato di Piemonte fin dal XIII secolo(toponimo inizialmente limitato alle terre tra Pinerolo e Mondovì, ma nel '400 già esteso fino al Monferrato come termine geografico ma non politico, ben noto nell'Europa del tempo, c'è perfino nei Canterbury Tales di Chaucer). Il vecchietto di Realdo diceva di essere piemontese perché dal 1404-6 la contea di Briga era politicamente piemontese (cioè sabauda), rimasta tale dopo il 1860 (provincia di Cuneo), mentre l'assegnazione a Triora è dopo il passaggio alla Francia del capoluogo nel 1946, mentre altre frazioni, in Val Tanaro, hanno formato il comune cuneese di Briga Alta. E anche le province come oggi le conosciamo esistono solo dal 1860 con l'organizzazione del nuovo stato unitario. Ma non sono discorsi che debbono riguardare la classificazione linguistica né l'appartenenza culturale di un territorio.

    RispondiElimina
  25. Verissimo: lasciamo perdere regioni e cardi e pensiamo alla classificazione linguistica del brigasco e dell'olivettese.
    Gianni è un bel furbacchione e rimescola continuamente le carte.

    RispondiElimina
  26. no, ultimo anonimo.
    e' che mi piace parlare (scrivere).
    e dato che non posso replicare sulla linguistica.....
    comunque ringrazio tutti gli intervenuti: perche' ritengo tutti i post interessanti.
    ........d'altronde, visto che qui non c'e' nessuno che replica sulla linguistica in favore dell'occitanita' del brigasco....che facciamo? o rimaniamo a ripetere le stesse cose oppure svariamo anche un po'.... o no? (al moderatore se ritiene, risposta).

    RispondiElimina
  27. Mi associo all'anonimo. Il problema non è quanto è vera l'identità ligure, ma quanto è fasulla quella occitana.

    RispondiElimina
  28. mah, da quanto ho capito questo e' il caso piu' clamoroso.
    quindi ben capisco che si voglia correggere. ma spero che si continui, in seguito, con un riordino della materia delle minoranze linguistiche; perche' senno' il caso brigasco puo' ripetersi, se non l'ha gia' fatto, in altre zone.

    RispondiElimina
  29. Ieri ho incontrato fisicamente, era la prima volta, il professor Fiorenzo Toso. Incontro fugace prima della presentazione del volume "Renzo Villa – U maistru" a Ventimiglia. Ci saranno senz'altro altre occasioni di incontro e allora gli esporrò i miei progetti sui dialetti e l'internet 2.0.

    RispondiElimina
  30. “ bisognerà invitarlo...”

    Con indignazione indubbiamente degna di ben altri bersagli, Fiorenzo Toso, linguista da Genova, ha “cantato bello forte" contro "fenomeni di vero e proprio malcostume" capaci di determinare inaccettabili sprechi di denaro pubblico:
    e quali sarebbero?

    Nientepocodimeno che le bieche manovre degli amministratori comunali di Triora(?), tese a dirottare finanziamenti, previsti dalle norme di tutela delle minoranze linguistiche e destinati a Ladini, Albanesi ed Occitani autentici, verso Verdeggia e Realdo, borghi brigaschi che non se li meritano: non sono occitani i brigaschi, ma semplici liguri; gli argomenti a favore della presunta occitanità del brigasco e dell'olivettese sarebbero "grotteschi", “sconcertanti” “manipolazioni dell'identità linguistica”; quello degli amministratori è un " utilizzo strumentale della legge per ottenere visibilità e vantaggi economici" “svendendo la propria identità per quattro denari”.
    Non si preoccupi, professor Toso e non si scaldi così, che fa male alla salute: siamo in grado di rassicurarla!
    Prima di tutto l'attuale amministrazione del Comune di Triora, indiscutibilmente ligure fino al midollo, quindi giustamente parsimoniosa, in particolare verso i “fratelli diversi” brigaschi, non ha ancora mosso un dito per accaparrarsi quei fondi, Anzi. Ha rispedito al mittente un finanziamento regionale già erogato di oltre 200.000 Euro per un museo-centro di cultura e documentazione brigasca in Realdo.
    E dire che per sopravvivere l'alta valle Argentina si attacca proprio a tutto; dalle streghe alle lumache.
    Quanto all'identità linguistica svenduta... a Realdo e Verdeggia si parla ormai il ligure, o l'italiano, o il francese, più che il brigasco, lingua purtroppo in via di estinzione. Però gli zoologi, i botanici, i genetisti sono preoccupati della scomparsa di specie animali, piante, patrimoni genetici. Investono tempo e soldi per salvare, o almeno conservare traccia delle biodiversità. Perché invece tanta furia omologatoria in un linguista?
    Ma perché capiscano quell'identità che si è accusati di svendere per quattro denari, che forse non vale quattro denari, ma che per noi è così importante, parte di noi, bisognerà invitarlo, il professor Toso, alla prossima festa della Vastera.
    Vedrà una comunità smembrata sessant'anni fa fra Francia, Liguria, Piemonte, originaria di borghi dove sopravvivono in pochi, senza vie di comunicazione dirette che attraversino i monti. La vedranno ritrovarsi, dopo ore di auto e di pullman a dir messa (in Brigasco), a mangiare, cantare e ballare e gioire insieme, a ritrovarsi al semplice suono della parlata, a sentirsi, ancora e nonostante tutto, Brigaschi.
    E non tema: non cercheremo di convincerlo di essere, in realtà, non un ligure, ma un Uzbeco.

    RispondiElimina
  31. Caro Compare, premesso che sono grandicello e in grado di determinare da solo ciò che suscita in me indignazioni più o meno motivate, debbo rilevare che purtroppo la sua non meno accesa indignazione non offre risposte al quesito fondamentale che si è posto attraverso questa discussione: c’è qualcuno in grado di fornire una dimostrazione scientificamente motivata del fatto che il dialetto di Realdo e Verdeggia (e non dimentichiamoci Olivetta San Michele) appartiene al novero delle parlate occitane? Perché se questa dimostrazione non c’è, resta incontrovertibile, al di là del diritto di una passata amministrazione comunale di Triora di inventarsi a termini di legge quel che vuole, che i dialetti in questione sono di tipo ligure alpino, e di conseguenza non sono coperti dalle forme di tutela della L.N. 482/1999: TUTTE le forme di tutela, e non solo i quattrini che evidentemente le stanno tanto a cuore. Tutto il resto conta molto, molto poco in questa sede: 1) se anche l’utilizzo di fondi pubblici non c’è stato, resta il fatto che accreditare la possibilità che comuni non minoritari possano accedere a fondi destinati alla tutela delle lingue minoritarie non mi sembra il massimo dell’ortodossia istituzionale, e per quanto mi riguarda resta un fatto di furberia amministrativa alquanto discutibile; 2) che Realdo e Verdeggia non meritino forme di tutela per il proprio patrimonio linguistico lo dice solo lei, e sbaglia in maniera pesante cercando di distorcere il mio pensiero. Per me le meritano eccome, ma senza diver per questo abdicare alla propria originalità idiomatica: e poi non sono “semplici liguri”, al contrario è la dichiarazione di “occitanità” che rappresenta una pericolosa semplificazione (oltre che una grave distorsione); se la L.N. 482/1999, legge che io ritengo, come la maggior parte dei linguisti italiani, viziata da gravi deficit, non ammette a tutela i dialetti liguri alpini, non è però colpa mia, ma di gente come compare orso che invece di rivendicare il diritto alla tutela del proprio patrimonio idiomatico preferisce scorciatoie un tantino tortuose: i diritti, per ottenerli, bisogna rivendicarli. 3) Guardi che finora gli argomenti che ho trovato espressi a favore dell’occitanità di Realdo ecc. sono davvero grotteschi e sconcertanti, ma se lei ne ha di più validi e vorrà rendercene edotti, finalmente potremo finalmente valutarli. Per quanto mi riguarda, tutto quanto è stato detto finora per dimostrare che a Realdo ecc. si parla occitano, non è neppur degno di essere preso in considerazione, e la riprova sta negli studi scientifici che ho citato in altra sede, negli interventi che ci sono stati in questa discussione da parte di altri linguisti, ecc. Aspettiamo quindi con grande interesse i nuovi apporti che senz’altro lei saprà addurre, ma per favore, vogliamo considerazioni serie, non la traduzione in brigasco di Dante Alighieri che fa il verso ad Arnaut Daniel. 4) Godo di ottima salute, veda lei di prendersi una camomilla (ce ne sarà pure, e di efficace, in Occitania). 5) Se l’attuale amministrazione di Triora non ha ancora attinto ai fondi della 482/1999 ha dimostrato più buon gusto (e prudenza) di quella che in passato ha dichiarato l’occitanità di Realdo e Verdeggia, ma purtroppo non tutti gli amministratori sono così oculati, e non sappiamo cosa il futuro riservi alle popolazioni interessate. 6) Se, come dice lei, a Realdo e Verdeggia si parla solo ligure, italiano e francese (e me ne dispiace moltissimo), vede bene che, anche ammettendo l’inammissibile, cioè che il brigasco è un dialetto occitano, ciò significa a maggior ragione che ai sensi del decreto attuativo della L.N. 482/1999 queste località non sono ammesse ai benefici di legge, perché la lingua minoritaria non è comunque (cito) il “modo di esprimersi corrente dei componenti di una minoranza linguistica”. 7) La furia omologatoria ce l’ha lei. Proprio in nome del rispetto della diversità linguistica vorrei cercare di evitare l’equivoco secondo il quale a Realdo si parla qualcosa che abbia una qualche parentela col dialetto di Béziers al di là della comune origine latina. Non sono io ad avere perpetrato l’“occitano cisalpino di riferimento” che evidentemente compare orso preferisce al suo brigasco, né ad avere importato inni “nazionali” come la bellissima canzonetta “Se chanta”, la quale, a quanto mi risulta, a Realdo, Verdeggia e Olivetta non si è mai cantata. 8) Grazie per l’invito alla festa della Vastera, ma non capisco proprio cosa c’entri l’apprezzabilissimo sforzo che fa questa associazione nel tenere unita una comunità smembrata dai trattati di pace con la meno apprezzabile propensione a dichiararne l’appartenenza a un ceppo linguistico al quale è estranea: considerando poi che secondo il governo francese a Briga e a Morignolo, come in tutta l’alta val Roia, si parla ligure, non mi sembra precisamente un segnale di unità avere brigaschi pseudo-occitani in Italia e brigaschi liguri in Francia, è un grosso pasticcio che forse si potrebbe evitare. Peraltro sono felice che i brigaschi si ritrovino e gioiscano al suono della loro bellissima lingua, il brigasco appunto, perché vuol dire che proprio non sono linguisticamente occitani, altrimenti non parlerebbero un dialetto ligure alpino. 9) Vede, lei sta facendo una gran confusione, nessuno nega che esista una identità linguistica brigasca, ma praticamente tutti negano che il brigasco sia un dialetto occitano. L’identità linguistica brigasca è un fatto bello e sano, il dichiarare che il brigasco è un dialetto occitano è una faccenda alquanto discutibile. Quanto alla mia appartenenza, che non è qui in discussione, non ho nulla contro gli uzbechi, e se un domani volessi “sentirmi” uzbeco non vedo perché no. Ma non cercherei mai di fare passare per uzbechi i miei compaesani. Un cordiale saluto, caro compare orso. La prossima volta che si sveglia dal letargo guardi un po’ se riesce a trovare qualche argomento (magari in occitano) per dimostrare che a Realdo, Verdeggia e Olivetta si parla occitano invece che brigasco e olivettano (ossia, ligure alpino). FT.

    RispondiElimina
  32. Toso ha dimenticato di dire una cosa fondamentale, che la sua indignazione è largamente condivisa ai più diversi livelli, e anche tra i moltissimi brigaschi che non si sentono rappresentati dalla Vastera o che almeno non ne condividono le scelte su questa faccenda dell'occitano: so per certo che fino a che la Provincia non prenderà posizione la pressione aumenterà con iniziative di ampia portata come quella del convegno di Bolzano. Questa non è più la battaglia del prof. Toso, con tutto il rispetto per il suo impegno, ma di tante persone sinceramente attaccate alla propria VERA identità e seriamente intenzionate a difenderla.

    RispondiElimina
  33. C'est vrai, si vous voyez mr. Toso n'a jamais discuté la valeur de l'identité et de la langue brigasque. Il a toujours mis en discussion l'appartenance du brigasque au domain occitan, et il a bien raison, personne n'a jamais consideré le brigasque du provençal. Quand j'étais enfant à la Brigue (maintenant j'habite Nice) on disait que notre patois est proche du patois de Pigna qui est ligure, tandis que à Sospel et à Nice on ne se comprend pas. Je suis brigasque à part entière, mais je ne me considère pas occitan ni provençal. J'ai participé à un rencontre de A Vastera et je suis resté très etonné par l'usage du drapeau occitan. Il n'est pas dans notre tradition et même dans la PACA, chez les militants provençaux, on n'a jamais accepté cette symbolisme. J'apprends maintenant que tout cela c'est pour acceder aux benefits d'une loi! C'est bien triste!

    RispondiElimina
  34. Concordo con il Sig. Pastorelli: anch'io ho sempre sentito dire dai miei nonni che il nostro dialetto assomigliava molto ai dialetti di Sospel e Briga, mentre ad esempio è molto diverso da quello di Mentone... tant'è che i nostri vecchi non avevano difficoltà a fare commercio con Sospel. Ciò ovviamente anche per il fatto che Pigna è sempre appartenuta al Regno Sabaudo, e quindi con molte affinità con questi paesi, addirittura più che con Ventimiglia (Rep. di Genova).
    ... e come dice il prof. Toso, perchè fanno tutti parte del LIGURE alpino!

    RispondiElimina
  35. Adesso comincio proprio a scocciarmi. Sono figlio di realdesi, capisco benissimo il brigasco e mi rifiuto di sentirmi dare dell’occitano dal primo venuto. Ora ci si mette anche l’orso Yoghi: propongo a lui e a tutti gli occitani di Realdo non di bere la camomilla, ma di smetterla di farsi con roba pesante che dà le allucinazioni. Un’ultima cosa. Ieri volevo provare a fare un confronto tra qualche parola brigasca e quelle provenzali, ma sull’atlante linguistico occitano (occitanet.free.fr/oc) il brigasco non c’è perché è considerato ligure anche dagli occitani. Anzi manca tutta la val Roia. Chiarito il concetto? Io gli articoli scientifici non li leggo non ci capisco niente e non mi interessa, ma so bene dove dovrebbero mettersi quella loro bandiera con la croce e tutti quei pallini.

    RispondiElimina
  36. Grande gioco a premi per tutti gli occitani di Realdo, Verdeggia e località limitrofe. Qui sotto ci sono dei brani in diversi dialetti occitani che ho trovato qua e là. Chi è in grado di tradurli e dimostrare l’affinità di ogni parlata col brigasco vince la famosa bambolina. Se la traduzione è fatta in brigasco vince anche la bambolona e un piatto di sügeli. Se però nessuno si fa avanti, il prossimo che dice che il brigasco è occitano dovrà pregare verso la Mecca inginocchiato sui ceci. Visto che non può più giocare a fare l’occitano, tanto vale che si faccia maomettano. VALLI DI CUNEO: “Tu sìes -ma réiro frémo- tu sìes la réis / de nosto gent, l’auro que te pencheno / despì à jo caressià la sancto Maire / de Betelem, à caressià la peno / d’aquisti ubai, despì que noste viéi / chapuei li cros garbàven bars e caire”. NIZZA: “Bona sera madama. Se vous plas pouodi parla a Soufia? Dihes-li qu’es Mireia. Estou còu… Pouden parti. Noustre paire a vourgut tout cen-que li avèn demanda. Cen-que vouos ? S’ai pihat lou tiéu caié d’istoria? Crèsi pa. Vau vèire dintre lu miéu se trovi pa lu tiéu. Quoura si veen? Pouos ven d’aquesti oura? T’asperi aqui. Vincen, Carlou a perdut li sieu tocha. As li tiéuhi per dimècre?” GRASSE: “Tandossada palla d’un fin d’octòbre, l’astre desgalha sei darriers belugs. Una barca passa e vai qu’estrifa lei flaçadas sornas de la mar sota lei nìvols. L’escuma espelìs entre un rai l’aflora, e un esbleugiment, sus l’aiga. Cuer nòu. Ebèn. Un boton d’evòri e d’argent. Lo freniment dau motor”. DINTORNI DI MARSIGLIA: “Mai siéu pas soulet dessus la colo / chasco ouro crèis mai la moulounado / sian pas soulet dessus la colo / n’i a de milioun dins tanti encountrado / voulèn plus vèire uno terro sauna / escouto eilabas lou brand di campano”. VAL RODANO: “Enjusquo la luseto / que lusis dins lou bos / I’a dit: pauro touseto / prèn moun lume se vos! / Cerque toun calignaire ? / Pecaire / L’aguèsse di pulèu, / moun calèu / sariè sta bon menàire”. LINGUADOCA: “Coma un ome tancat per agaitar l’asuèlh / un ome desliurat dal pes de sas cadenas / qu’an fargat los reis fols e los barons sagnoses / e los monges enrogits del rebat del brasas / ont cremeron vivents mes fraires dal passat”.

    RispondiElimina
  37. per compare orso:
    sono di passaggio (e conto di rileggere il tutto): hai scritto cose che ho gia' scritto (penseranno che sono io sotto altro nick!:-)).
    Anch'io ho gia' equivocato sull' "accanimento" di Toso (and company), ma alla fine mi sono ricreduto.
    Comunque sia contro i fatti non valgono argomenti.
    Ognuno puo' porre le domande, o le sfide, che vuole.
    Chi e' che, TECNICAMENTE, puo' difendere l'occitanita' dei brigaschi? E' questo che si e' atteso, da tanto, su questo blog. Ora la questione sembra giunta a livello "istituzionale" e coatta per la provincia....
    Condivido le cose che hai scritto sulla vastera: io pure le ho gia' scritte (simpatizzo per i brigaschi della vastera anche se sono di un solo genitore brigasco, l'altro e' figun, e non mi interessa per niente la questione "razziale", anzi mi fa quasi sorridere, perche' mi ritengo cittadino del mondo). E sono pronto anche da fare da avvocato su questo blog, dei brigaschi.
    Ma, non ho saputo rispondere a Toso: in quanto su che studi si basa l'occitanita' del brigasco.
    Per quanto riguarda le colpe della provincia, rimango ancora un po' interdetto.
    La legge gli conferiva questo "potere" e se non sbaglio in almeno un documento "statale", il brigasco e' ritenuto occitano.
    Non vedo perche' non doveva "aprofittarne", tra l'altro non penso che i soldi arrivino direttamente a lei!
    FORSE IL PROBLEMA "FINALE" E' CHE NON E' POSSIBILE STABILIRSI MINORANZA LINGUISTICA CON "AUTOCERTIFICAZIONE", per giunta senza possibilita' di verifica.
    LA LEGGE E' DA RIFARE ALTRIMENTI non e' la cultura minoritaria che si protegge: ma la si stravolge, snaturandola.
    cordiali saluti
    da gianni

    RispondiElimina
  38. Salve Gianni, un solo appunto perché per il resto abbiamo dibattuto queste cose fino alla nausea: non esiste alcun documento statale che sancisca "a priori" che il brigasco è occitano, e ai fini della nostra discussione quello che lo stato dice adesso non conta, essendoci stata l'erronea dichiarazione dei comuni e l'ancor più erroneo avallo della Provincia. Ribadisco che per me è essenziale che qualcuno dimostri in maniera chiara e inequivocabile con prove linguistiche che il brigasco è un dialetto occitano, tutto il resto viene di conseguenza. Un altro dettaglio: a me di affossare la Vastera non interessa (e del resto mi pare che ci stiano già pensando i brigaschi!!!), se questa associazione si dedicasse alla promozione della cultura brigasca e al mantenimento dell'unità della comunità brigasca senza avventure occitane chiederei persino la tessera d'iscrizione. Per Carlo: l'idea è buona, ma la bambolina è un premio troppo piccolo, se qualcuno riesce a provare che il brigasco è occitano è davvero un genio della linguistica creativa.

    RispondiElimina
  39. come detto sono "oriundo" brigasco (una volta, mi pare, dicevano cosi': per chi ha un solo genitore di quei paesi), ma ho la casa di famiglia ancora li', anche se, personalmente la frequento poco, ogni anno alle feste ci sono: ed i miei partecipano invece attivamente.
    Ammesso e concesso che "non me po' fregar de meno" della questione linguistica e razziale ( io quando vado lassu' vado per boschi e montagne: e quelli non sono di nessuno.....); non capisco nemmeno tutti i "brigaschi" di questo blog che non si riconoscono nelle posizioni della vastera.
    A me non pare che ci sia cosi' aggressivita' vs la vastera nei due paesi della valle argentina!
    Inoltre "politicamente" i ns 2 paesi sono morti. Il ns. ligure alpino e brigasco e' morto. E, Triora non fa, o non puo' fare, niente per difenderlo. O puo' fare poco. Sotto questo punto di vista quella legge, potrebbe fare molto.
    E non mi risulta che ci sia gente della vastera che possa lucrarci: ma solo tentare di proteggere una cultura che comunque sembra destinata a morire o almeno a rimanere in un museo (e ben venga!).
    Quindi gli vorrei dire di non illudersi: perso questo treno, non ripassera' piu'. E i ns paesi: occitani o liguri saranno ancora piu' dimenticati.
    Altra cosa e' la verita' su cui giustamente si batte Toso e gli altri.
    Li bisogna portare gli argomenti per fare classificazioni!
    Io penso che se il tentativo di boicottare l'occitanita' di questi paesi riuscira', si riuscira' al massimo, oltre a far perdere i benefici di legge a "noi, riuscira' al massimo a sfrondare qualche altra presunta "minoranza".
    Il che, ovviamente per uno studioso, non e' poco.
    Ma i brigaschi non hanno certo i numeri o la forza (o a quanto pare qui, l'unita') per proporre che i loro paesi non muoiano del tutto, magari attraverso una nuova legge.
    Ho fatto un bel casino, e mi prendero' ora il solito epiteto (meritato) di interessarmi ai soldi della legge (per il "mio"paese pero', non per me!).
    ps: rileggendolo non volevo postarlo, ma lo faccio per provocazione...spero costruttiva.
    cordiali saluti
    gianni

    RispondiElimina
  40. come detto sono "oriundo" brigasco (una volta, mi pare, dicevano cosi': per chi ha un solo genitore di quei paesi), ma ho la casa di famiglia ancora li', anche se, personalmente la frequento poco, ogni anno alle feste ci sono: ed i miei partecipano invece attivamente.
    Ammesso e concesso che "non me po' fregar de meno" della questione linguistica e razziale ( io quando vado lassu' vado per boschi e montagne: e quelli non sono di nessuno.....); non capisco nemmeno tutti i "brigaschi" di questo blog che non si riconoscono nelle posizioni della vastera.
    A me non pare che ci sia cosi' aggressivita' vs la vastera nei due paesi della valle argentina!
    Inoltre "politicamente" i ns 2 paesi sono morti. Il ns. ligure alpino e brigasco e' morto. E, Triora non fa, o non puo' fare, niente per difenderlo. O puo' fare poco. Sotto questo punto di vista quella legge, potrebbe fare molto.
    E non mi risulta che ci sia gente della vastera che possa lucrarci: ma solo tentare di proteggere una cultura che comunque sembra destinata a morire o almeno a rimanere in un museo (e ben venga!).
    Quindi gli vorrei dire di non illudersi: perso questo treno, non ripassera' piu'. E i ns paesi: occitani o liguri saranno ancora piu' dimenticati.
    Altra cosa e' la verita' su cui giustamente si batte Toso e gli altri.
    Li bisogna portare gli argomenti per fare classificazioni!
    Io penso che se il tentativo di boicottare l'occitanita' di questi paesi riuscira', si riuscira' al massimo, oltre a far perdere i benefici di legge a "noi, riuscira' al massimo a sfrondare qualche altra presunta "minoranza".
    Il che, ovviamente per uno studioso, non e' poco.
    Ma i brigaschi non hanno certo i numeri o la forza (o a quanto pare qui, l'unita') per proporre che i loro paesi non muoiano del tutto, magari attraverso una nuova legge.
    Ho fatto un bel casino, e mi prendero' ora il solito epiteto (meritato) di interessarmi ai soldi della legge (per il "mio"paese pero', non per me!).
    ps: rileggendolo non volevo postarlo, ma lo faccio per provocazione...spero costruttiva.
    cordiali saluti
    gianni

    RispondiElimina
  41. leggo adesso l'ultimo intervento di Toso.
    Ok, allora non c'e' alcun documento statale. (pian piano capisco tutto!:-)).
    Comunque, e se le cose fossero state fatte tutte a norma di legge?
    So che a lei non interessa denunciare qualcuno.....ma se la legge ha permesso che un comune, senza produrre prove o comunque a sua discrezione, facesse una domanda, che uno stato o una provincia dessero l'avvallo, ecc. ecc.
    Insomma, siamo tutti contenti, se la marcia indietro ci sara' e sara' fatta su un contradditorio scientifico e non su un errore di interpretazione della legge.
    niente falso ideologico insomma ecc. ecc.
    e' solo che la legge non rispecchia la realta' e percio' non si ha il titolo scientifico di farsi attribuire l'occitanita'.
    o no?

    RispondiElimina
  42. l'ultimo anonimo sono io Gianni.
    cordiali saluti

    RispondiElimina
  43. Non ci sono alternative. La Provincia di Imperia era tenuta a motivare presso il Ministero il proprio avallo alla dichiarazione con la quale due suoi comuni hanno affermato che sul loro territorio esistono comunità di lingua minoritaria. Se lo ha fatto, deve produrre tali motivazioni, e se le motivazioni prodotte non sono tali da rovesciare quanto è notorio in base alla communis opinio e ai responsi scientifici (ossia che questi dialetti sono liguri alpini) è tenuta a ritirare il proprio avallo. Altrimenti rischia sanzioni per il reato di falso ideologico. La posizione dei comuni è meno grave. Chi rischia qualcosa, se la Provincia non provvede, sono i responsabili dell'associazione Vastera, perché nell'ordine del giorno di Bertaina essa viene configurata come rappresentativa dell'inesistente minoranza occitana di Realdo e Verdeggia, quindi come possibile destinataria di finanziamenti: se risultasse poi che la dichiarazione dei Comuni e l'avallo dato dalla Provincia sono stati per così dire "ispirati" da tale associazione, la cosa sarebbe ancora più grave, massime se qualche responsabile dell'associazione medesima fosse stato in carica come amministratore comunale o provinciale nel momento in cui avevano luogo la dichiarazione dei Comuni e quella della Provincia.

    RispondiElimina
  44. Caro Gianni, facciamo un po' d'ordine, altrimenti tra orsi, giuristi, ripetizioni, messaggi in francese e poesie in provenzale non ci si capisce più niente. Provo a risponderle non a nome dei brigaschi che non si riconoscono nella "Vastera" (ci penseranno loro immagino), ma secondo la mia personale opinione. Anzitutto, la legge non può affatto "fare molto" per proteggere la cultura brigasca, per due motivi: primo, non si occupa di difendere le culture ma le lingue, e c'è una bella differenza; secondo, tra le lingue tutelate il brigasco in quanto tale, comunque la si voglia rigirare, non c'è: la legge tutela l'occitano e di conseguenza, per accedere alla tutela, essendovi dichiarati erroneamente occitani vi ritroverete a subire una forma di colonizzazione culturale pesantissima, con l'importazione di modelli linguistici che nulla hanno a che vedere col brigasco (cfr. l'interessante antologia di Carlo). Se anche qualche soldino andasse poi per ricerche sul dialetto locale o altro, il grosso sarebbe gestito per iniziative eterodirette, tipo i balletti occitani nelle scuole di Molini di Triora (balletti di cui in Valle Argentina non si era mai sentito parlare) o gli "sportelli linguistici" che daranno lavoro a un po' di disoccupazione intellettuale cuneese e torinese (perché lì si gestisce l'occitanità in maniera imprenditoriale e si formano gli "operatori linguistici" che verranno a farvi imparare l'occitano). Il quadro è triste, ma assolutamente realistico, mi creda, quindi quel treno è meglio perderlo, eccome. E sia chiaro, la legge 482/1999 non fa un bel nulla per evitare la morte dei paesi di montagna: dal '99 in poi in provincia di Cuneo le valli si spopolano come e più di prima, e i finanziamenti della 482/1999 vanno essenzialmente ad associazioni con sede a Dronero (che è stata non a caso dichiarata "occitana" anche se ci si parla piemontese) o in altri centri della pianura. Credo quindi che i Brigaschi che su questo blog stanno criticando la Vastera intendano sostenere che è molto più dignitoso non rinunciare alla propria autenticità che sperare in aiuti che snaturerebbero la reale identità brigasca, e da questo punto di vista, al di là dei toni, dò loro pienamente ragione. La polemica in corso non è fatta per "far perdere i benefici" della legge ai brigaschi, ma per far sì che scaturisca una presa di coscienza dell'importanza del patrimonio linguistico ligure nel suo insieme. Se invece di guardare a Carcassona i Brigaschi, insieme ai Trioraschi, ai Pignaschi e così via vorranno attivarsi verso la Provincia e la Regione per promuovere tutti insieme il proprio patrimonio linguistico sarà una cosa giusta e buona, mentre invece finora sono prevalse attese fideistiche da una legge controversa e tentativi di furberia amministrativa tra le cui conseguenze ci sono anche quelle ipotizzate qui sopra dal signor Giurista. Vogliamo fare qualcosa per il nostro patrimonio linguistico, e con esso vedere di salvare qualcosa della nostra cultura, vedere di rilanciare anche la vita e l'economia delle nostre montagne? Diamoci da fare tutti insieme, io ci sto e ci metto quel poco di competenza e di impegno, ma senza inventarci appartenenze e tenendo d'occhio la realtà. Sull'altro aspetto da lei introdotto, ribadisco ancora una volta il mio pensiero: il problema non è se le cose sono state fatte o meno a norma di legge (queste sono valutazioni che lascio al Giurista, il quale peraltro ha le idee ben chiare), il problema è se eticamente, culturalmente e politicamente siamo soddisfatti di mantenere in piedi un'affermazione non corretta, nella migliore delle ipotesi frettolosa e nella peggiore dettata da malafede. Certo che siamo tutti contenti (tranne forse il Giurista e alcuni brigaschi arrabbiati) se la marcia indietro da parte della Provincia ci sarà in base a un contraddittorio scientifico, però deve esserci in maniera chiara e inequivocabile: deve essere reso noto alle autorità competenti che c'è stato un equivoco, che in Provincia di Imperia non ci sono comuni dove si parla occitano, e che di conseguenza non ci sono comuni ammessi a fruire dei benefici della legge 482/1999. Io personalmente, dopo una simile dichiarazione, darei per chiusa una volta per tutte la questione, e non vedo quali strascichi e di quale tipo dovrebbero seguirne. La Provincia, farà una bellissima figura e se vorrà fare qualcosa per il patrimonio linguistico di Realdo, Verdeggia e Olivetta potrà pur sempre farlo (c'è anche una legge regionale, per quanto non molto valida, in merito a questi temi), i comuni potranno a loro volta operare, e la Vastera vedrà esaltato il proprio ruolo di custode della vera identità brigasca (non di una inesistente identità occitana in terra brigasca!) e quello, secondo me insostituibile e importantissimo, di associazione operante per l'unità storico-culturale della gente brigasca sul territorio di due stati, tre province e quattro comuni. Quanto a me, potrei tornarmene a occuparmi del mio tabarchino e darei il massimo risalto in tutte le sedi scientifiche (in questo momento molto allertate sugli sviluppi del nostro dibattito) al fatto che la Provincia di Imperia ha operato con saggezza e lungimiranza. Con l'impegno personale a fare di tutto perché il brigasco, l'olivettese e tutte le altre varietà liguri (e non solo liguri) continuino a essere parte integrante del patrimonio culturale delle comunità di cui sono espressione. Un cordiale saluto, FT

    RispondiElimina
  45. “In attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la CULTURA delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo”. Si evince, quindi, che “la Repubblica tutela la lingua e la cultura” delle popolazioni parlanti l’occitano.

    Da una lettura del testo di legge in materia di minoranze linguistiche, di cui sopra ho riportato l’art. 2, non appare esplicita la procedura secondo cui la “la Provincia di Imperia era tenuta a motivare presso il Ministero ...”(post giurista); l’art. 3 comma 1 della L.482/99 afferma che: “La delimitazione dell'ambito territoriale e subcomunale in cui si applicano le disposizioni di tutela delle minoranze linguistiche storiche previste dalla presente legge é adottata dal consiglio provinciale, sentiti i comuni interessati...”
    In nessun articolo è riportato il termine “motivare”: né il comune deve “motivare”, né la provincia; la provincia ha il solo compito di “delimitare”. Per giunta i criteri per “delimitare” non sono indicati.

    Considerata la volontà del legislatore (giusta o sbagliata che sia) di formulare un testo snello, secondo il principio che “Una legge è un precetto che ha carattere generale” (Lex est commune praeceptum), con conseguente orientamento interpretativo “elastico”, è del tutto azzardato profilare “sanzioni per il reato di falso ideologico”. (La disquisizione in merito alla formulazione della legge è del tutto vana, stante il fatto che, essendo divenuta Legge dello Stato, non si può far altro che applicarla; altro discorso è apportare modifiche alla legge stessa).

    Conclusioni: la provincia non rischia nulla, l’associazione tanto meno.

    RispondiElimina
  46. lingua e cultura significa la cultura di una comunità di cui sia dimostrata l'appartenenza a una minoranza linguistica. Per il resto, cfr. il Dpr. attuativo 02/05/01 n. 345

    Art. 1 comma 4. Entro novanta giorni dal ricevimento delle richieste avanzate dai soggetti di cui al comma 1 dell'articolo 3 della legge, i consigli provinciali, sentiti i comuni, sono tenuti a pronunciarsi, sulla delimitazione dell'ambito territoriale, CON ATTO MOTIVATO. Lo stesso termine decorre dalla comunicazione dei risultati della avvenuta consultazione di cui al comma 2 dell'articolo 3 della legge, con la quale la popolazione residente nel comune si e' pronunciata favorevolmente alla delimitazione dell'ambito territoriale in cui si applicano le disposizioni di tutela.

    RispondiElimina
  47. se non vado errato la delibera del consiglio provinciale è del 2000, antecedente al DPR 345/2001.
    posso ricevere conferma?

    RispondiElimina
  48. finalmente un discorso piu' "tecnico", anche se solo per la parte burocratica della legge (e non soddisfera' di certo il prof. toso).
    per giurista:
    mettiamo che la provincia abbia motivato l'occitanita' dei due o tre paesi. Anche con un'uscita "stramba" o ad es.: "perche' lo dice la vastera, perche' lo dicono studiosi locali (non per forza scientificamente riconosciuti) o perche' chesso', area di confine e dialetto diverso dal resto provinciale..": esiste un controllo dello stato su questa motivazione?
    perche' se basta motivare con un'affermazione, anche gratuita, per accedere ai benefici di tale legge: non penso ci sia possibilita' di adire legalmente contro tale procedure, se non con una riforma legislativa futura e magari retroattiva.
    cordiali saluti
    gianni

    RispondiElimina
  49. Avendo la legge 482/1999 demandato le questioni applicative della normativa in materia di tutela delle minoranze linguistiche ad un apposito regolamento per redigere il quale il Ministro per gli Affari Regionali con decreto del marzo 2000, ha costituito un apposito Comitato tecnico-consultivo, regolamento poi recepito come D.P.R. m. 345, 2 maggio 2001, si dà per scontato che la Provincia abbia adeguato in data successiva a tale D.P.R. la propria delibera del 2000, altrimenti la delibera stessa non è valida (il che sarebbe un vantaggio).

    RispondiElimina
  50. Caro Gianni,sa benissimo che queste valutazioni, delle quali oltrettutto capisco poco, non mi soddisfano per un bel niente. Il problema da me sollevato non è giuridico, è, come ho scritto prima, "se eticamente, culturalmente e politicamente siamo soddisfatti di mantenere in piedi un'affermazione non corretta", con tutto quel che ne consegue in termidi di effettiva valorizzazione o svalorizzazione del REALE patrimonio linguistico delle tre località. Ciò detto, l'ultimo scambio tra i due legulei mi sembra interessante: a quanto capisco se la delibera della Provincia è anteriore al decreto attuativo, è addirittura possibile che non abbia valore. Questo taglierebbe, come si suol dire, la testa al toro... Un cordiale saluto, FT

    RispondiElimina
  51. Mi pare di ricordare, e per questo prima ho chiesto conferma, che la delibera del Consiglio Provinciale sia del luglio 2000. Se così fosse, considerato l’art. 17 della L.482 del 15/12/1999, pubblicata in gazzetta ufficiale il 20/12/1999, secondo cui “Le norme regolamentari di attuazione della presente legge sono adottate entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della medesima, sentite le regioni interessate”, la Provincia ha deliberato successivamente alla scadenza del termine indicato nel testo di legge. (Ricordo che il D.P.R. è del 2 maggio 2001).


    Quindi, nell’eventualità in cui fosse confermato che la Provincia di Imperia abbia deliberato la delimitazione del territorio occitano nel luglio dell’anno 2000, è ovvio che il D.P.R. 345 del 2001 essendo successivo alla deliberazione stessa non ha alcun valore. Considerato che il D.P.R. 345 è una norma secondaria (Infra legem - Extra legem - Praeter legem), che attua una legge, mi viene in mente, per analogia, il principio di legalità secondo cui: “nessuno può essere punito se non in forza di una legge (in questo caso Decreto) che sia entrato in vigore prima del fatto commesso.”

    Attenzione! E’ da dimostrare, perciò, la necessità di adeguamento, da parte della Provincia di Imperia, della propria delibera, stante che una fonte primaria (la legge 482/99 stabiliva con esattezza i termini entro cui le norme regolamentari di attuazione della legge dovevano essere adottate.(termini non rispettati).

    Se così fosse, si configura la piena legittimità della deliberazione provinciale.

    RispondiElimina
  52. marostica maiala, a questo punto mi conviene starmene zitto.
    spero solo che si arrivi a una conclusione manifesta anche per noi: ignoranti linguisti (ma per cio' abbiamo gia' alcune classificazioni degli studiosi) e soprattutto ignoranti giuridici.
    Senno' devo ritornare al mio "caro" Principato di Seborga.
    Che e' principato pur non essendolo legalmente, perche' in qualche burocratico ufficio (ormai a livello europeo) esiste la pratica in corso......
    Il che non impedisce, a chi di dovere, di fare i quattrini con questa storia (intendiamoci io credo che fosse un principato) e di aggiungerci templari e sepolcri di Cristo vari senza la possibilita' che nessuno controlli quelle asserzioni.
    ps: sapeste quanti pullmann arrivano nel principato!
    cordiali saluti
    gianni

    RispondiElimina
  53. Illuminato Giurista, una volta tanto concordo con Gianni, non ci si capisce niente. Ma intanto, ripeto, qualcuno è in grado di dimostrare che a Realdo, Verdeggia e Olivetta San Michele si parla occitano? Perché è questo che qui ci interessa. Buonanotte a tutti, per stasera me ne vado a dormire

    RispondiElimina
  54. E' una questione assai controversa per la quale ci sono molti margini di interpretazione. Si potrebbe argomentare tra l'altro che esisterebbe una sperequazione tra i comuni e le province che hanno deliberato prima o dopo l'approvazione del decreto attuativo. Sostanzialmente, non vedo novità di rilievo.

    RispondiElimina
  55. Caro Gianni, il tuo “marostica maiala, a questo punto mi conviene starmene zitto” mi ha fatto sorridere!
    Ritengo che quanto hai scritto in qualche post qui sopra meriti attenzione che vorrei riprendere per spiegare meglio quanto detto.

    Sostengo che sia da valutare con attenzione la legittimità dei provvedimenti (legge, decreto, delibera, ecc.), in riferimento alla data in cui gli stessi sono stati emanati, adottati, o comunque entrati in vigore.
    Per semplificare: la “motivazione” di cui si parlava prima potrebbe non essere necessaria se la delibera della Provincia di Imperia (in cui ha delimitato il territorio occitano) è posteriore al 20.06.2000 e antecedente all’emanazione del D.P.R. 345/2001. E’ fondamentale sottolineare che il decreto attuativo della legge doveva essere adottato entro sei mesi dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale (20.12.1999). Il ritardo normativo (colmato nel 2001 con il DPR sopra citato) ha creato un intervallo di tempo (vacatio) in cui l’unico strumento normativo di riferimento rimaneva la Legge dello Stato 442/99. Considerato che la legge imponeva un limite tassativo (6 mesi) all’emanazione di altre norme attuative, e che in questo periodo di tempo si è disatteso alla disposizione di legge, come si poteva sapere SE e QUANDO dette norme venivano emanate?
    In parole povere: si è venuto a creare un vuoto normativo in cui l’unico punto di riferimento era la legge in vigore. Perciò è ovvio supporre che la delibera del Consiglio Provinciale (luglio 2000) sia pienamente legittima anche senza motivazione.

    Altro discorso, tra l’altro interessante, è quello proposto da Gianni, il quale ha detto: “mettiamo che la provincia abbia motivato l'occitanita' dei due o tre paesi. Anche con un'uscita "stramba" o ad es.: "perche' lo dice la vastera, perche' lo dicono studiosi locali (non per forza scientificamente riconosciuti) o perche' chesso', area di confine e dialetto diverso dal resto provinciale..": esiste un controllo dello stato su questa motivazione?
    perche' se basta motivare con un'affermazione, anche gratuita, per accedere ai benefici di tale legge: non penso ci sia possibilita' di adire legalmente contro tale procedure, se non con una riforma legislativa futura e magari retroattiva”.

    Fermo restando quanto sopra espresso, è bene sottolineare che Gianni non ha tutti i torti. E per questo mi servirei di un esempio; mettiamo che la delibera della Provincia per delimitare Olivetta San Michele sia posteriore al D.P.R. 345/2001, è evidente che si debba rispettare il dettato normativo che considera la “motivazione” un atto fondamentale del provvedimento.
    Questa motivazione, non mi pare sia scritto da nessuna parte, quali caratteristiche debba avere.

    Per cui, caro Gianni, continua a scrivere, perché il tuo è divenuto uno spunto interessante!

    RispondiElimina
  56. A me pare che gli argomenti giuridici in questa faccenda siano alquanto complessi e poco utili ai fini pratici: mi pare anche di capire che ci siano margini di discussione da parte di ambedue le posizioni, nel senso che, se ha ragione Gius, la “finestra” è comunque un argomento un po’ stiracchiato (così mi sembra), se ha ragione il Giurista, gli si può sempre opporre l’esistenza della “finestra”. In merito al decreto presidenziale, su un volume scritto da un linguista (quindi non necessariamente attendibile sotto il punto di vista giuridico) leggo che il Ministro per gli Affari Regionali costituì il 17 marzo 2000 un comitato tecnico-consultivo, il quale elaborò una proposta di regolamento che, dopo i pareri espressi dalle Regioni e dal Consiglio di Stato, fu approvato dal Consiglio dei Ministri l’11 aprile 2001 e recepito dal Decreto Presidenziale del 2 maggio 2001 che fu pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 13 settembre 2001. Ignoro cosa tutto ciò significhi ai termini della vostra discussione, ma forse si tratta di elementi utili per le vostre valutazioni. Ciò detto, dal mio punto di vista il problema non è tanto se la Provincia fosse tenuta o meno a motivare i suoi atti, mi pare evidente che se anche non risultasse che era strettamente tenuta a termini di legge, ciò è stato dovuto a una mera casualità. Le perplessità di carattere linguistico restano intatte, i dialetti parlati a Realdo, Verdeggia e Olivetta San Michele restano liguri-alpini fino a prova contraria, come già si sapeva ampiamente prima che i Comuni ne dichiarassero il carattere “occitano”, e credo che sarebbe corretto che la Provincia rendesse noto i motivi per i quali questo carattere “occitano” è stato accolto e avallato presso lo Stato. Dire che non è tenuta a farlo mi pare un argomento un po’ povero di fronte agli argomenti che sono stati addotti e alle sollecitazioni che sono sopravvenute, dopo di che questa è una valutazione che dovranno fare i politici locali, mentre per i linguisti non mancheranno occasioni per ribadire quale sia la realtà linguistica delle aree di cui stiamo parlando. La domanda è se, una volta che è stato sollevato il problema della reale appartenenza linguistica delle loro popolazioni, per i tre centri liguri non sia il caso di rivedere le delibere della Provincia, indipendentemente da quelle che sono le procedure, motivate o meno, con le quali gli enti locali sono invitati a dichiarare l’appartenenza a questa o quella minoranza. Il problema è dunque, mi ripeto “se eticamente, culturalmente e politicamente siamo soddisfatti di mantenere in piedi un'affermazione non corretta”. Posso citare un esempio a mio avviso corretto di atteggiamento nei confronti della L.N. 482/1999, quello della Provincia di Torino, che, come scrive il linguista T. Telmon, per ammettere l’istanza del comune di Cafasse di essere compreso nella minoranza francoprovenzale “ha saggiamente richiesto un parere al dipartimento di Scienze del linguaggio dell’università di Torino, che ha così potuto formulare una sorta di ‘carta d’identità’ della lingua locale al comune [dalla quale risulta che vi si parla un dialetto piemontese canavesano] impedendo così che, da parte dell’amministrazione provinciale, venisse avallato un falso”. Ritorna quindi una vecchia domanda formulata in questo blog: indipendentemente dalla correttezza delle procedure utilizzate, ha la Provincia di Imperia consultato a suo tempo dei tecnici (ossia dei linguisti) prima di avallare la richiesta dei comuni di Triora e Olivetta San Michele? Se non lo ha fatto, non sarebbe il caso di aprire quanto meno un tavolo di discussione, e di tornare sulla decisione a suo tempo formulata nel caso in cui essa risultasse (come risulterebbe) basata su dati oggettivamente scorretti? Questo mi pare il minimo della correttezza nei confronti delle popolazioni interessate, dei restanti cittadini della Provincia di Imperia (per non dire della Regione e del Paese), dei linguisti e dei giuristi, anche se mi rendo conto che gli atteggiamenti dei politici si sviluppano spesso secondo logiche a sé stanti. Un cordiale saluto a tutti, FT

    RispondiElimina
  57. E' sicuramente nobile il comune piemontese che “ha saggiamente richiesto un parere al dipartimento di Scienze del linguaggio dell’università di Torino, ... impedendo così che, da parte dell’amministrazione provinciale, venisse avallato un falso”.

    1) I tempi dei provvedimenti sono importanti ma un’altra realtà non trascurabile è che nella normativa non vengono indicate le caratteristiche che deve avere la "motivazione"; entrambe le questioni possono aprire un impegnativo dibattito giuridico che andrà quasi certamente a scagionare chiunque da qualsiasi accusa di reato.

    In altre parole e per essere molto sintetico: i margini della discussione ci possono essere ma, a mio avviso, è tempo perso agire in giudizio attraverso un'azione legale.

    2) La provincia, oggi, non ha (neanche sulla base di nuovi studi) l’obbligo giuridico di adeguare, modificare, cancellare, la deliberazione del 2000, né di aprire un tavolo di discussione.
    Questa è la realtà. Poi “se eticamente, culturalmente e politicamente” vorranno esprimersi e dialogare è altro discorso, ma spero per noi poveri cittadini imperiesi, che prima si concentrino in attività istituzionali di prioritaria importanza, atte a soddisfare le esigenze della totalità dei suoi abitanti.

    Buona giornata a tutti!

    RispondiElimina
  58. Caro Gius, ripeto che sono pienamente d'accordo sul fatto che di "aprire un impegnativo dibattito giuridico" non sia il caso, anche se lascio questa valutazione a chi ne ha parlato. Di conseguenza, non ho neppure sostenuto un "obbligo giuridico" da parte della Provincia "di adeguare, modificare, cancellare, la deliberazione del 2000, né di aprire un tavolo di discussione". Però l'esigenza di una presa di posizione su questo tema da parte della Provincia mi pare abbastanza prioritaria visto che stiamo discutendo, in ogni modo, di cose che riguardano per l'appunto tutti i cittadini come la tutela del patrimonio linguistico (e in senso lato culturale) del territorio. Sarà per inguaribile ottimismo, ma sono sempre stato dell'idea che gli enti pubblici non si debbano occupare solo di strade o di sanità, ma che la cultura abbia a sua volta un rilievo non indifferente in una corretta amministrazione. Altrimenti non mi sarei sentito in dovere di puntualizzare gli aspetti sconcertanti di questa vicenda che, mi creda, dal punto di vista del linguista sono sconcertanti per davvero. Un cordiale saluto e buon lavoro, FT

    RispondiElimina
  59. Caro FT, è vero ogni discussione, per cui anche la tutela del patrimonio linguistico, riguarda i cittadini nel loro complesso. E’ evidente, quindi, che “gli enti pubblici non si debbano occupare solo di strade o di sanità, ma che la cultura abbia a sua volta un rilievo non indifferente in una corretta amministrazione”. Il punto è un altro. Le strade o la sanità, a differenza della cultura, vanno a colmare esigenze prioritarie nella vita dei singoli cittadini, a cui importa di sicuro ben poco la disquisizione che sta avvenendo qui.
    In questo senso, pocanzi, affermavo l’idea secondo cui in una provincia in difficoltà come la nostra (turismo, floricoltura, agricoltura e lavoro in generale sono in fortissima crisi), è bene che siano privilegiati detti argomenti.

    Se poi, invece, vogliamo soffermarci sulla cultura in senso generale, è ovvio che all’interno di questa categoria ci sono altre priorità: edilizia pubblica (le scuole dei ns. ragazzi cadono a pezzi), offerta formativa accessibile sul territorio, ... poi anche la questione linguistica minoritaria può essere affrontata.

    RispondiElimina
  60. Questione di punti di vista, caro Gius, anche perché mentre le cose che giustamente lei elenca richiedono un impegno notevole, un dispendio di energie e di finanze e così via, porre fine a una situazione controversa come quella di cui stiamo discutendo è faccenda risolvibile in poche battute, e per quanto possa apparire "minore" darebbe senz'altro un'impressione di trasparenza e di disponibilità al dialogo che potrebbe solo giovare ai vostri amministratori, immagino. Col vantaggio inoltre di evitare che, come oggi avviene - e non certo per mia iniziativa, basta fare un po' di ricerca su internet oltre che sulla letteratura scientifica per rendersene conto - continui a essere diffusa l'immagine poco gratificante per Realdo, Verdeggia e Olivetta di avere amministratori quanto meno disattenti alla realtà culturale delle loro popolazioni e per la Provincia stessa di avere avallato scelte che, ne converrà, sono quanto meno discutibili. Un cordiale saluto, FT

    RispondiElimina
  61. Ma il linguista Lorenzo Toso non ritiene di mettere un eccessivo impegno nella faccenda dell'occitanità di Realdo, Vedaggia e Olivetta S.Michele? E' così importante che vinca la battaglia sul piano legale ed amministrativo? In difesa delle finanze dello stato? Ma via!
    Uno studioso non dovrebbe mirare soprattutto a convincere con la forza dei risultati suoi studi e serenamente attendere che maturi la convinzione che è nel giusto?
    Molti ritengono che l'eccessivo impegno...non abbia giovato ad avvalorare le sue opinioni.

    RispondiElimina
  62. Caro Anonimo, anzitutto mi chiamo Fiorenzo; in secondo luogo "molti ritengono" che la bufala dell'occitanità del brigasco e dell'olivettese sia ormai a tal punto nota nei suoi aspetti più deteriori, che essa si commenta da sola quali che siano le decisioni che la Provincia di Imperia vorrà (o non vorrà) prendere; in terzo luogo è a tutti chiaro che non mi muovo certo in difesa delle finanze dello stato, ma in difesa del buon senso e della realtà: di finanze parlano sempre, chissà come mai, quanti si danno pateticamente da fare per difendere l'insostenibile occitanità di questi dialetti; in quarto luogo non mi interessano le battaglie legali e amministrative, e non ho più voglia di ripeterlo; in quinto luogo io non ho da difendere studi miei sul brigasco e l'olivettese, ma dati di fatto comprovati da una bibliografia scientifica internazionale che lei troverà citata in altra parte del blog e che farà bene a studiarsi prima di dire sciocchezze; in sesto luogo non sarà certo lei a insegnarmi cosa comporta il mio mestiere e quali sono i miei doveri civili e morali; in settimo luogo, le mie opinioni non hanno bisogno di essere avvalorate, ne avrebbero bisogno se qualcuno si fosse finora dimostrato in grado di comprovare che a Realdo, Verdeggia e Olivetta si parla occitano; in ottavo luogo, "molti ritengono" che la questione non è nemmeno ancora agli inizi. Buonasera, e a presto, FT

    RispondiElimina
  63. @ultimo anonimo
    e serenamente attendere che maturi la convinzione che è nel giusto?
    Ma stai scherzando, spero, o chi vuoi prendere in giro? Cosa deve ancora maturare?

    RispondiElimina
  64. Caro Alberto, lascia perdere, il signor "molti ritengono" (A.L.) non si è ancora reso conto che la questione degli occitani fasulli è ormai entrata a buon diritto nello scemenzario linguistico internazionale. Se voleva essere una boutade pubblicitaria, forse ci sono riusciti, a Realdo e Verdeggia ci andranno i pullman di persone a vedere un caso di prostituzione collettiva per quattro denari.

    RispondiElimina
  65. Caro Carlo, non esageriamo, questo blog sta dimostrando che non tutti i brigaschi e gli olivettesi sono d'accordo nella questione dell'occitanità. A tutti gli altri non posso che raccomandare la partecipazione al tuo gioco a premi, ma mi sa tanto che bamboline e bambolone se ne staranno ancora un po' dove stanno. Forse l'unico premio che potrebbe circolare da quelle parti è il tapiro d'oro...

    RispondiElimina
  66. Vorrei invitare tutti i commentatori a leggere il bel libro di Paolo Emilio Taviani "Terre di Liguria". L'illustre studioso ligure scriveva, fra l'altro: "Finis Italiae non è finis Liguriae. L'Italia politica finisce a Capo Grimaldi, quella fisica alla Turbia. Dove finisce la Liguria?...La Liguria finisce dove la catena delle montagne non corre più, vigilante e incombente, sulla costa; laddove l'orizzonte s'allarga non solo sullo spazio profondo del mare, ma anche su quello dell'entroterra...A ponente finisce laddove si apre la spaziosa valle del Varo con le sue molte convalli..All'estremo limite occidentale della Liguria, Nizza si distende magniloquente dall'ultima roccia alpina bagnata dal mare dino all'ampio greto del Varo."
    Il libro è del 1974(!) e mai, dico mai!, viene asserito né accennato un dialetto o una lingua "occitana" o provenzale.
    Pensiamoci bene!
    Peccato che studiosi di tal calibro non abitino più in Liguria...
    Un nostalgico

    RispondiElimina
  67. Compar orso fa sfoggio della sua abililità prosaica ed oratorica per confondere le idee. Qui nessuno contesta il brigasco o i brigaschi, ma soltanto l'occitanità del dialetto brigasco.
    Il museo della cultura brigasca esiste già - ed è molto bello - nella sua sede naturale: Briga. Quello di Realdo, oltre ad essere un doppione, sarebbe costato un'enormità al Comune di Triora, che avrebbe dovuto trarre di tasca sua un bel pacco di soldi.Perché, invece di litigare con le cave di ardesie, il sindaco di qualche tempo fa non ha utilizzato i soldi delle concessioni per il suo museo?
    Mi pare che il Comune di Triora si sia comportato saggiamente e non alla "genovese". Mi pare che compar
    orso abbia un terribile astio verso i Liguri; chissà perché...

    RispondiElimina
  68. Purtroppo compar orso alias "alcuni ritengono" è aggiornato al libretto del Garnier che ha tradotto con tanto impegno qualche anno fa. La sua letteratura scientifica si ferma lì e tra l'altro da nessuna parte c'è scritto che a Realdo si parla occitano. Deve avere avuto un momento di eccitazione quando l'amico Gius ha sparato i suoi cavilli, ma naturalmente è tutto come prima, il brigasco rimane ligure alpino e aspettiamo tutti la dimostrazione del contrario.

    RispondiElimina
  69. anche perché in ogni caso l'impegnativo dibattito giuridico si può sempre aprire per la gioia degli addetti ai lavori.

    RispondiElimina
  70. La cosa più conveniente per tutti, più logica da farsi a questo punto è l'adozione di una nuova delibera da parte della Provincia di Imperia, a rettifica della precedente, con la quale si riconosce l'errore, sulla base di ulteriori profondi accertamenti.
    Il Comune di Triora e quello di Olivetta dovrebbero fare la loro parte.
    Inoltre dovrebbe scomparire quell'assurda croce occitana a confine con la Francia, posta dal Comune di Triora.
    Basterebbero un po' di carta, un adesivo e tanta umiltà, merce rara in questi tempi.
    Lanteri Pietro

    RispondiElimina
  71. ça serait la meilleure chose. Il faut rétablir l'unité des brigasques, et il n'est pas possible qu'en France leur langue soit classé du ligure et en Italie de l'occitan. En France, sans compter l'histoire et la réalité des faits, la definition du brigasque comme "occitan" serait impossible à un niveau officiel.

    RispondiElimina
  72. Visto che sembra che a nessuno piaccia Se chanta come inno degli Occitani Brigaschi, io ne propongo uno nuovo, ovviamemente scritto in grafia normalizzata occitana, così tutti lo possono capire, da Realdo (anzi, da La Spezia) a Tolosa:
    Ombras de morres, morres de mainars
    Donde ne venhitz, dove l'es qu'anetz
    Da un shito dove la lun-a se mostra nua
    e la nuètte a nos a pontat lo cotello a la goa
    E a montar l'ase gu'es restat Dieu
    lo Diao l'es in cel e o s'es gue fato lo nio
    Nos shomo da lo mar per shugar les osses da lo Drìa
    a la fontan-a dis combis ont la ca de pria.
    Vi piace?
    Sem occitans, paisans! (che si legge, in tolosano, Simm' ucità, paisà!)

    RispondiElimina
  73. @ultimo anonimo....
    Ma che bello il tuo inno occitano!!! davvero stupendo!
    possiamo metterlo in musica? Anzi per meglio dire: qualcuno lo ha già messo in musica, sai? qualcuno che di musica ne sa più di me! Qualcuno a caso, un certo Fabrizio de André che qualche anno fa scriveva una certa canzone a caso intitolata Creuza de ma, che pressapoco diceva:
    Umbre de muri muri de mainé
    dunde ne vegnì duve l'è ch'ané
    da 'n scitu duve a l'ûn-a a se mustra nûa
    e a neutte a n'à puntou u cutellu ä gua
    e a muntä l'àse gh'é restou Diu
    u Diàu l'é in çë e u s'è gh'è faetu u nìu
    ne sciurtìmmu da u mä pe sciugà e osse da u Dria
    e a funtan-a di cumbi 'nta cä de pria
    E 'nt'a cä de pria chi ghe saià
    int'à cä du Dria che u nu l'è mainà
    ......

    RispondiElimina
  74. Vuol dire che una bella poesia ligure si può trasferire persino in occitano, mentre l'occitano se lo leggono in quattro gatti perché è una lingua morta.

    RispondiElimina
  75. Dopo qualche giorno di trambusto tutto tace. I giornali si rifiutano di pubblicare l'ordine del giorno, i politici se ne strafregano, gli occitani se la ridono.
    E' così che si protegge la cultura?

    RispondiElimina
  76. Aspetta, ride bene chi ride ultimo.

    RispondiElimina
  77. Come si protegge la cultura in questa provincia ce lo ha detto in modo chiaro Gius anche se ci ha mischiato un bel po' di demagogia. Avete notato che Gianni è sparito dopo che lo hanno più o meno rassicurato sul fatto che i suoi datori di lavoro non corrono rischi legali? La cosa divertente è che mi sono informato e gli argomenti di Giurista valgono come quelli di Gius. A mister Alcuni ritengono lo devono avere spiegato, perché dopo le sue trombonate è tornato a fare l'orso in letargo. Mah, che gente.

    RispondiElimina
  78. Ho chiesto ad un consigliere di Verdeggia a quanto ammontasse il progetto del museo brigasco a Realdo. Ecco: 300.000 euro circa (600 milioni!), di cui 60.000 a carico del Comune di Triora e 240.000 per copertura CIPE. Il Comune ha preferito eseguire lavori di riqualificazione urbana a Triora.
    Valeva la pena spendere tanti soldi in un villaggio quasi disabitato?
    Ai bloggers l'ardua sentenza.
    Inoltre mi ha anche riferito che era stata presentata una domanda per la valorizzazione dell'occitano comperando aggeggi strani quali informatori turistici, schede, ecc. per l'insegnamento della lingua. Il tutto per svariate centinaia di migliaia di euro (!). Se ci tenevano tanto a queste cose, perché hanno fatto uno stradone asfaltato che non serve a nessuno? (vedere per credere...).
    O tempora o mores!

    RispondiElimina
  79. Mi sono veramente stancato degli anonimi. L'ho già detto. Ci vuole così tanto a darsi un nickname così da non confondere un anonimo da un altro? Se la cosa dovesse continuare non è detto che per fare commenti decida che vi dobbiate registrare. Vi ho abituato male.

    RispondiElimina
  80. L'ultimo anonimo dice una cosa interessante, ossia "che era stata presentata una domanda per la valorizzazione dell'occitano comperando aggeggi strani quali informatori turistici, schede, ecc. per l'insegnamento della lingua. Il tutto per svariate centinaia di migliaia di euro". A quanto pare, anche se poi evidentemente non glieli hanno dati (per fortuna c' è ancora del buon senso!) o non li hanno spesi, ad accedere ai fondi delle 482 quanto meno ci hanno provato. Questo dimostra un po' meno "disinteresse" di quello che continuano a predicare.

    RispondiElimina
  81. Ero sparito, caro anonimo, perche' avevo gia' dato.....(in termini di polemiche inesatte o inconcludenti). Continui a parlarmi di datori di lavoro...beh se sei contento...ritieni pure che ce li ho.....
    Anch'io tra gli anonimi vari ritengo di individuare una persona di triora che si accalora molto...
    infine lanteri pietro (immagino quello della croce occitana).
    domanda: ma c'e' un verdeggiasco che ti conosce o no?
    perche' se no sei un troll come molti di noi in questo blog (e pure sulla stampa, cosa molto piu' grave).
    inoltre ero sparito per problemi di famiglia. un saluto a tutti troll o no, e sopratutto a fiorenzo toso che si firma nome e cognome (e qui aldila' di posizioni a volte diverse, devo riconoscerglielo).
    gianni (dipendente del datore di lavoro che e' in testa all'anonimo che farebbe un piacere a dirmi chi e' cosi' lo so anch'io).

    RispondiElimina
  82. in quanto al museo, farei due discorsi.
    1) il museo a realdo sarebbe una sorta di cattedrale del deserto, mentre a triora, incluso in quello della stregoneria, sara' aperto tutto l'anno.
    2)l'orientamento in campo culturale e' di lasciare i beni culturali nei luoghi dove si trovano. non ha piu' senso oggi fare un museo egizio a torino, per intenderci. molte collezioni rimangono chiuse ma, almeno non ci sono "ruberie" di beni culturali, da parte di stati o di enti piu' potenti.
    infatti la nozione di bene culturale, a mio avviso, prevede innanzitutto la TUTELA del bene, la condivisione ed infine a margine puo' esserci anche un po' di profitto (ma penso che in italia manco gli uffizi di firenze possano ripagare le spese di gestione).
    quindi il "bene culturale" se ne puo' anche infischiare del fatto che a triora il museo sia sempre aperto mentre a realdo lo facciano solo i volontari....
    3)ed e' la strada che penso io:
    il museo, per quanto cattedrale nel deserto, deve essere fatto in terra brigasca!
    la sua funzione e' di testimoniare, magari a mo' di sepolcro o di lapide, la cultura brigasca!
    chi ci assicura che tra cinquant'anni, a triora, non decidano di ingrandirsi il museo della stregoneria e di sbattere fuori il materiale brigasco...(tanto ci sara' magari un museo ligure alpino a ventimiglia!).
    esiste un museo della resistenza a arzene, vicino carpasio, praticamente quasi sempre chiuso: eppure e' in quei luoghi dove i partigiani hanno combattuto!
    4) a triora si e' fatto tante cose:
    giochi, minigolf, campi da gioco. ma le frazioni?
    a verdeggia esiste una pista da ballo (fatta dalla pro loco), campi da bocce fatte dagli abitanti e tante iniziative fatte solo da gente del luogo......
    capisco che triora sia il comune piu' grande di imperia ma, "noi" figliastri non possiamo certo ritenerci fortunati.....
    in quanto alle cave di ardesia: altro esempio di sfruttamento senza futuro: bello schifo!
    se uno a verdeggia sposta una "ciapa" su un tetto e a triora lo vengono a sapere mandano il vigile; hanno gettato tonnellate di inerti nei torrenti, scavato montagne, e non c'e' uno (a livello provinciale e non) che si sia opposto!
    se strappi un fiore o cogli un fungo peste e corna.....queste cose gli studiosi autodidatti ex scribacchini municipali dovrebbero saperle.....o arrivarci ogni tanto...invece di criticare ex datori di lavoro propri e presunti altrui

    RispondiElimina
  83. Un saluto cordiale anche a lei Gianni, bentornato. Guardi che alla fine le nostre posizioni non sono tanto diverse, in più occasioni lei ha scritto di essere sostanzialmente d'accordo sul fatto che il brigasco non è un dialetto occitano, e se non è tornato indietro su questo punto, siamo pienamente d'accordo. Se invece è tornato indietro, le chiedo, come a tutti gli altri sostenitori di questa posizione, di dimostrarmi come e perché il brigasco e l'olivettese sono dialetti occitani. Inoltre apprezzo molto il fatto che lei ha il buon gusto di non accusarmi più di "avercela coi brigaschi" come ha fatto ultimamente Napo Orso Capo (o come diavolo si è firmato) dimostrando un'imbarazzante malafede. Il punto su cui le nostre posizioni divergono è essenzialmente cosa occorra fare a questo punto: se continuare a dire che il brigasco è occitano "perché sì", anche se la cosa è di fatto indimostrabile, o se sia più sensato, non foss'altro che per evitare il ridicolo, prendere atto della realtà. Questo comporterebbe a mio avviso che la provincia ritornasse sulle sue delibere (indipendentemente dal fatto che sia tenuta o meno a farlo, gli argomenti giuridici mi sembrano un po' miseri in entrambi i sensi), ma ci possono essere molti modi per farlo, forse anche senza rinunciare a quei quattrinelli che sembrano stare tanto a cuore ad alcuni. Una affermazione chiara del fatto che il brigasco e l'olivettese NON sono dialetti occitani è tutto quel che serve per chiudere la questione e finire di discuterne, ma in caso contrario, almeno per quanto mi riguarda, mi sentirò impegnato a continuare a portare il problema in tutte le sedi utili a discuterne. Sono poi d'accordo con lei quando, parlando d'altro, afferma che "la nozione di bene culturale prevede innanzitutto la TUTELA del bene, la condivisione ed infine a margine puo' esserci anche un po' di profitto", ma purtroppo in questo caso la tutela non c'è e non potrà esserci perché il bene culturale rappresentato dal brigasco (come beni culturali sono tutti i dialetti, per quanto mi riguarda) non verrebbe tutelato in sé, ma in quanto parte di una realtà culturale e linguistica, quella occitana, alla quale è totalmente estraneo. Di questioni inerenti a musei, cave di ardesia, streghe e quant'altro ho già detto che non capisco nulla, sono beghe locali nelle quali non voglio entrare, però continuo ad avere l'impressione che siano utilizzate per sviare il discorso dal problema effettivo che ci interessa in questa sede. Forse dovremmo lanciare un appello ad Alberto affinché dedichi uno spazio specifico a queste altre faccende. Un cordiale saluto, FT

    RispondiElimina
  84. caro professor toso.
    non sono tornato indietro. qualche passo avanti, dialogando anche con lei l'ho fatto!
    capisco innanzitutto che lei non ha finora, qui e forse altrove, trovato soddisfazione alle sue domande: che poi sono quelle veramente "tecniche", sulla classificazione della lingua.
    Io, da ignorante, non posso che affidarmi a cio' che lei dice ed ai rimandi dei professori che ha citato......
    le diro' le mie impressioni personali, invece. basate solamente sulla mia esperienza di vita.
    ho sempre avuto perplessita' su ritenere il brigasco occitano (e l'ho manifestato anche a qualche compaesano, magari della vastera).
    sono un amante della francia del sud, e l'ho girata abbastanza.
    qua e la', mi sono imbattuto nella storia "occitana". in qualche verso di mistral, o nelle storie dei catari o in qualche pellegrinaggio all'eremo della maddalena (patrona della provenza) a saint maximin la sainte baume.
    ebbene a me l'occitano mi e' sembrato una sorta di "spagnolo". devo dire di aver trovato pero' anche assonanze tra il catalano e il brigasco.
    leggendo qua' e la', anche dopo queste discussioni, mi sono inoltre domandato se "l'occitano esista"? fra tutte le minoranze linguistiche mi pare la piu' "artefatta"? infatti.....
    le ripeto di aver sentito l'occitano di valdieri e non mi e' sembrato certo lo "spagnolo" di limoux o di beziers. Quindi tocca a voi linguisti classificare quanti termini semantici e non occorrano per far rientrare nel "calderone occitano" un dialetto. mi e' anche sembrato che il brigasco, l'olivettese, il roiasco differiscano in maniera sensibile dal ligure di imperia, dall'occitano di limoux e dal piemontese di torino...ma perche' si faccia prevalere in esso la componente LIGURE mi affido al pensiero degli studiosi....
    la storia, piu' o meno la sappiamo.
    la contea di nizza, i savoia, il rattechement del 46: quando serviva (e mi riferisco al pastorelli) i brigaschi diventavano occitani (briga voto' in massa per l'adesione alla francia); oggi, che si vede servono piu' a poco: diventano liguri, per i francesi....
    Io sono pronto a qualunque "sentenza": io mi ritengo ligure, e lo sarei pure se abitassi in un'isola tedesca, perche' la liguria, in cui sono nato: arriva politicamente, oggi, dal confine con la francia alla lunigiana.
    Non posso che incoraggiarla a portare avanti con coraggio i suoi studi ed il suo impegno, anche al di la' della battaglia politica.
    Infatti dal punto di vista politico: e' la legge da riformare e semplificare. L'autocertificazione in questo campo non dovrebbe valere.....
    la seguo con simpatia ed empatia fidandomi che non ha differenti scopi che la ricerca della verita'.
    cio' a cui ritengo di dovermi inchinare nel qual caso venga definitivamente sancito che il brigasco non puo' rientrare nella tutela prevista dalla legge del 1999.
    cordiali saluti da gianni
    ps: mi scuso di aver risposto sopra le righe due post fa a qualche provocazione: ma e' anche il limite di questi blog in cui e' facile finire in flames e ammiccamenti (magari sbagliati).

    RispondiElimina
  85. Caro Gianni, il problema non è tanto quello di avere QUI delle risposte, quanto di ottenere risposte “istituzionali”, visto che la situazione linguistica del brigasco e dell’olivettese è molto chiara e che dal punto di vista scientifico c’è pieno accordo. Mi sarei aspettato un minimo di attenzione dall’amministrazione interpellata, non tanto per me, sia chiaro, quanto per i cittadini che hanno dimostrato interesse a un tema che continuo a ritenere di non poco conto in una visione complessiva della cultura tradizionale della nostra regione. Dalle mie parti, voglio dire persino a Genova, un atteggiamento di questo genere non passerebbe inosservato. Alla fine tutto si riduce a questo: per cercare di fare qualcosa di utile ai fini della tutela delle nostre parlate, bisogna proprio ridursi a inventarsi delle identità inesistenti? Ed è eticamente (oltre che politicamente) giusto avallare posizioni di questo tipo?
    A questo punto chiedo a tutti i partecipanti a questa discussione consiglio su come fare a smuovere dal suo silenzio l’amministrazione provinciale, forse voi che siete sul posto conoscete senz’altro meglio di me le persone che avete eletto. Per quanto mi riguarda, visto che dopo sollecitazioni di cittadini, linguisti e interi congressi la Provincia non sembra intenzionata a farsi viva, l’unica strada che resta per avere un riscontro, al di là di tortuose vie legali (che lascio ad altri), è quella di continuare a “rompere le scatole” in tutte le sedi fino a far diventare il caso imperiese ben visibile ai più diversi livelli, e da questo punto di vista debbo dire che siamo solo all’inizio. Il nervosismo di qualche esponente dell’associazionismo brigasco è ben motivato, ma a questo punto la palla in mano, come si suol dire, ce l’hanno quanti fino ad ora non si sono fatti vivi.
    Per quel che riguarda le sue opinioni sull’occitano: beato lei che da qualche parte lo ha sentito parlare, io in tanti anni ho trovato solo un po’ di anziani che parlano il provenzale in qualche paese (e il provenzale non è l’occitano tout court) e qualche militante che si sforza di parlare occitano per motivi ideologici. Inoltre i dialetti occitani e il catalano sono a tal punto simili che in passato si riteneva che fossero un’unica lingua, pertanto mi suona strano che lei abbia rilevato assonanze tra il catalano e il brigasco più che tra il brigasco e l’occitano. Comunque ho un paio di amici bolognesi che sostengono di essere stati a Barcellona e di essersi intesi con i locali parlando il loro dialetto, e molti piemontesi sono convinti che il catalano sia affine alla loro parlata. Abbiamo già chiarito che le affinità superficiali hanno un rilievo assai relativo in queste cose.
    Quanto al brigasco non è che “si faccia prevalere” una componente ligure, molto più banalmente il brigasco E’ considerato ligure a tutti gli effetti da tutti gli studiosi, come avrà visto dalla bibliografia citata: non si tratta quindi di componenti, si tratta di sostanza.
    Grazie per gli incoraggiamenti: in merito agli studi, il brigasco e il ligure alpino non sono però per me oggetto di ricerca più di quanto non lo siano gli altri dialetti liguri, anche perché tutto quello che c’era da dire su queste varietà è già stato detto, e bene, da ricercatori bravi e competenti; quanto alla politica, non m’interessa, il mio impegno è di carattere esclusivamente culturale e legato al ruolo che, come linguista specialista dell’area ligure ritengo di dover assumermi in questa questione: quindi la sua fiducia è ben riposta. Sul fatto che questa legge sia da rifare, siamo tutti d’accordo e questa è, a quanto ne so, la posizione della maggioranza dei linguisti italiani e stranieri; però non sarebbe male, mi creda, se qualche amministrazione intelligente cominciasse quanto meno a riconsiderare le proprie scelte anticipando, sulla base di dati universalmente noti e consolidati, una revisione che prima o dopo comunque dovrà essere fatta. Un cordiale saluto a tutti, FT

    RispondiElimina
  86. posso sbagliarmi, caro toso, perche' la lucidita' non e' il mio forte e a volte faccio confusione: ma non e' che la questione politica interessa anche a lei? intendiamoci: in senso lato....
    se la faccenda fosse meramente culturale e non avesse implicazioni politiche sul reale, lei e i suoi colleghi potreste continuare la vs battaglia in ben altre sedi....
    il problema non mi pare il riconoscimento di due miseri paesi di accedere ai benefici di una legge (in italia quanti benefici emolto piu' consistenti causano buchi nel bilancio!). Lei si accalora su un fatto politico: che questi due paesi possano avere i soldi della legge. Invece dovrebbe mettere in discussione la legge stessa. Da quel che ho capito tale legge avrebbe consentito, magari anche al genovese, di essere annoverato nei dialetti "occitani" se solo qualcuno ne avesse fatto domanda.....
    tale legge non enuncia criteri di classificazione, non richiede mi pare bibliografie di studi e nemmeno pone limite all'"occitanita'" tanto che basta una manciata di termine occitani (ad es. puera, fea ecc.) e gia' si potrebbe rientrare in dialetti che HANNO AL LORO INTERNO termini occitani!
    Ma il lavoro di questi linguisti e' applicato da qualche parte? E' insegnato nelle universita'? Perche' non si battono per il cambiamento dell'intera legge?
    perche' a bolzano si attacca solo il brigasco e non si fa invece un bell'ordine del giorno, non solo alla provincia, ma allo STATO: CHIEDENDO CONTO DI UNA RISPOSTA SUL PERCHE' IN QUESTA LEGGE I PARERI SCIENTIFICI DEGLI ADDETTI AI LAVORI siano cosi' ininfluenti?
    lei e' liguri (mi pare di capire) e vuole difendere i liguri: giustamente.
    ma essendo studioso deve essere un po' sopra le parti. lei deve essere e penso sia anche appassionato di tutte le lingue e dialetti: e non puo' guardare solo nel suo orticello. Esistono delle classificazioni scientifiche per cui si possa asserire l'occitano e' questo e quello no? si? e allora vengano applicate nella legge statale....senno' attaccare solo la delibera provinciale e' riduttivo e rischia anche di essere un po' sterile, o no?
    cordiali saluti
    gianni

    RispondiElimina
  87. sterile perche' si dovra' andar per vie legali, con esiti che sembrano incerti.
    eppoi perche' il vs lavoro di linguisti non otterra' AUTOMATICAMENTE un riconoscimento dalle istituzioni politiche, ma rimmarra' confinato a correggere gli errori delle "autocertificazioni", quando ci si riesce...
    insomma, ma la vs scienza e' riconosciuta da qualche parte o no?
    e' insegnata nelle scuole o no?
    avete una possibilita' di incidere sul reale, anche politico o no?
    e' come se l'archeologia avesse scoperto l'anello mancante dell'evoluzione (tipo austrolopithecus afarensis) e poi nelle scuole si continua ad insegnare il creazionismo?
    Se e' cosi' la scienza culturale e' confinata solo nei lavori degli studiosi e non ha presa sul reale.
    Allora tanto vale che si continui a sfidarsi sulle riviste specializzate e non si contesti le applicazioni politiche, che sembra non vi riconoscano.
    cordiali saluti
    gianni

    RispondiElimina
  88. La vs categoria intera dovrebbe essere toccata da questa legge e non per il caso singolo brigasco quanto perche' i vs lavori sono stati ignorati.
    Appellarsi alla buona volonta' della provincia? beh si puo' sempre sperare. Ma non risolverebbe il problema di fondo: la vs scienza non e' stata presa in considerazione....imho

    RispondiElimina
  89. Caro Gianni
    le sue osservazioni sono sono a loro modo abili, ma fondamentalemente incongrue. E’ ovvio che molti linguisti abbiano esternato le loro perplessità su questa legge attraverso gli strumenti che sono loro propri e che abbiano cercato di intervenire durante e dopo le fasi che hanno portato all’approvazione della 482/1999. Il fatto è che il riconoscimento di due “miseri paesi”, come dice lei, è un caso tra gli altri particolarmente significativo, perché qui più che mai, essendo chiaro a tutti il carattere non “occitano” di queste parlate, si toccano con mano le contraddizioni di questa legge e le manipolazioni che essa consente: manipolazioni pericolose da un punto di vista non tanto dei finanziamenti (come si ostina a pensare lei), quanto, lo ripeto, dell’eversione della realtà linguistica delle zone interessate, della percezione di essa, con ricadute molto pesanti in termini culturali e nell’ottica di una effettiva valorizzazione del patrimonio linguistico implicato e di quello contermine. Il motivo poi per il quale a Bolzano hanno emesso quell’ordine del giorno (il che non ha significato affatto, come dice lei “attaccare il brigasco”, caso mai difenderlo!!!) dev’essere più o meno stesso per il quale io mi sono sentito in dovere di prendere carta e penna e avviare con un mio scritto tutta questa discussione: è questione di competenze. Se quegli studiosi stavano facendo un convegno sull’area nizzarda, ovvio che si interessassero del sovvertimento della realtà linguistica brigasca più che di quella che stanno subendo altre zone, così come io, essendo specialista dell’area ligure, mi sono sentito in dovere di intervenire specialmente sull’area ligure, pur dopo aver denunciato a più riprese e duramente, mi creda, gli scempi provocati dalla 482 anche a livello generale (se vuole le trascrivo la bibliografia specifica sul tema). Ai linguisti specialisti dell’area piemontese il compito di mettere in evidenza i danni provocati dalla legge in Piemonte, e così via. E poi, se si ragionasse solo in termini di principi generali, allora nessuno si prenderebbe la briga di denunciare, che so io, un caso specifico di inquinamento, perché la legge dice che inquinare è un reato, e allora basta questo per annullare il danno ambientale. Eh no, troppo facile e troppo comodo, corrisponde al desideratum di un certo tipo di malcostume politico che annulla la partecipazione dei cittadini e che in passato ha consentito (e consente tuttora) scempi di ogni tipo. “Attaccare” (o per meglio dire, invitare a riflettere su) una delibera provinciale non mi pare affatto sterile, perché se come si spera l’amministrazione provinciale, in questo caso specifico, si deciderà alla fine a riconsiderare la propria posizione, o quanto meno a evidenziare i motivi per i quali tale posizione è stata sostenuta, sarà fatta chiarezza su un episodio: ed ecco dunque che i linguisti, come dice lei (ma anche i cittadini), avranno avuto una possibilità di incidere sul reale. Che poi esista un problema di rapporto tra scienza e realtà concreta (e se vogliamo “politica”) è innegabile, soprattutto in questo paese, ma appunto per questo ci si può sentire in dovere di migliorare le cose, le pare? A presto, FT

    RispondiElimina
  90. Ritengo di appartenere alla categoria degli ex scribacchini municipali autodidatti, evocati dal sig. Gianni l'altro ieri per i seguenti motivi: ho "scritto" per ben 35 anni presso il Comune di Triora e sono soltanto diplomato (ragioniere). Sono autodidatta in quanto ho sempre voluto approfondire le conoscenze; ciò fin dal 1970 quando ho lavorato agli Studi Liguri di Bordighera, conoscendo e diventando anche amico del professor Nino Lamboglia.
    Ciò premesso, vorrei precisare di non essere affatto contro i brigaschi. Vado spesso a La Brigue, dove conto alcuni amici, a Realdo, dove conosco tutti molto bene. Lo stesso vale per Briga Alta, con il cui sindaco ho un ottimo rapporto. Forse sono ritenuto contro i brigaschi per aver scritto un unico pezzo su Le Stagioni di Triora, di cui sono vicedirettore, dal titolo "Difendiamo il brigasco", nel quale esprimevo i timori di una generalizzazione occitana. Infatti, a seguito di una manifestazione occitana (Trior.oc) alla quale ho attivamente collaborato, Triora era stata definita da alcune riviste "classico borgo occitano". Per questo ho puntualizzato, fra l'altro civilmente. Ciò non è bastato e mi sono visto bersagliato dalla Vastera.
    Tutto qui.
    In seguito la nostra rivista ha pubblicato un intervento dell'amico Forner, criticato anch'esso. Poi, anche se avevamo da obiettare, non abbiamo più scritto nulla, per non enfatizzare uno scontro inutilmente. Hanno parlato in nostra vece i linguisti, e che linguisti!
    E' ben chiara la mia posizione, ma mi creda - signor Gianni - sono stato e sarò uno strenuo difensore di Briga e del Brigasco. In tal senso sto scrivendo un libro e recentemente sulla copertina del calendario della Pro Triora campeggia il quadro di San Michele della Collegiale di Briga, opera del triorese Battista Gastaldi.
    Spero di essere stato chiaro. Lasciamo che a parlare siano i lingusti: ne sanno sicuramente più di noi. Altrimenti si rischia di sbagliare e di fare brutte figure, come è accaduto a me inizialmente (fino al 2001) che, in alcuni libri, ho sostenuto erroneamente l'occitanità del brigasco.
    Per quanto riguarda le questioni del museo e degli interventi in terra brigasca, non mi sono mai pronunciato e non lo farò adesso. A dover chiarire semmai dovranno essere i sindaci ed i politici.
    Saluti a tutti

    Sandro Oddo

    RispondiElimina
  91. caro Oddo,
    ho letto qua e la' i suoi articoli, e non conosco le sue posizioni sulle "stagioni di Triora". Non posso obiettarle niente, ne tantomeno di essere autodidatta. Le ricerche vantano fior di autodidatti, a cominciare dalle grotte eneolitiche di Realdo!
    Non so se Lamboglia fosse autodidatta o meno: ma ne ho ricavato l'opinione di un'alta figura, appassionato della materia che studiava, ed autore di molti "passi avanti" nella comprensione della nostra Liguria.
    Penso che anche lei stia facendo molto per il suo paese (un paese oltremodo ricco di storia e, a mio avviso, bello). Le fa onore il suo intervento con nome e cognome. Mi riservo di leggere, quando avro' tempo, alcune sue opere: ma sono sicuro che sono valide e ben fatte.
    Mi scuso se l'ho offesa. Non si ritenga tirato in ballo come studioso autodidatta o scribacchino municipale.
    1) non e' nessuna vergogna essere dipendente comunale, provinciale o statale: quando si opera diligentemente il proprio lavoro (inoltre nel nostro discorso non ci interessa la professione...)
    2) e' vero che in italia i pezzi di carta o diplomi valgono ancora, ma personalmente ho conosciuto autodidatti "ferrati" nelle materie che studiavano e piacevolissimi da leggere/sentire; e professori laureati assolutamente scontati, banali, incapaci di trasmettere l'amore per cio' che e' la loro materia (in quei posti di rilievo, evidentemente, anche per altre qualita'......).
    Le porgo le mie scuse, anche se, valgono quel che valgono.....
    Cordiali saluti, stavolta, e visto che e' di triora: non mi faccia fare qualche macumba :-)
    gianni

    RispondiElimina
  92. sulla croce occitana, tra le altre, ho trovato su questo sito:
    http://www.lavousdechastelmanh.it/archivio/a36_3_4/occitania.htm

    "....E a tutto ciò si ricollega il discorso relativo alla croce occitana tanto diffusa in questi ultimi anni nelle nostre valli quanto vituperata nelle campagne di denigrazione della Consulta Provenzale. Questo simbolo, dall’origine antichissima, è stato scelto a partire dalla metà del secolo scorso per rappresentare tutte le terre d’Oc.
    Potremo citare la sua derivazione dalla croce copta, o croce di San Maurizio, quanto mai popolare nelle nostre valli, potremo mostrare un’incisione cruciforme con tre pallini per ogni braccio eseguita nella valle delle Meraviglie (probabilmente opera della “lobby occitana”dell’età del bronzo), potremo parlare dell’origine non tolosana ma provenzale-burgunda della nostra croce, elemento che la avvicina geograficamente alle Valli (il conte di Tolosa Guillaume Taillefer la adottò in seguito al matrimonio con Emma di Venasque, figlia del conte di Provenza, nel 990).
    Ma quello che ci preme far rilevare è che i simboli non nascono per generazione spontanea dalla terra, dalle rocce o dagli alberi, ma vengono adottati da territori, partiti, associazioni, istituzioni, squadre di calcio ecc. nei tempi e modi che le condizioni dettano (in Canada la bandiera con la foglia d’acero è stata scelta in seguito a un concorso tenuto qualche decennio fa). I simboli sono la sintesi grafica di sentimenti, storia, idee e non saranno certo dei lividi insulti a diminuire il fascino antico della croce occitana. .....".

    ora, la valle delle meraviglie, non dovrebbe rientrare nell'area linguistica e culturale occitana, essendo valle della beogna e non della tinea.

    RispondiElimina
  93. in quanto al sole della alpi: simbolo della vastera, lo ricordo sin dagli inizi dell'associazione.
    Tanto che sono convinto che la stessa LEGA NORD lo abbia fatto suo solamente in seguito.
    ps: chiaramente e' un simbolo presente in tutto l'arco alpino ma penso sia la vastera, il primo organismo o associazione, che ne hanno fatto simbolo ufficiale.

    RispondiElimina
  94. Scusate se mi intrometto, tra il serio e il faceto, in questa diatriba “simbolistica” che peraltro non c’entra nulla col discorso linguistico. Per quanto ne so io la cosiddetta “croce occitana” è essenzialmente un simbolo politico introdotto di recente (metà del XX secolo appunto) e certamente non generalizzatosi nelle regioni della Francia meridionale dove si parla(va)no dialetti “occitani”. La regione Provenza ad esempio non lo ha mai adottato. Nelle valli di Cuneo e di Torino va molto di moda, ma non si vede cosa c’entri questo con l’area ligure alpina: qui rappresenta più che mai un caso palese di “invenzione della tradizione” e di introduzione di elementi culturali estranei alla realtà locale (ah, già, c’è il “fascino antico”…!), il che ci lascia facilmente immaginare quale sarà il futuro dei nostri paesini se si va avanti con la questione dell’occitano... tutti insieme a intonare “se chanta” in tolosano stretto, e magari Napo Orso Capo è convinto davvero che i brigaschi ci abbiano fatto un affare Riguardo poi al fatto che questo tipo di simbolo si ritrovi nientepopodimeno che al monte Bego, buonanotte, lì c’è di tutto, e comunque prevalgono gli omini col pisello di fuori e i buoi con un bel paio di corna. Sulla storia della famosa croce, potremmo ricordare che fu condivisa anche dalla repubblica di Pisa, ma speriamo che non per questo diventino occitani anche i Pisani, il Vernacoliere ci andrebbe all’ingrasso… Niente da dire sul cosiddetto “sole delle Alpi”, è un elemento decorativo diffuso un po’ dappertutto, per quanto ne so io lo si ritrova anche in tutta la Liguria montana spezzino compreso. Sarà mica come nel caso di quella parola denàa ‘Natale’ di cui ho letto una volta che in pignasco è un prestito della superiore cultura occitana-brigasca, ma che poi si ritrova in tutta la nostra regione comprese le comunità liguri di Sardegna? Scherzi a parte, il c.d. sole delle Alpi è un simbolo talmente generale che chiunque può farlo proprio senza per questo affermare, a differenza di quel che avviene con la croce “occitana”, appartenenze e identità inventate a tavolino. Buona giornata a tutti, FT

    RispondiElimina
  95. Mi scusi, prof. Toso, ma non ho capito bene quale sarebbe la parola pignasca presa in prestito: Denàa? ossia Natale? MAI SENTITA!
    ps. Napo Orso Capo mi ricorda tanto i cartoni animati che guardavo da piccola!!!

    RispondiElimina
  96. Dev'essere di Buggio e significa 'Natale'. Ho citato a memoria dall'articoletto dove avevo letto la notizia, forse è deneàa o qualcosa del genere. Quel che conta comunque è che la forma denâ e affini (che deriva dal latino DEI Na(T)ALE o DIE NA(T)ALE) non è certo un prestito dell'occitano, e tanto meno del brigasco a tutto il resto della Liguria, dove è di diffusione compatta e antica (dal XIII secolo). Vedo di recuperare l'articolo demenziale e di verificare la forma pignasca (o buggese che sia). Un cordiale saluto, FT

    RispondiElimina
  97. Anche a Isolabona si diceva "deneaa", e forse sono dei pochi rimasti che lo sa. In realtà dovrei scrivere "deneää", almeno così scrivo questa "a" che nel mio dialetto è tra la "a" e la "o". Il professor Toso mi potrà essere d'aiuto. C'era anche un proverbio con questa parola ma non lo ricordo bene, quando vado giù me lo faccio ridire.
    Un lavoro che avrei dovuto fare da tempo. Procurarmi in ogni paese un bel paio di labbra e fotografarle quando pronunciano le vocali nel loro dialetto. Ogni paese un tipo di rossetto diverso. Non sto assolutamente scherzando.

    RispondiElimina
  98. L'idea del rossetto applicato alla linguistica è geniale. La a tendente a o, che è un fonema piuttosto diffuso in area ligure, viene reso in grafia fonetica con una a sovrastata da una piccola o (come nelle lingue scandinave), però non c'è un criterio per la resa in una grafia corrente. A seconda che abbia più della -a- o della -o- si trascrive con una di queste due lettere. Ad esempio in tabarchino scriviamo cantò, mangiò, anche se non è proprio una -o-, ma, per l'appunto, una via di mezzo. Un proverbio (non occitano!) sul natale: u freidu avanti Denâ nu gh'è dinè da puèilu pagâ 'il freddo prima di Natale non ci sono soldi che possano pagarlo' (per convincerlo ad andarsene). questo è dialetto di Arenzano. Ciao, F.

    RispondiElimina
  99. Dopo aver un po’ passivamente seguito lo sviluppo della “querelle” sull’occitanità del brigasco, sugli sprechi, l’uso improprio di fondi statali ed ipotetiche denunce, mi sono ripromesso di intervenire nel tentativo di fornire un modesto contributo per ridimensionare la“caccia all’untore” che mi sembra, ripeto mi sembra, trapelare in alcuni scritti.
    Comincerei con un fatto incontestabile : Da unica entità, salvo alcune frazioni di Ormea, la comunità Brigasca venne divisa nel 1947 tra 2 stati, 3 province, 4 comuni se vi pare poco…eppure siamo in Europa, non in Cecenia, con perduranti scarse possibilità di collegamento stradale diretto, salvo vecchie mulattiere in disuso…e qualche strada militare in pessime condizioni.
    Tra i pochi sprazzi di luce, l’asfaltatura della strada Realdo-Colle Sanson, si badi bene non sono un fautore della cementizzazione, grazie al lungo e tenace impegno della amministrazione locale e dell’associazione “A Vastera”che ha svolto ad onor del merito, su questi ed altri argomenti una meritoria opera di sensibilizzazione.
    Ciò premesso, dopo 60 anni molti problemi sono rimasti irrisolti e le fonti di reddito pressoché nulle, per completare il quadro idilliaco, lo spopolamento è quasi completato ed i paesi semiabbandonati, tutti al mare diceva la canzone, eppure con qualche risorsa aggiuntiva forse qualcosa si poteva fare ma, tant’è, mal comune mezzo gaudio….alla faccia degli ipotetici sprechi. Ragazzi qui siamo all’osso !! Per chilometri non esiste una rivendita ed i pochi punti di ristoro stentano a sopravvivere, la chiamano civiltà….. della pietra, direbbe qualcuno ! Cui prodest ? ? Eppure, grazie al patrimonio naturale esistente si potrebbe sicuramente puntare su un turismo intelligente, unica possibile fonte di reddito per i pochi abitanti superstiti, per lo più anziani pensionati spesso economicamente non in grado di assicurare nemmanco la manutenzione degli edifici di proprietà, in quanto alle risorse comunali e/o pubbliche stendiamo un velo pietoso…
    Siamo in tempi di vacche magre si dice , sarà pur vero, ma da queste parti le vacche grasse pare non siano mai passate, , i quattrini sono pochi, le priorità altre, un “deja vu”, non resta che aspettare un bel terremoto ed il problema troverà una soluzione definitiva !! Almeno così i soldi per lo sviluppo, se mai ci sono stati verranno destinati ad attività…. più redditizie….
    Sul blog a parte qualche eccezione, si discute in definitiva di sommi principi relativi alla presunzione di occitanità, (termine quanto mai labile e dagli incerti confini) e della legittimità di una legge che pare possa stanziare un piccolo contributo…
    A mio modesto parere non li ritengo argomenti da “crociate”, “A nu ghe semu”…I problemi veri sono ben altri.
    Lasciamo pure i dotti linguisti disquisire ma, per carità, atteniamoci ad un sereno e pacato dibattito, non è più il tempo di processo alle ben note streghe di Triora e soprattutto riservando un briciolo di rispetto anche per chi si sente moderatamente diverso e democraticamente manifesta posizioni fuori dal coro, non mi sembra in definitiva esistano movimenti irredentistici in itinere fomentati da presunte bramosie occitane e men che meno prese di posizione “contro” gli amici ligurofoni.
    Evidentemente la particolare situazione geografica della terra brigasca e la sua storia possono almeno in parte spiegare un sentimento diffuso, anche se non è da ritenersi un dogma, di sentirsi dei “diversi” dai vicini, non solo esclusivamente per questioni linguistiche, qualsiasi brigasco potrà confermarvelo, almeno su questo punto credo vi sia una forte convinzione.
    I motivi possono essere diversi, non solo meramente campanilistici, altri spiegabili anche con la dura lotta per la sopravvivenza in impervie zone montane, che hanno dato origine nel corso dei secoli a situazioni conflittuali endemiche, riferite in particolare al possesso dei pascoli.
    Ben noti infatti risultano i conflitti con le comunità confinanti, che portarono a scontri armati ed a processi, famosa la “querelle” ( vedi anche la famosa storia del “gallo” brigasco ), nei confronti dei pastori del Kyé della confinante valle Ellero che, tra l’altro, parlano un linguaggio che presenta interessanti affinità linguistiche ed il gioco di parole sulla fama di attacca-“brighe” affibbiata da qualche mala lingua ai brigaschi.
    Non dimentichiamo comunque un fatto, a mio avviso, assai importante e cioè l’appartenenza di Briga a casa Savoia per più di 600 anni, unità d’Italia compresa in effetti fino al 47 Briga e Tenda erano in provincia di Cuneo, molto anteriore a quella di Tenda vedi la signoria del “Gran bastardo” di Savoia, con una larvata politica di espansione nelle zone appartenenti alla Repubblica di Genova…generando ulteriori conflitti e rivalità che possono spiegare alcune contrapposizioni, quindi nel bene e nel male, una storia ben diversa dal ponente ligure.
    A Realdo, in località Colombera pare, (se non è una leggenda) esistesse un avamposto militare Piemontese che inviava messaggi tramite i volatili di qui il nome.
    Il servizio militare poi veniva svolto prevalentemente in Piemonte tant’è che sembrano esservi dei Brigaschi presenti persino alla guerra di Crimea… molti brigaschi poi possedevano in casa una immagine del re, lo ricordo personalmente ed al referendum a Briga vinse la monarchia…..questo spiega in parte, almeno in epoca passata, un certo attaccamento al Piemonte di cui sono testimone diretto ed una relativa facilità nell’esprimersi in piemontese-occitano.
    L’incontro a Briga nel 2004 ed altri successivi con gruppi provenienti dalle valli piemontesi ha confermato, se mai ce ne fosse stato bisogno, una facile reciproca comprensibilità.




    Il sentirsi diversi, non solo nella lingua, dai vicini più a valle, chiamati in gergo scherzosamente “Figun”è assodato, questo con popolazioni confinanti con le quali peraltro esistevano forti rapporti commerciali, spesso anche legami matrimoniali ed affettivi solidi, che indubbiamente hanno molto influenzato il vocabolario brigasco senza però mai riuscire ad omologarlo.
    Curiosamente lo stesso termine “Figun”viene usato dai provenzali francesi nei confronti dell’isola ligure di Vallauris,
    Indubbiamente siamo in una zona grigia, condizionata da tutta una serie di variabili ma, che al di là della diatriba accademica in corso, ha mantenuto una sua specificità ed un forte senso di appartenenza ad una comunità.
    La vituperata legge 482 in difesa delle minoranze che discende dalla famosa “Carta di Chivasso”, forse sarà perfettibile, come tante altre leggi più o meno “clientelari” ma, è un fatto, se qualcuno vuole rivederla riformulando in modo più preciso gli articoli normativi e le modalità per cui una comunità possa usufruirne esiste pur sempre un sistema democratico quale la via parlamentare, più che gli evocati ricorsi al TAR di cui ben pochi sentono la necessità….in quanto alla proposta di boicottare i ristoranti e /o i luoghi beh….
    Il sottoscritto proprio a Bordighera avrebbe qualcosa da ridire sui prezzi non sempre trasparenti… eppure continua a praticarla.
    Di una cosa sono certo, la comunità brigasca non si è mai venduta a chicchessia, figurarsi per trenta ipotetici denari, che se e quand’anche fossero stanziati, peraltro a norma di una legge esistente di cui tanti, più o meno titolati, hanno beneficiato, vedasi ad esempio “Guardia piemontese” in Calabria..
    Quattrini che ove concessi,state certi verrebbero sicuramente spesi oculatamente fino all’ultimo centesimo sudato per promuovere una lingua e una cultura in estinzione.
    Resto assai perplesso a dir poco, sulla contrarietà all’ipotesi di un eventuale allestimento di un piccolo museo a Realdo, testimonianza di un passato spesso dimenticato di sacrifici, di vita dura, di persone oneste, note più per la loro laboriosità che per il clientelismo, la sua visita (forse, sarò obsoleto) potrebbe costituire un esempio di vita vissuta alle future generazioni ma tant’è , meglio ricchi premi e cotillons…
    Vorrei poi sapere che” c’azzecca” col museo della stregoneria, con tutto il rispetto dello stesso !! Mettiamoci anche Belzebù !
    Amighi in definitiva qui non ci sono “panni sporchi”, nemmanco l’ odore di bustarelle e/o il coinvolgimento di politici corrotti, scusate ma gli approfittatori sono ben altri…..
    Se qualcuno vorrà fare una battaglia in favore della tutela del Ligure, avrà il mio modesto e convinto appoggio come recita il detto: “Unità nella diversità” e aggiungo io, nel massimo rispetto per la salvaguardia delle culture locali, patrimonio di noi/voi, di tutti, che nell’indifferenza generale vengono sempre più emarginalizzate o considerate al limite espressioni “retro”.
    In questo panorama brillano, almeno in parte, le felici regioni autonome dove troviamo i masi ristrutturati con i fiorellini sul terrazzo, i prati pettinati, magari la piscina, conventions linguistiche etc..grazie al contributo regionale, mentre da noi poco o nulla, per consolarci a Messina, c’è gente che vive nelle “favelas”, senza voler togliere niente a nessuno, qui si dovrebbe aprire un vero dibattito sui cittadini di serie A,B,C, ed i figli di nessuno…
    Comunque state tranquilli, tra qualche anno sicuramente non sentirete più parlare di brigaschi e di pseudo espansionismo occitano ed un giorno non lontano forse andremo al museo per vedere i liguri, così almeno questo problema verrà risolto, con un modestissimo risparmio di risorse, visti gli stanziamenti finora effettuati ! W la globalizzazione ed il mercato …
    Meditate gente….meditate, chiudo queste note con una battuta un po’ ironica, da trasformare in proposta di legge regionale, per non scomodare il parlamento, qualora fosse accertata da un tribunale l’appartenenza dei brigaschi alla categoria dei “meticci”, lo scrivente sicuramente lo è, gli eventuali eretici che si dichiarino sostenitori e/o simpatizzino per l’ipotesi occitana dovranno sottoporsi per legge:
    1) all’esame del DNA provinciale magari in presenza dell’assessore alla sanità per rintracciare il tasso legale di occitanità prima di usufruire di eventuali assegni di sopravvivenza
    2) ad un esame di pronuncia tipo quella de I “vespri siciliani” in modo da dividere i “veri liguri” dai fasulli, se no sono cazzi acidi, o come in in Piemonte, basterebbe scandire la classica frase, indice di piemontesità “Tre peperoni bagnati nell’olio”.
    3) per gli apostati c’e poi la condanna del concilio di Bolzano (paese di Bengodi per le minoranze) che provvederà al rogo degli eretici magari, per analogia in quel di Triora, nonché alla scomunica “urbis et…orbis” delle autorità complici di presunzioni di “inciucio”.
    Suvvia, non angustiamoci troppo e soprattutto, come dicono a Roma…. “volemose bene” !! ARVEIRU - AU REVOIR


    Firmato da Frico detto“ Ëř pařm jbiégh ”

    RispondiElimina
  100. salve amici, eccomi nella mia "puntuale" puntatina serale, anzi notturna.
    Ho chiesto al mio genitore brigasco: questo denaa o come diavolo si chiama non risulta nel brigasco di verdeggia: sembra risultare invece in quel di viozene.....

    RispondiElimina
  101. la mia opinione e' che le razze e le lingue si stanno mischiando sempre piu'. E forse e' un bene.
    Da una razza deriviamo (in africa i primi ominidi) e verso una razza sembra stiamo andando: l'uomo globale o globalizzato.
    gia' oggi il nostro italiano sembra un dialetto: ad es. su internet.
    se uno vuol comunicare e ricevere informazioni "internazionali" un minimo di inglese e' indispensabile.
    l'inglese mi pare sara' la lingua del futuro, il nuovo esperanto o semmai l'esperanto che gia' c'era e che si e' imposto per motivi politici, commerciali e storici.
    Le montagne sono di tutti e le culture devono essere aperte a tutti. Personalmente conosco uno studioso del sud italia che ha fatto ricerche e divulgazioni, molto aprezzabili, sul dialetto ligure!
    Quindi io auspico che i dialetti e le lingue non siano piu' tendenti a separare, a non far comprendere, ma che diventino un patrimonio culturale accessibile a tutti: anche dentro appositi musei e allestimenti vari...

    RispondiElimina
  102. sulla bandiera occitana.
    mi e' molto cara. beh, molto e' dire tanto......
    Mi pare di averla vista in languedoc-roussilon; una patria che forse i provenzali piemontesi (che rifiutano l'occitano) non amano molto: ma che ha gia' nel suo nome regionale l'antica lingua trobadorica.
    Non conosco la sua storia ma, personalmente, mi richiama alla sanguinosa crociata medioevale contro i catari, al rogo di Montsegur.
    Questi gnostici dualisti che avevano sfidato la chiesa di Roma e che vennero soffocati nel sangue; eretici che forse avevano capito come andava questo mondo tanto da rifiutare la procreazione (non il sesso, si badi bene!).
    Dopo la cosiddetta "crociata albigese" l'occitania decadde definitivamente e la lingua d'oil prese campo in tutta la francia del sud.

    RispondiElimina
  103. cito dal massajoli R'ni d'aigura n°43, gennaio-giugno 2005, pag. 79
    "Genova arriva a dominare la costa fino a La Turbie, dove Dante pose i fines Italiae, ed entra in conflitto col Regno di Provenza e con Ventimiglia, che si ribella. La contea di Ventimiglia viene spartita tra Genova e Provenza. Solo la parte alta (Tenda, Briga e talvolta Limone e Vernante) rimane indipendente, sotto il nome di Contea di Tenda, consacrata dalle Paci di Aix (1265 e seguenti).
    E' questo il momento storico, l'occasione per la nascita dei dialetti roiaschi, (e quindi del brigasco). Il territorio della Copntea rimane tagliato fuori dai contatti con la Riviera LIgure e dalle sue evoluzioni linguistiche, che, soprattutto a Genova, volgevano sempre piu' verso il toscano, l'emiliano e, in definitiva l'italiano.
    E' chiaro che, sottratti ai contatti con il Ligure, il Brigasco e gli altri dialetti Roiaschi, subiscono un influsso occitano importante. E questo influsso si ritrova significativamente nel Lessico (soprattutto), nella Grammatica (meno), nei costumi e nella mentalita'. Nulla invece nella fonmetica, che e' esclusivamente ligure (alto medievale) con molte elaborazioni originali proprie." "..........", " Si dira': ma voi avete favorito l'inserimento dei paesi brigaschi nel disposto della Legge 24/121999 n. 482 che riconosce le "minoranze linguistiche storiche d'Italia".E' vero: ma abbiamo detto (ns.Numero 36) che poiche' non esiste tutela in LIguria dei linguaggi tradizionali e dato che il Brigasco ha una componente occitana comunque importante, tanto vale approfittarne per conseguire una tutela culturale, che in ogni modo potra' essere utile.".

    come dire: a me pare che sia la legge da cambiare, troppo vaga....
    pero' c'e' da dire che se c'era qualcuno che poteva aspirare piu' di altri ad assomigliare agli "occitani" quelli sono i brigaschi (nemmeno i roiaschi, dato che tenda e' gia' piu' "imbastardita").

    inoltre mi lascia alquanto perplesso, nello stesso numero del r'ni d'aigura, il Forner:
    pag. 16
    ".....cio' prova che il gruppo roiasco-pignasco sta in un rapporto di parentela con quel gruppo ligure che si parla lungo le coste. Ma anche con il nizzardo, il rapporto di parentela del gruppo Pigna-Roia e' intenso.
    Conclusione. Se il roiasco fosse occitanico, lo sarbbe anche il pignasco; se il pignasco e' ligure, lo e' pure il roiasco."

    amici di Pigna (per quanto da esperienze personali penso che il brigasco sia differente dal brigasco e vi reputi figun anche voi) perche' non vi date da fare anche voi per rientrare negli occitani? cosi' si risolve il problema ;-)

    RispondiElimina
  104. Buongiorno a tutti, vedo che ci sono diversi contributi interessanti alla discussione, alla quale intervengo a mia volta volentieri. Per Frico: sinceramente non vedo cacce all’untore, crociate e processi alle streghe, quanto tentativi di ragionare su un pesante condizionamento che rischia di svilire il patrimonio linguistico e culturale di tre paesi (Realdo, Verdeggia e non dimentichiamoci mai Olivetta)e di annullarlo in un contesto estraneo. Dal problema linguistico terrei separato quello storico-amministrativo (a prescindere dal fatto che né Viozene né Verdeggia mi risulta abbiano mai fatto parte del comune di Briga) e i meriti indubbi dell’associazione A Vastera nel tentativo di salvare il salvabile dell’unità storica dei Brigaschi (salvo poi metterla in discussione dal punto di vista linguistico, come ha affermato acutamente J. Pastorelli, favorendo la dichiarazione di “occitanità” della parte italiana mentre quella francese risulta ufficialmente ligure: un bel caso di divisione!). Lascerei da parte anche il problema delle fonti di reddito e della povertà endemica della montagna, e questo per due motivi: 1) perché questa, purtroppo, non è una prerogativa della zona brigasca, ci sono interi comprensori delle Alpi Cuneesi completamente disabitati (e la 482 non ci può far nulla) così come nell’Entroterra Ligure, dove non a caso è tornato il lupo e i cinghiali assalgono le (rare) vecchiette nei (rari) villaggi abitati; 2) perché se si considera la 482 una fonte di reddito in grado di “stanziare un piccolo contributo”, allora ritorniamo al punto di partenza, e vedete che non sono io a sostenere che ci si può dichiarare “occitani” (o ladini, o albanofoni) per motivi di cassetta. Se questi sono i nobili scopi identitari, siamo di nuovo al punto di quanto scriveva qualcuno qualche mese fa, dichiariamoci tutti occitani e facciamola finita. Più avanti lei dice oltrettutto che questi soldi sarebbero “spesi oculatamente fino all’ultimo centesimo sudato per promuovere una lingua e una cultura in estinzione”: l’esperienza dal 2000 ad oggi dimostra purtroppo sostanzialmente il contrario. Sono d’accordo sul sereno e pacato dibattito, ma qui stiamo discutendo di un argomento preciso, di carattere linguistico, e se ci mettiamo a disquisire sulla crisi della montagna (argomento che mi sta a cuore non meno che a lei) non ne usciamo più. Guardi poi che nessuno mette in dubbio che i brigaschi si sentano “diversi” dai loro vicini, lo stesso succede anche a Urbe e a Sassello e ci mancherebbe altro se non fosse così: il punto è se sia giusto cavalcare questa diversità appiccicandole addosso un’etichetta comoda (visto che, lo dice lei e non io, consente di accedere a “qualche piccolo contributo”) ma storicamente priva di qualsiasi fondamento, linguisticamente inconsistente (è questo il punto che mi interessa) e per quanto mi riguarda, come ho già detto, destinata a condizionare pesantemente la percezione del patrimonio culturale delle località implicate, e non solo. Come a dire, che il rimedio è peggiore del male. Quanto all’antica appartenenza amministrativa al Piemonte, è tutto vero, per carità, ma che c’entra con la lingua? A Sarzana si parla lunigianese eppure è in Liguria, a Gavi si parla ligure eppure è in Piemonte… Se c’è stata una conseguenza storico-linguistica in tal senso, essa è consistita nell’orientamento dei brigaschi verso il piemontese, non certo verso l’occitano (la sua dizione piemontese-occitano non ha senso, purtroppo). Sulla storia della parola “figun” mi permetto di rimandarla a un mio articolo pubblicato nel volume “Liguria linguistica” edito a Ventimiglia nel 2006: dalla documentazione storica (sec. XV in poi) risulta che la parola è nata in Liguria (essenzialmente a Genova) e si è diffusa in aree peri-liguri e liguri montane per indicare i liguri marittimi; in Provenza si è diffusa dalle stesse parlate liguri nei casi di contatto (su Vallauris, Mons e altre “colonie” liguri in Provenza ho scritto un lungo articolo sulla “Revue d’études d’oc” nel 2004, anche lì si chiarisce la questione, per quanto possibile, con argomenti linguistici). Nessun dubbio che l’area ligure alpina abbia “mantenuto una sua specificità ed un forte senso di appartenenza ad una comunità” (dove la comunità esiste ancora, perché purtroppo torniamo al tema dello spopolamento), ma che dal punto di vista linguistico essa sia una zona grigia, non lo si può sostenere alla luce di una bibliografia ormai pluridecennale (la trova in allegato a uno dei capitoli di questa discussione). Quanto alla L.N. 482, a dire il vero, almeno tra i linguisti si è sostanzialmente d’accordo sul fatto che essa sia ben lungi dal sostenere la causa delle minoranze e i principi della Carta di Chivasso, per motivi che ho già detto e che non vorrei ripetere (ingessamento delle identità linguistiche, negazione del plurilinguismo tradizionalmente presente nelle aree di minoranza ecc.); comunque la sua revisione non è il problema di cui stiamo discutendo (stiamo infatti cercando di trovare uno straccio di elemento linguistico che dimostri che a Realdo ecc. si parli occitano: finché non troviamo questo elemento, non si può sostenere criticamente, al di là della liceità delle delibere relative, che i comuni di Triora e Olivetta S.M. hanno diritto d’accesso ai benefici di legge). Guardi poi che a Guardia Piemontese si parla effettivamente “occitano” (o per lo meno, lo si parla storicamente), e che quel comune, a differenza dei nostri villaggi, ha tutte le carte in regola per dichiarare l’appartenenza della sua popolazione a una minoranza linguistica: valgono le stesse considerazioni linguistiche che possono essere impugnate a contrario per dimostrare che in provincia di Imperia non esiste un paese che sia uno dove si parla occitano. Se davvero lei crede utile una battaglia anche in favore del ligure, si dia da fare, è l’unico modo per tutelare convincentemente anche il ligure alpino brigasco, perché la “diversità” di cui parla, sotto l’etichetta occitana, è destinata a venire omologata a una realtà estranea (ma non si aspetti comunque masi ristrutturati e altre cose del genere, lì la lingua c’entra poco, e poi le ricordo che Messina è in Sicilia, altra regione autonoma!). A parte le battute non sempre felici sul DNA, da meticcio quale felicemente mi considero da sempre ritengo anch’io che una legge regionale seria potrebbe evitare ai brigaschi l’umiliazione di essere dichiarati “occitani” per vedere tutelato il proprio patrimonio linguistico. Perché non ci proviamo? Risposte telegrafiche a Gianni (scusi la sinteticità, ma il sig. Frico ha monopolizzato la mia attenzione). Denàa e simili è comune un po’ dappertutto, è voce presente sia in Liguria che in Provenza (molte voci presunte “occitane” sono appunto comuni alle due regioni, e così molte voci presunte “liguri” in Provenza). D’accordissimo dunque sul meticciato e sul fatto che le montagne son di tutti. Un po’ meno sui futuri destini dell’inglese. Adesso sembra così, ma un secolo fa lo dicevano del francese. Poi conta anche la demografia, cinesi e ispanoamericani da questo punto di vista non scherzano! Sulla “crociata” degli Albigesi, che pure c’è stata, c’è anche molta retorica, a quanto ne so, ma non entro nel merito. Mi fa invece piacere che le sia cara la bandiera occitana, io adoro quella sarda coi quattro mori e la croce rossa, però mi guarderei bene di propinarla ai miei compaesani (capita l’antifona?). La lettura di Massajoli, per quanto un po’ semplificata, è corretta: l’unico punto debole, se si valutano gli argomenti lingusitici, è l’influsso occitano "importante", che rimane indimostrabile, anche perché il lessico dal punto di vista della classificazione linguistica, conta poco e niente. Il criterio col quale Massajoli ha sostenuto l’inserimento dei paesi brigaschi nella tutela prevista dalla 482 conferma come vede, al di là della non dimostrabile “componente occitana importante” il mio assunto. Credo poi che l’ottimismo su “una tutela culturale, che in ogni modo potra' essere utile", M. lo abbia perso da tempo. Infine, i pignaschi hanno evidentemente un senso del buon gusto e della realtà che è mancato ad alcuni (dico alcuni) brigaschi. Un cordiale saluto a tutti, FT

    RispondiElimina
  105. Mi sento chiamata in causa, anche se ovviamente rispondo a nome mio e non di tutti i pignaschi. Come già mi sono ritrovata a dire (e come sostengo da tempo!) il dialetto (tutti!)a mio molto modesto parere, fa parte di una identità culturale da salvaguardare, ancor di più i nostri dialetti "deboli", che proprio perchè parlati da una piccola minoranza, hanno molte probabilità di scomparire, se non opportunamente tutelati (ed anche in questo caso, sarà tutto da vedere fra 20 o 30 anni!)
    Certo! sarebbe bello che ci fosse una legge a tutela dei dialetti, come a tutela delle zone montane che si spopolano... Ma non mi pare il caso, dato che la zona dell'estremo ponente ligure ha "un po' di problemi economici" di cercare di accedere ai contributi per la difesa... dei coccodrilli del Burgundi! che c'azzecca? Facciano una legge a tutela dei dialetti che si perdono, e a QUEL punto ci diano ciò che ci spetta!

    RispondiElimina
  106. Cara signora Pignasca, ecco una posizione limpida, chiara e per quanto mi riguarda assolutamente condivisibile. Se sentiamo la necessità (io personalmente la sento) di valorizzare il nostro patrimonio linguistico, abbiamo il modo di chiedere gli strumenti adeguati, senza bisogno di travestimenti e di scorciatoie senza ritorno. Un cordiale saluto!

    RispondiElimina
  107. Mr. Toso vous avez raison. A la Brigue on parlait le brigasque mais on entendait aussi (et parfois on parlait) le piemontais et un peu le ventimillois. Le piemontais était parlé aussi par les anciens breillois et il y avait aussi des habitants de Nice qui l'entendaient. Au contraire, on n'a jamais parlé à la Brigue ni le "nissart" (que j'ai appris un peu quand je suis venu habiter Nice) ni d'autres dialectes provençaux. On parlait aussi le piemontais avec des occitans (pour ainsi dire) du Piemont tels que les habitants de Limone et de Vernante, car notre brigasque differait trop de leur patois, et on avait comme "langue" commune seulement le piemontais.

    RispondiElimina
  108. Scusa Gianni ma se dici che nemmeno i provenzali del Piemonte la vogliono questa benedetta bandiera occitana, ce la dobbiamo proprio prendere noi che occitani non lo siamo neanche un pò?

    RispondiElimina
  109. scusate l'intromissione di un comasco che abita ormai da vent'anni a Ospedaletti, ma da quando seguo questa polemica, l'unico argomento a favore del brigasco come "minoranza occitana" è che così c'è qualche soldo da spendere. Peccato, perché a poco a poco tutti si convincono della posizione opposta che è ben motivata e sostenuta da prove serie, praticamente non c'è contraddittorio. La cosa preoccupante però è il silenzio della Provincia. Com'è possibile che non abbia argomenti per una risposta? Che sia tenuta o meno a prendere posizione, il suo silenzio sta diventando assordante.

    RispondiElimina
  110. Buona sera a tutti!
    Confermo: a Triora Natale si dice (anche se il vocabolo si sta perdendo) Denà. Anticamente (ai primi dell'Ottocento si diceva Deneor. Da "La Canzun de Franzé u peguror" cito:
    "Ma s'u ghe caccia a testa,
    u sa enscì leccheggior;
    u sa dezerne a festa
    de Pasqua e Deneor".
    Infine su La Stampa di oggi apprendo che la Vastera ha ricevuto un contributo regionale di 250.000 euro per il Museo della cultura brigasca a Realdo.

    Saluti!

    RispondiElimina
  111. L'anonimo prima di Sandro Oddo si inventi un nickname e reinserisca il commento. Poi io provvedo a cancellare quello di prima. Se non lo fa lo bannerò. Allora, parlo forse a vanvera?

    RispondiElimina
  112. per quanto mi riguarda, penso che il vero problema sia la legge.
    Intendiamoci Toso fa bene. Fa il suo mestiere, e la sua battaglia. Ma la legge non delimita "troppo" i dialetti che verranno tutelati.
    Anche solo leggendo gli studiosi (o almeno alcuni) che vengono citati come assertori dell'appartenenza ligure del brigasco, si vede come questi ultimi ritengano che il brigasco sia un dialetto singolare che puo' trarre in inganno sulla sua appartenenza piu' degli altri dialetti "roiaschi".
    ma veniamo ancora al Forner ed approfondiamo l'articolo sul r'ni d'aigura, perche' le mie perplessita', da ignorante, sono se possibile aumentate.

    da r'ni d'aigura N°43 Gennaio-Giugno 2005

    "Ci sono molti tratti che i dialetti roiaschi condividono sia col nizzardo alpino sia col ligure della costa.
    Questi tratti comuni non ci interessano in questa sede. Quelli invece che devono interessarci, se vogliamo scoprirne i gradi di parentela, sono i tratti che divergono dall'uno o dall'altro dei due gruppi vicini.
    Esempio: Se trovassimo molti tratti che il roiasco condivide con il nizzardo-gavotto, ma che escludono il pignasco, cio' significherebbe evidentemente che la frontiera linguistica passa fra Roia e Nervia. In realta' questo caso non sembra esistere nemmeno ( vedere sotto "formula 1 Roia e Nizzardo, contro pignasco = 0).
    Quello che troviamo, invece, e' proprio il rapporto inverso: i tratti che accomunano il roiasco al pignasco, ma che escludono sia il nizzardo sia il ligure litoraneo sono in numero di sei - cio' prova che il roiasco ed il pignasco appartengono allo stesso gruppo linguistico(v.sotto: "formula 2").
    Altri tratti ancora - si tratta di altre sette occorrenze - sono condivisi dai tre dialetti roiasco - pignasco - ligure (v:formula 3) - cio' prova che il gruppo roiasco - pignasco sta in un rapporto di parentela con quel gruppo ligure che si parla lungo le coste. Ma anche con il nizzardo, il rapporto di parentela del gruppo Pigna-Roia e' intenso (formula 4). Conclusione. Se il roiasco fosse occitanico, lo sarebbe anche il pignasco; se il piagnsco e' ligure, lo e' pure il roiasco.
    Gradi parentela:
    Formula 1:roiasco e nizzardo contro pignasco = 0
    Formula 2: roiasco e pignasco contro nizzardo e ligure = 6
    Formula 3 roiasco, pignasco, ligure contro nizzardo = 7
    Formula 4 roiasco, pignasco, nizzardo contro ligure = 8
    L'ipotesi ligure e' quella giusta, per altre ragioni meno immediatamente osservabili. Il gruppo pignasco-roiasco porta il nome di ligure alpino.
    (ndr. mi scuso ma non so riprodurre il grassetto dell'articolo).".

    MIE CONSIDERAZIONI:
    Lo specchietto parla chiaro ma lo studioso lo legge parzialmente.
    la formula 2, che porta il valore 6, e' la prova per lo studioso che "il roiasco ed il pignasco appartengono allo stesso gruppo linguistico".
    la formula 3 (valore 7) "prova che il gruppo roiasco-pignasco sta in un rapporto di parentela con quel gruppo ligure che si parla lungo le coste."
    la formula 4, VALORE 8 (MAGGIORE DELLA FORMULA 3, QUINDI), fa asserire : "anche con il nizzardo, il rapporto di parentela del gruppo Pigna-Roia e' intenso".

    A mio modo di vedere il commento sarebbe dovuto essere cosi':
    la formula 4 prova che il gruppo roiasco-pignasco sta in un rapporto di parentela CON IL NIZZARDO! ma anche con il ligure delle coste il rapporto di parentela Pigna-Roia e' intenso.

    infine lo studioso aggiunge, contraddicendo apparentemente il mero risultato dello specchietto:

    "L'ipotesi ligure e' quella giusta, per altre ragioni meno immediatamente osservabili. Il gruppo pignasco-roiasco porta il nome di ligure alpino."

    quali sono queste ragioni?
    Non sara' mica che non si puo' andare contro la prova definitiva, al piu' tardi gia' espressa dal Dalbera nel 1984 nella sua tesi di laurea?
    Nemmeno la matematica ha le prove definitive, mentre in questo campo linguistico gia' ci si e' messo una pietra sopra.
    Ma il dizionario brigasco non e' posteriore al 1984?
    Cos'e' questa prova definitiva, un dogma di fede religiosa? ;-)

    cordiali saluti da Gianni

    RispondiElimina
  113. forse non ho tratto la conclusione:
    lo specchietto creato da forner non segnala forse che il brigasco-pignasco e' piu' imparentato con il nizzardo che con il ligure?

    RispondiElimina
  114. Carlo, non e' che in piemonte non vogliono la croce occitana Solamente, non vogliono proprio la minoranza occitana.
    Naturalemente sto parlando di qualche associazione, non di tutte.
    Loro si definiscono provenzali.
    Il provenzale, ironia della sorte, non e' che una delle lingue dell'emisfero cosidetto occitano.
    Io segnalavo come, ironia della sorte, la regione che porta il nome dell'antica lingua doc NON SIA LA PROVENZA ma appunto la linguadoca, e ti assicuro che li', croci occitane oggi, ne ho viste diverse.

    RispondiElimina
  115. Caro Toso,
    se per i francesi il brigasco non e' occitano non vedo tutto questo scandalo.
    Se non ho capito male, per loro, nemmeno il nizzardo lo e'. Mentre per voi si.
    Forse manca anche una coordinazione, non fra gli studiosi, ma tra gli organismi di tutela e protezione linguistiche nei diversi stati. Per cui forse anche la loro legislazione e' aprossimativa.......

    RispondiElimina
  116. Chiedo scusa, va bene così? (Però, alberto, dovresti togliere il tasto "Anonimo"

    Da un sito che sembra ben informato: "la "bandiera occitana" è il simbolo di un partito politico, il Partit Nacionalista Occitan (in Italia MAO ... Movimento Autonomista Occitano), fondato da François Fontan (teorico dell'etnismo e del "nazionalismo occitanista") e come tale non rappresenta alcuna comunità ma un gruppo di attivisti politici. la "bandiera occitana" non è e non è mai stata un simbolo delle popolazioni delle Alpi Sud Occidentali; inoltre, tale vessillo non è mai stato un simbolo delle popolazioni del sud della Francia; esporre agli edifici pubblici delle vallate alpine altre bandiere o simboli oltre a quelli già presenti così come previsto dalle leggi vigenti rappresenta una violazione dell'imparzialità dell'istituzione comunale; la Prefettura di Cuneo ha risposto con lettera del 13 febbraio 2006 ( Prot. n . 3230/223Gab.) confermando che sui Municipi "non possono essere esposte bandiere straniere (...) e neppure simboli privati ( es: simboli di partito, simboli, di associazioni, e organismi vari)."

    RispondiElimina
  117. se e' per questo nelle alpi sud occidentali non si e' mai avuta, per centinaia di anni, la consapevolezza di parlare la lingua doc!

    http://www.occitania.it/ousitanio/old/00_08_t5.htm

    Scheda storica sulla croce occitana
    Chiamata comunemente croce di Tolosa, croce del Languedoc, croce Catara o croce Occitana, appare ufficialmente nel 1211 sul sigillo della Contea di Tolosa. La più antica croce giunta sino a noi è comunque quella che orna la chiave di volta della prima navata della cattedrale di Saint Etienne a Tolosa, datata appunto 1211.
    La sua origine, così come la sua datazione è discussa., è comunque anteriore all’epopea catara. Nel 990 Guillame Taillefer (conte di Tolosa dal 951 al 1037) sposa Emma, figlia ed ereditiera di Roubaud, conte di Provenza, che gli porta in dote alcune contee.
    Nelle terre provenzali occupate dal conte, i suoi vassalli avrebbero adottato per primi la croce come simbolo da imprimere sulle armi.
    La tradizione locale vuole invece che essa sia stata portata dal Conte Raimondo IV di Saint Gilles al ritorno dalla sua prima crociata in Terra Santa nel 1099, anche se un atto datato 1088 ne proverebbe l’uso ancor prima della spedizione: ma c’è più fascino a credere a una leggenda che ad un arido atto giuridico…..
    La rassomiglianza più sorprendente bisogna cercarla nei capitelli del chiostro di Santa Maria del l’Estany nella Catalonia. Questa croce sembra materializzare l’itinerario dei visigoti dalle rive del mar Nero a Tolosa, per i Balcani, l’Italia, la Spagna .Essa era utilizzata come simbolo de questo popolo cristiano, ma ariano, ed è questo ricordo che le steli elicoidali del Lauragais (in Languedoc) avrebbero conservato. E’ questo che ci avvicina all’epopea catara, che bisogna sempre legare alla storia visigota della regione.
    La croce occitana ricorda una ruota solare, simbolo del movimento apparente dell’astro nel cielo. E’ costruita su numeri cabalistici tre o quattro, perfetti sia nella cultura cristiana che in quella pagana: croci di questo tipo sono presenti in India, in Cina, ne esistono di simili in Catalonia e nell’Italia del Nord. Le sue quattro braccia rappresentano i punti cardinali, come nelle croci celtiche, oppure le stagioni, e le dodici piccole sfere le case dello zodiaco o i 12 apostoli.
    Risulta storicamente poco verosimile che i Catari abbiano portato qualsiasi tipo di croce; in effetti essi erano contrari a tutti i simbolismi, per non adorare un’immagine al posto del Dio Vero. Allo stesso modo, nessuna chiesa poteva diventare, nella loro credenza, un luogo santo. Solo il raccoglimento interiore poteva pretendere di essere una preghiera.
    Fin dai tempi piú antichi la croce occitana è simbolo perfettamente costruito e compreso dell’universalismo del popolo occitano, ben espresso in quel periodo storico dai Conti di Tolosa. Questa croce giunta a noi dai tempi antichi e carica di simboli, è associata da lungo tempo all’originalità della nostra cultura. Fondata su una reale identità comune, essa è oggi, in tutta l’Occitania (val d’Aran compresa) il segno distintivo del paese d’òc in seno all’Europa e allo spazio mediterraneo che afferma una identità propria, una cultura comune.
    Diventata segno distintivo di città quali Tolosa e Narbonne, delle Regioni Languedoc-Rousillon e Midi-Pyrénées, impressa nel granito della piazza del Capitole a Tolosa è usata inoltre dai club sportivi, da numerose imprese regionali. Sono stati creati dei gioelli ispirati dalla sua forma originale ed equilibrata.
    Nelle nostre valli questo simbolo è diventato oggi di uso comune

    RispondiElimina
  118. @Leovigildo
    Grazie. Purtroppo la piattaforma blogger non mi permette per adesso di fare questa operazione altrimenti l'avrei già fatta.

    RispondiElimina
  119. Caro Gianni, non ci siamo proprio. Ma chi l'ha detto che per i linguisti il nizzardo non è occitano? Certo che lo è, se vogliamo chiamare "occitani" i dialetti che si parlano a ovest della val Roia (dove si parla ligure alpino) fino ai Pirenei.
    Il fatto che i francesi ritengano il brigasco un dialetto ligure è, oltre che una prova del loro buon senso, un problema interessante per chi sostiene di lavorare per l'unità dei brigaschi, come osserva il nostro interlocutore francofono. Mi pare infatti che si possa essere d'accordo col sig. Pastorelli quando dice che chi sostiene l'occitanità ha creato un elemento di divisione rispetto al dato consolidato (e come tale accolto in Francia) che ci troviamo di fronte a un dialetto ligure. Quanto alle sue elucubrazioni sull’articolo di Forner, se la matematica non è un’opinione 7 + 6 = 13 a 8 per il ligure e non dimentichiamo che: 1) questi sono solo alcuni tratti considerati dallo studioso, 2) la formula 1 esclude una parentela esclusiva del roiasco col nizzardo, il che per i linguisti è un fatto decisivo; 3) non tutti i tratti hanno lo stesso valore e lo stesso rango, 4) affinità di vario tipo si trovano spesso fra dialetti diversi, ma non è sulla base di quei singoli fenomeni che si deve ragionare. Ma per non intasare il blog di miei scritti mi sono permesso di girare le sue osservazioni a Forner confidando che voglia darle lui, con la consueta chiarezza, un chiarimento che in realtà non dovrebbe essere necessario, ma tant’è... Repetita iuvant.
    Però propongo di mettere una moratoria all'esegesi dei testi di Forner fino a quando non avrà scritto, altrimenti non ne usciamo vivi.
    Piuttosto, lei che è senz’altro ben informato, può darci qualche informazione su questo museo della cultura brigasca di cui parla Sandro Oddo? La notizia è interessante e a me personalmente fa piacere (purché non sia un'occitanata!)
    Un cordiale saluto.

    RispondiElimina
  120. Grazie per la storia della croce occitana, siamo tutti ammaliati, proponetela a Voyager insieme al Santo Graal e ai templari del Principato di Seborga. Ma che centra tutto ciò con Realdo e compagnia?

    RispondiElimina
  121. Stralci da vari messaggi su questo post.
    Progetto del museo brigasco a Realdo. Ecco: 300.000 euro circa (600 milioni!), di cui 60.000 a carico del Comune di Triora e 240.000 per copertura CIPE.

    Domanda per la valorizzazione dell'occitano comperando aggeggi strani quali informatori turistici, schede, ecc. per l'insegnamento della lingua. Il tutto per svariate centinaia di migliaia di euro (!).

    Infine su La Stampa di oggi apprendo che la Vastera ha ricevuto un contributo regionale di 250.000 euro per il Museo della cultura brigasca a Realdo.

    Alla faccia della montagna abbandonata e della dura vita, finisce che Realdo ha un bilancio da casinò di Sanremo!

    RispondiElimina
  122. per leogivildo:
    che c'entra? e' appunto quello di cui stiamo discutendo.
    Per conto mio le bandiere con le croci occitane le vedo anche a valdieri ed entracque e per certi versi che c'entrano?
    era solo per risponderti che forse e' una croce piu' antica di quello che si pensa e qualche legame con la linguadoca ce l'ha...
    il bilancio del casino' di sanremo e del comune di sanremo era secondo, fino a qualche anno fa, solo a Roma. Quindi si prega di non "bestemmiare" ;-).

    RispondiElimina
  123. per toso:
    sono un semplice lettore della stampa, e devo dire la verita' ieri mi e' pure sfuggita la notizia. non ne so molto. ringrazio oddo per la segnalazione. penso che comunque anche sulla riviera uscira' tale notizia.
    per quanto riguarda la classificazione non occitana operata dai francesi sul nizzardo l'avevo letto su qualche sito non secondario: puo' essere che mi sono sbagliato.
    mi riservo di linkarlo qui in caso lo ritrovassi.
    ps. mi dispiace scomodare Forner, ma tant'e' l'agone e' l'agone! :-)
    rimango convinto anche io, fino a prova contraria, che il percorso dell'occitanita' brigasca operato dalla vastera: non ha trovato in tanti anni uno studioso accreditato che la sostenesse.
    Quali siano queste ragioni, fossanchero ideologiche o di bottega, non mi e' dato sospettarne senza portarne le prove.
    Rimane sempre il problema, pero', che la legge a mio avviso: non pone limite affinche' il brigasco possa rientrare nel calderone occitano (che tale legge sembra proteggere); essendo una legge molto "vaga" e molto lasciata alle "autodichiarazioni".
    D'altra parte nessun studioso puo' negare che il brigasco ha subito piu' o meno forti influenze occitaniche o nizzarde o come le si vuol definire.
    cito ancora forner, per l'ultima volta, per focalizzare ancora una volta il problema di come mai i brigaschi si "stacchino" un po' (scusate i termini) dagli altri liguri:

    stesso numero de r'ni d'aigura e stessa pagina citata in interventi sopra:

    "Un thesaurus comune sono pure le leingue qui presentate: I dialetti della Roia (da Tenda a Nord fino a Olivetta e Fanghetto nel Sude) stanno in un rapporto di parentela con i dialtti pignasxchi (di Pigna, Buggio, Castelvittorio, quasi anche Apricale). Gli esempi presentati sopra stanno ad illustrare, meglio d un discorso teorico, tale stretta parentela. SOLO IL BRIGASCO SEMBRA UN PO' DIVERSO. CHI E' STATO A BRIGA, O CHI CONOSCE LE "COLONIE" BRIGASCHE AL NORD O A SUD DEL SACCARELLO, DIRA' CH A SENTIRLO PARLARE, IL BRIGASCO NON DA' ALL'ORECCHIO L'IMPRESSIONE DI UN DIALETTO LIGURE, IL TENDASCO SI. (maiuscolo ndr.)".

    per forner, e nello stesso articolo, cio' non basta a non far rientrare il brigasco nel ligure ed io non posso controbattere a tale valutazione.
    Aspettiamo ancora qualche studioso qualificato che possa sostenere l'occitanita' del brigasco (se e' reale, naturalmente); e nel mentre attendiamo la risposta dalle istituzioni sia all'ordine del giorno di bolzano, sia all'attuazione della legge sulle minoranze e su chi ci rientrera'.
    cordiali saluti da
    gianni

    RispondiElimina
  124. fiorenzo toso ha scritto:
    Quanto alle sue elucubrazioni sull’articolo di Forner, se la matematica non è un’opinione 7 + 6 = 13 a 8 per il ligure

    >> Enno', caro Toso!
    chi lo dice che il brigasco-pignasco e' ligure?
    Lo stesso Forner afferma:
    "Se il roiasco fosse occitanico, lo sarebbe anche il pignasco; se il piagnsco e' ligure, lo e' pure il roiasco.".
    Quindi lasciamo in sospeso il roiasco-pignasco e vediamo le correlazioni con le altre due variabili:
    8 nizzardo
    7 ligure
    come dire:
    8-7 per il nizzardo.

    (palla al centro. terzo tempo. e applauso finale agli sconfitti) :-)
    gianni

    RispondiElimina
  125. La differenza non da poco sta nel fatto che a Valdieri e Entraque si parla occitano, a Realdo e a Verdeggia no. Ciao ciao

    RispondiElimina
  126. Per Gianni: a me pare una splendida notizia che a Realdo nasca questa realizzazione, anche perché dimostra che si può fare qualcosa (molto) di buono per la montagna senza bisogno di ricorrere a identità inesistenti.
    Per quanto riguarda la classificazione del nizzardo, forse il punto è il seguente: a livello anche istituzionale in Provenza si rifiutano (a mio avviso saggiamente) di entrare nel concetto di una “identità occitana” univoca, il che porta a parlare di una lingua nizzarda e di una lingua provenzale diverse dall’occitano unificato. Questa è anche la posizione sostenuta recentemente dal presidente della regione Provence-Alpes-Côte d’Azur. Può darsi che lei abbia visto qualche sito dove in questo senso si dice che il nizzardo non è occitano. Per il resto, che il nizzardo, pur con caratteristiche sue proprie, appartenga al gruppo delle lingue che per convenzione si definiscono occitaniche, dal punto di vista scientifico non c’è dubbio alcuno. Ai tempi dell’irredentismo qualcuno volle provare a dimostrare che il nizzardo è un dialetto che, avendo subito un forte influsso italiano per motivi storici, deve considerarsi italiano, ma questi argomenti (che sono gli stessi di chi sostiene che il brigasco avendo subito un qualche influsso lessicale “occitano” è occitano!) non sono ovviamente credibili.
    Per il resto: ma perché non lo cercate davvero, un linguista disposto a esaminare le vostre ragioni e a sostenerle qualora le trovasse credibili? Questo risolverebbe il problema nei termini di una disputa accademica e la cosa finirebbe lì; è vero che l’impresa è disperata, ma non si sa mai… In merito poi alla “distanza” superficiale del brigasco dagli altri dialetti liguri ne abbiamo già parlato tante volte che ho quasi la nausea, per favore, mi trovi qualche altro argomento di conversazione, va bene qualsiasi cosa. Quanto alla “schedina” finale, non la commento nemmeno, tanto a che serve? Non è questione di non riuscire a capire, ma di non voler capire. Un’ultima cosa però la devo dire, se lei mi insinua di “ragioni, fossero anche ideologiche o di bottega” nella classificazione scientifica universalmente accreditata per il brigasco e l’olivettese, o si scusa (con i colleghi, non con me) o possiamo considerare chiusa ogni possibilità di ulteriore dialogo.

    RispondiElimina
  127. per leogivildo (un nick piu' semplice,no?)
    ok...tu dici che a entracque parlano occitano (cosa che spero dimostrata da qualche studioso) ma quello che volevo dirti e' che c'entra la bandiera?
    esiste una tradizione ad entracque o una chiesa con quella croce?
    NO, l'hanno "adottata" perche' e' originaria della linguadoca.
    Cosi' a realdo. Se uno si ritiene occitano mette quella croce, anche se nessun pastore prima l'aveva usata (suimanufatti brigaschi, ne ho uno di mio nonno inciso da lui, c'e' il sole della alpi).
    Per il resto ti do' ragione e' da vedere se realdo e' "occitano".

    RispondiElimina
  128. per Toso.
    mi scuso con i suoi colleghi.
    ma non li ho accusati di fare dei falsi. se avessi sentore di qualcosa di simile e lo potessi provare lo farei.
    e' solo che a sto mondo, ed io sono pessimista, ci si puo' aspettare di tutto.
    manie di persecuzione mie?
    comunque riscuse.
    ps: vi ricordato l'uomo di piltdown che per anni tenne in scacco gli archeologi, e poi ad una seconda ispezione si rivelo' l'osso di un cane?
    beh era un falso abilmente confezionato per scopi non certo scientifici.

    RispondiElimina
  129. io non lo ancora letta la notizia del museo: domani prendo la riviera.
    bella notizia, certo.
    ps: ritornando a sopra: e' vero non conosco gli studi compiuti, ne il numero di studiosi concordi: quindi forse ho esagerato parecchio con la mania di persecuzione....
    ma quando e' allora che una lingua si classifica con buona certezza?
    quando la maggioranza degli studiosi che vi si applica concorda, o quando un numero rilevante di studiosi l'ha studiata e si e' espresso?
    inoltre, bastano delle pubblicazioni o c'e' qualche gran consulto che detta dopo una direttiva di indirizzo?
    che casino....
    buona notte :-)

    RispondiElimina
  130. non ho trovato il sito: ma mi pare che avesse quei requisiti.
    era in francese ed era di qualche istituzione pubblica.
    quindi e' verosimile che sia quello che ha detto lei.

    errata corrige:
    non 8 a 7 per il nizzardo
    ma (8+6)cioe 14 a 7 per il nizzardo.

    non e' necessario che replichi perche' capisco da solo che non ritiene la mia interpretazione dei risultati dello specchietto "definitiva"; ne' d'altronde io -non sono cosi' ingenuo- non ho recepito che valutate altre cose.
    ho solo notato, da ignorante, questa differenza (che non so perche' esista):
    la formula va bene per accomunare in una stessa famiglia roiasco e pignasco, e anche per provare la parentela di questi due con il ligure e con il nizzardo, ma non ha lo stesso carattere definitivo per asserire che il roiasco/pignasco e' della stessa famiglia del nizzardo.

    errata corrige

    RispondiElimina
  131. Per Leovigildo: posso assicurarla io sul fatto che il dialetto di Entracque è di tipo provenzale alpino, su questo da un punto di vista scientifico non ci sono dubbi come non c’è dubbio sul fatto che il dialetto brigasco è ligure alpino. Di conseguenza, se da quelle parti i seguaci dell’occitanismo “marcano il territorio” con il loro simbolo la cosa ha un qualche senso, sempre che, s’intende, quel simbolo non rappresenti un’idea politica, come “molti ritengono”, piuttosto che un’appartenenza linguistica. Quanto alle appartenenze etniche, lasciamole perdere, visto che qui parliamo di lingue e visto che la parola etnia si accompagna in genere a fraintendimenti e strumentalizzazioni. Credo comunque sia altrettanto legittimo da parte di chi, pur parlando provenzale, occitano non si sente, ripudiare quel simbolo lontano nel tempo e nello spazio.
    Per Gianni: il suo modo di dare ragione alla gente e immediatamente dopo fare insinuazioni o commenti incongrui (vedi uomo di Piltown, ma non è un caso isolato) è un po’ irritante, ma pazienza, per amor di discussione si passa sopra a un mucchio di cose. So di essere irritante anch’io, ma spero non così tanto: quando una lingua si classifica con certezza? Ma si prenda una cartina di un qualsiasi manuale di dialettologia o di qualsiasi atlante linguistico e veda un po’ dove mettono il brigasco, non siamo mica qui per dimostrare che l’acqua sul fuoco si scalda e un cane da un gatto ci arriviamo tutti a distinguerlo.
    Se lei vuol essere credibile (e vincere la bambolina) non deve mettere in dubbio i fondamenti di un’asserzione generalmente accettata, deve smentirla con prove certe, altrimenti continuerà (nel caso del nizzardo “non occitano” è l’ennesima volta!) a citare misterosi siti dove si dicono cose che le fanno comodo ma che poi, chissà com’è non riesce più a trovare.
    Vogliamo parlare di cose serie, o dobbiamo continuare a perdere tempo e a monopolizzare una discussione con sofismi inutili?
    Chiedo ad Alberto e a tutti gli altri partecipandi alla discussione cosa ne pensano.
    Un cordiale saluto, FT

    RispondiElimina
  132. caro toso,
    io ho detto quel che sapevo. sono un semplice lettore e abbonato alla vastera. ho letto dei commenti sarcastici e magari ho esagerato. ho letto insinuazioni su datori di lavoro ed ho risposto per le rime. mi creda: non volevo insinuare... rilegga la frase..io a sto punto non l'ho nemmeno trovata.... (quando ho dovuto commentarla ho tirato fuori piltdown e li' forse ho cannato... QUINDI RIPETO ANZI AFFERMO ORA: NON AFFERMO CHE VOI FATE dei falsi, pero' posso rimanere un pessimista chevuol vedere e toccare?
    questo lo potrei fare se avessi la competenza o avessi uno studioso a cui rivolgermi, magari uno non ancora citato negli studi. la assicuro che fosse una questione di importanza personale mi affiderei a una consulenza. visto tra l'altro che da una parte la situazione e' strana: e questo lo ammette anche lei: se uno stato da' la possibilita' ad una autodichiarazione di sancire una minoranza e c'e' un grupppo di studiosi che si pone piu' o meno velatamente contro: chi con studi chi, direttamente, come lei intervenendo sull'iter...
    purtroppo loro non rispondono:
    e' irritante anche questo:
    o e' una tattica o non possono rispondere.
    si deve vedere anche se sono tenuti a rispondere ed anche la provincia...dato che anche lei ammette che ci vuole una atto di buona volonta'....
    mi ricordo di aver detto "fossanch'e fossero ideologici o interessi di bottega" era una mera ipotesi rafforzativa di un concetto.
    se ho irritato mi taccio. purtroppo io non so dirle di piu', ne' qui i brigaschi ufficiali rispondono...
    la bambolina me la dia lo stesso, ora che le corde della mia ghironda me le ha ammosciate....:-)
    ps:
    sul riviera dioggi non ho letto del museo di realdo, ma c'e' un articolo sulla "carta di bolzano".
    cordiali saluti, se mi crede. :-)
    gianni

    RispondiElimina
  133. Accolgo volentieri l’invito del professor Toso, sempre preciso ed equilibrato, ma fermo nel suo giudizio.
    In effetti mi pare che la discussione stia un po’ degenerando, scivolando lentamente fuori tema.
    E’ il caso di ricordare che obiettivo del post di Alberto era e rimane quello di puntare l’attenzione su di un ordine del giorno della Provincia, che dichiarava incautamente l’”occitanità” del brigasco e dell’olivettese.
    L’intervento di numerosi linguisti, storici (in ultimo quello del professor Vignoli), appassionati ha messo in evidenza che il brigasco è un dialetto ligure.
    Quindi, a questo punto, occorre che:
    a) la Provincia si esprima quanto prima sulla questione, annullando il provvedimento ovvero assumendone un altro ex novo;
    b) il Comune di Triora rimuova la croce “occitana” posta a confine con la Francia (territorio di La Brighe), in quanto – anche assurdamente ammettendo l’occitanità del brigasco – Triora non è mai stata né è tuttora occitana.
    Infine sarebbe il caso che i Verdeggiaschi non venissero “tout court” dichiarati brigaschi, in quanto lo sono solo di lingua e cultura. L’appartenenza di Verdeggia e di Viozene alla “Terra Brigasca” è un falso storico, a meno che non si voglia intendere la “terra” in senso linguistico e culturale.
    Grazie e complimenti ad Alberto.

    RispondiElimina
  134. Caro Gianni, vabbe’, mettiamoci una pietra sopra (magari quella con la croce occitana di cui parla Oddo!), quel che sto cercando di dire è che è ozioso discutere i fondamenti della posizione dei linguisti, ossia il loro metodo di lavoro ecc.; se non si hanno argomenti con i quali controbatterli sullo stesso terreno e a partire dallo stesso tipo di ragionamento, che è basato su criteri scientifici consolidati, è inutile cercare di smontarne le posizioni con argomenti di altro tipo.
    Quanto alla Provincia, diceva bene quel signore lombardo che ha scritto qualche tempo fa, indipendentemente da ciò che l'ente "è tenuto" a fare, il suo silenzio in questa vicenda (almeno finora) si commenta da solo e dovrebbe risultare imbarazzante per i cittadini imperiesi, non tanto per il caso in sé, quanto per il tipo di atteggiamento che rivela questa classe politica di fronte a sollecitazioni che, comunque la si voglia rigirare, sono motivate e – non lo dico per me – qualificate.
    Del resto, mi fa piacere che la stampa abbia ripreso la posizione di quel convegno, penso che la cosa possa aiutare l’amministrazione a valutare una risposta adeguata.
    Continuo intanto a felicitarmi per il museo di Realdo, sperando che di questa notizia si abbiano nel prosieguo maggiori dettagli.
    Per Sandro Oddo: grazie, sto appunto cercando di rimanere sul tema che ci interessa in questa sede.
    Un cordiale saluto (soprattutto a Gianni, dai. La bambolina è pronta per chiunque mi vorrà finalmente dare le prove fonetiche, morfologiche e sintattiche che il brigasco e l’olivettese sono varietà galloromanze e occitaniche invece che italoromanze e liguri-alpine. E su con la ghironda!).

    RispondiElimina
  135. ahime', allora devo dire addio alla bambolina.
    sacerdote (cataro)! a me il consolamentum! Voglio abbandonare questo crudele eone mentre la montsegur brigasca e' accerchiata dalle forze della reazione scientifica ortodossa!
    d'altronde dopo aver perseguitato le streghe, i genovesi -si vede ce l'hanno per vizio- stanno dando fuoco pure ai "nuovi parfaits".

    RispondiElimina
  136. Innanzi tutto buona sera!

    E’ trascorso un po’ di tempo dai miei ultimi interventi di carattere giuridico. Dopo aver letto l’intervento di Sandro Oddo, e considerata la mia innata precisione, ho deciso di scrivere qualche riga.

    1) Dall’O.D.G. emergerebbe che la Provincia, quest’anno, non ha “dichiarato” alcunché; quindi l’unica delibera da tenere in considerazione sarebbe quella dell’anno 2000.

    2)“Il Comune di Triora – ha scritto S. Oddo - rimuova la croce “occitana” posta a confine con la Francia (territorio di La Brigue), in quanto – anche assurdamente ammettendo l’occitanità del brigasco – Triora non è mai stata né è tuttora occitana”.
    Il Comune di Triora, a differenza di Olivetta S.M., non è completamente tutelato dalla legge 482/99: solo gli ambiti subcomunali di Realdo e Verdeggia sono tutelati.

    Abbandono per un attimo la mia veste più giuridica per ricordare un brigasco che, molti anni fa, confessava la delusione di aver, nel ’47, accettato l’idea che il congiungimento con il Comune di Triora fosse la soluzione migliore (invece di creare un comune autonomo come ad esempio Briga Alta). Una sofferta delusione per come il suo paese, Realdo, era stato “depredato” da Triora delle sue ricchezze, senza avere, negli anni, assolutamente nulla a beneficio. La testimonianza orale di quest’uomo semplice mi fa riflettere ancora oggi, soprattutto in relazione all’acredine, che si percepisce diffusamente, di molti trioraschi nei confronti dei brigaschi.

    Conclusione. Concordo pienamente che Triora non è mai stata occitana ma, se parte del suo territorio oggi è tutelato in quanto tale, non capisco le motivazioni che dovrebbero spingere il Comune a rimuovere la “croce occitana da quel cippo che, con o senza croce, vuol essere più un ricordo di quel “maledetto confine” che divise il “popolo brigasco”, che non la mera indicazione che tutto il Comune di Triora è occitano.

    RispondiElimina
  137. Io non so nulla delle vicende (sicuramente sofferte) che portarono all’aggregazione di Realdo al comune di Triora, né dell’acredine attuale dei Trioraschi verso i Realdesi. Dei simboli “etnici” mi importa nulla, però seguo bene il ragionamento di Oddo: dimostrato ormai che a Realdo e Verdeggia non si parla occitano, non si vede perché su quel cippo debba esserci un simbolo etnico-politico che si riferisce a quel tipo di cultura estranea alla realtà locale. Potreste sostituirlo con un monumento alla fratellanza transfrontaliera, e comunque con qualcosa che richiami la vera identità dei brigaschi, che nessuno, mi pare, vuole mettere in discussione.

    RispondiElimina
  138. rileggendo un po' il tutto devo ammettere che di *azzate ne ho scritte molte. Il fatto e' che ero abituato sulle chat, dove la diatriba era piu' "libera" e non bisognava ogni volta "giurare davanti ad un notaio", per ogni dichiarazione.
    Vista la mia tendenza a far pipi fuori dalla tazza non posso far altro che leggere di piu' e intervenire di meno (soprattutto se non ho argomenti validi).
    Tutto quello che so sulla lingua brigasca (intendo lo studio) l'ho imparato su questo blog, e cercando sui giornali e riviste per rispondere in questo blog. Per me quindi e' stato positivo, soprattutto parlare con intenditori che da buoni maestri mi hanno bacchettato, ogni tanto.
    In questa ottica di "isolato" nel convivium brigasco (devo dire che anche quando frequento i paesi sono un cane sciolto) sono digiuno di molti aspetti.
    Ad es. la croce occitana. Mi ricordo una qualche benedizione. Ma non mi ricordo chi l'ha fatta apporre. Immagino il comune di Triora sotto la precedente amministrazione.
    Ad Oddo posso rispondere: penso che tera brigasca debba intendersi appunto nell'ultima ipotesi che lei cita. Cioe' area di influenza linguistica e culturale brigasca.
    Inoltre, mi perdoni la provocazione, andando indietro all'infinito torniamo all'eneolitico. Lei si riferisce all'amministrazione comunale anteguerra? E perche' invece non andare alla repubblica di Genova?
    Il confine passa vicino a case colombera, lei ha sicuramente presente il ponte di legno che "resiste" (male) alle intemperie del tempo.. che dobbiamo scriverci: repubblica di genova?
    (scusi la provocazione, ma mi creda, se non che gusto c'e' a dibattere un po'?...)
    Lei forse puo' fornirci illuminazioni, invece, sul perche' quella croce occitana e' stata issata, cioe' da chi.
    fare e disfare governa il mondo. un'amministrazione mette la croce ed un'altra la leva. Non succede solo nei nostri paesi...:-)

    RispondiElimina
  139. per conoscenza -copio e incollo la pagina- ed il link della pagina
    trattasi del sito del ministero dell'interno. l'avevate gia' vista?

    http://www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/sala_stampa/notizie/minoranze/app_notizia_20851.html



    Quadro sinottico delle minoranze



    DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA

    1) GLI ALBANESI
    Abruzzo: Pescara
    Basilicata: Potenza
    Calabria: Catanzaro, Cosenza, Crotone
    Campania: Avellino
    Molise: Campobasso
    Puglia: Foggia, Taranto
    Sicilia: Palermo

    2) I CATALANI
    Sardegna: Sassari

    3) I CROATI
    Molise: Campobasso

    4) I FRANCOFONI
    Piemonte: Torino
    Valle d'Aosta: Aosta

    5) I FRANCOPROVENZALI
    Piemonte: Torino
    Puglia: Foggia
    Valle d'Aosta: Aosta

    6) I FRIULANI
    Friuli-Venezia Giulia: Gorizia, Pordenone e Udine
    Veneto: Venezia

    7) I GERMANOFONI
    Friuli-Venezia Giulia: Udine
    Piemonte: Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli
    Trentino-Alto Adige: Bolzano, Trento
    Valle d'Aosta: Aosta
    Veneto: Belluno, Verona, Vicenza

    8) I GRECI
    Calabria: Reggio Calabria
    Puglia: Lecce

    9) I LADINI
    Trentino-Alto Adige: Bolzano, Trento
    Veneto: Belluno

    10) GLI OCCITANI
    Calabria: Cosenza
    Liguria: Imperia
    Piemonte: Cuneo, Torino

    11) I SARDI
    Sardegna: Cagliari, Nuoro, Oristano e Sassari

    12) GLI SLOVENI
    Friuli-Venezia Giulia: Gorizia, Trieste, Udine

    RispondiElimina
  140. Salve Gianni, la pagina del ministero riassume evidentemente la situazione allo stato delle "autocertificazioni" dei comuni e delle delibere provinciali, quindi ha un valore relativo nella nostra discussione. Mi interessa di più, ad esempio, che sugli atlanti linguistici dell'occitano la Val Roia non sia presa in considerazione. Come ponentino (anche se vabbè, Arenzano è "alto Ponente") debbo dire che i Genovesi ne avranno avuto tante, ma a quel che ricordo da letture occasionali nella questione delle streghe di Triora cercarono di arginare i processi, se non altro perché non vedevano di buon occhio l'interferenza dell'inquisizione nei loro affari. Erano in generale abbastanza tolleranti con le minoranze (quelle vere...), a Genova già nel Cinquecento c'era una moschea, e per quanti Ebrei ci fossero, non esistette mai un ghetto. La scienza è laica, non ortodossa. Sulle croci occitane, mi pare che il signore manzoniano parli con molto buon senso, ma anch'io non faccio questione di simboli. Un cordiale saluto, FT

    RispondiElimina
  141. grazie per la spiegazione della pagina del sito.
    Il termine ortodossia era riferito al pensiero accreditato ed ufficiale: quello delle pubblicazioni e della maggior parte degli studiosi. Quindi vede, mi fido delle sue dichiarazioni e dei colleghi che lei cita!
    In ogni disciplina, di solito, esistono i non-ortodossi, che divergono chi piu' o chi meno dalle tesi ufficiali.
    Purtroppo non sappiamo ancora chi siano e se esistano, sul caso occitano-brigasco.
    Comunque con ortodosso: non mi volevo riferire di certo alla religione.
    sainte marie madaleine, priez pour nous! :-)

    RispondiElimina
  142. Ho letto da qualche parte che in Australia è nata una setta con più di 100.000 aderenti che professa la fede nella "forza" di cui si parla tanto in Guerre Stellari. Invito tutti i catari e gli albigesi di questo blog a convocare un sinodo per convergere in questa nuova confessione, può darsi che in qualche galassia lontana lontana un linguista eretico in fatto di brigasco spunti fuori :-)

    RispondiElimina
  143. La croce occitana è stata apposta dall'attuale amministrazione (sindaco Lanteri Lorenzo, conte della Briga)in occasione del gemellaggio Triora-La Brigue. I rapporti fra i due paesi sono molto migliorati, anche se fra i Trioresi (specie quelli più anziani) sussiste una certa diffidenza.
    Personalmente ammiro i brigaschi per la loro tenacia e su di loro ho scritto diversi articoli non certo "contro", anzi...
    Saluti a tutti

    RispondiElimina
  144. Riassumiamo: ci sono due comuni gemellati di lingua ligure, uno è in Italia e l'altro era in Piemonte e adesso è in Francia, con delle frazioni che prima appartenevano al comune di lingua ligure ma ex piemontese che adesso è francese mentre ora fanno parte del comune ligure italiano, in più qualcuno in queste fraizoni dice di parlare un dialetto occitano e qualcuno invece no, e il sindaco del paese ligure italiano è anche conte del paese ligure ex piemontese e ora francese, ma va in giro a seminare croci occitane nel territorio del comune ligure italaino al confine del comune ligure francese. Cosa vuoi di più dalla vita? Un Lucano!

    RispondiElimina
  145. Estratto da un comunicato inviato alla stampa locale in occasione dell’incontro del 19 Giugno.
    62 Sindaci dei Paesi Occitani, Franco-Provenzali e Walser il 19 giugno in Consiglio Regionale del Piemonte, storicamente per la prima volta uniti in un'azione comune sotto il segno dell’identità linguistica e culturale.


    Il 19 giugno, è una data da segnare sul calendario da parte di tutti coloro che considerano che la diversità, le pari opportunità e la sostenibilità dei territori, siano in questa epoca non solo un valore ma un'urgenza.
    Ben 62 Comuni dei territori di minoranza linguistica storica occitana, franco-provenzale e walser della Regione Piemonte hanno aderito all'iniziativa del Comune di Ostana per deliberare a favore della presentazione di una proposta di legge che regolamenti l'esposizione delle tre bandiere sui Municipi.
    Ostana, Crissolo, Castellar, Brondello, Barge, Sambuco, Gaiola, Argentera, Roccasparvera, Valloriate, Bellino, Melle, Valmala, Venasca, Isasca, Macra, Celle di Macra, Elva, Castelmagno, Roaschia, Pradleves, Vernante, Roccavione, Limone P.te, Roccaforte M.vì, Usseaux, Roure, Rorà, Salbertrand, Exilles, Bardonecchia, Oulx, Sauze d'Oulx, Chiomonte, Moncenisio, Ornavasso, Macugnaga, Valstrona, Giaglione, Condove, Gravere, Rubiana, Coazze, Giaveno, Meana di Susa, Novalesa, Cantoira, Venaus, Ceres, Lemie, Groscavallo, Locana, Ceresole Reale, Mompantero, Chialamberto, Germagnano, Mattie, Mezzenile, Traves, Usseglio, Valgioie.
    (Delibere di altri Comuni stanno ancora arrivando o sono in fase di valutazione)
    Hanno inoltre ufficialmente deliberato a sostegno della proposta di legge le Comunità Montane Gesso, Vermenagna e Valle Stura, Valli del Po.
    La proposta di legge è composta di un solo articolo, preso ad esempio dalla legge adottata dalla Regione Friuli Venezia Giulia e riguarda la regolamentazione dell'esposizione delle bandiere occitana, franco-provenzale e walser sui Municipi e così recita: "Sugli edifici pubblici dei Comuni in cui sono insediate popolazioni appartenenti ai diversi gruppi linguistici della Regione Piemonte, così come individuati dalla legge 15 dicembre 1999, n. 482 e tutelati dallo Statuto della Regione stessa come espresso all'articolo 7 comma 4, può essere esposta, accanto alle bandiere italiana, europea e regionale, anche quella della comunità di riferimento".
    E' importante sottolineare che l'iniziativa è partita nel 2004 da Ostana, piccolo Comune occitano di alta montagna situato in Val Po ai piedi del Monviso, per opera del Sindaco Giacomo Lombardo e che l'iter della messa in rete dell'iniziativa è stata accompagnata da un qualificante lavoro territoriale, svolto in maggior parte dalla Provincia di Torino.
    La cerimonia dell'inaugurazione delle bandiere delle minoranze è stata infatti a suo tempo inserita dall'ente nel programma delle Olimpiadi della Cultura e nel progetto Occitan Lenga Olimpica.
    Va sottolineato il fatto che i Comuni si sono attivati per fare rete e per preparare nei singoli luoghi cerimonie emozionali e creative, spesso inserite in programmi di feste comunitarie, che hanno sempre visto la partecipazione di un pubblico numeroso.
    E' un'iniziativa volta a creare un senso della comunità che, spesso nei luoghi di montagna segnati dallo spopolamento, si è smarrito, armonizzandolo con il sentire della gente e con i valori contenuti nella legge 482/99 "Norme a tutela delle minoranze linguistiche storiche".
    Anche dal punto di vista istituzionale le autorità hanno presenziato in modo qualificato e costante all'iniziativa “Bipartisan”. Ricordiamo come esempi, la partecipazione del vescovo di Saluzzo all'inaugurazione della bandiera ad Ostana, dell'Assessore Regionale alla Montagna all'inaugurazione della bandiera ad Elva, del Presidente della Provincia di Torino all'inaugurazione della bandiera ad Oulx, del Prefetto di Torino e dell'Assessore alla Cultura della Regione Piemonte all'inaugurazione della bandiera a Salbertrand ....
    L’elenco potrebbe proseguire, con altre realtà che riterranno liberamente di aggiungersi, come enti e/o associazioni culturali territoriali, che riconoscano un valore la tutela delle “diversità”in un contesto di reciproco rispetto a prescindere da alcun fine politico particolare.

    L'inaugurazione delle bandiere sui Municipi segue un rito cerimoniale preciso con la lettura bilingue
    ( lingua del luogo) del significato dell'esposizione delle bandiere, accompagnata dall'esecuzione degli inni e dai discorsi delle autorità....recentemente anche in Francia si registrano alcune analoghe iniziative.

    Per la cronaca, il 19 giugno, i Sindaci dei paesi Occitani, Franco-Provenzali e Walser, accompagnati da una delegazione di enti istituzionali quali la Provincia di Torino, la Delegazione Regionale dell'Uncem, le Comunità Montane ... e associazioni del territorio che all'iniziativa hanno collaborato: Chambra d'òc, Cesdomeo, Espaci Occitan, Effepi ed altre realtà, sono state ricevute dal Presidente del Consiglio Regionale Davide Gariglio, dalla Presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso e dalla Giunta Regionale, consegnando in loro mani la proposta di legge.
    La cerimonia è stata accompagnata dalla esecuzione degli inni delle tre minoranze
    L’iniziativa che ha riscontrato una notevole partecipazione, è ' stata un'occasione che importante per sensibilizzare in modo più approfondito i Consiglieri della Regione Piemonte sul tema della tutela e promozione delle minoranze linguistiche storiche regionali che, tra l’altro, vede incluse le realtà di Briga Alta ed Ormea ( per le frazioni di lingua brigasca ).
    Un tema che diventerà sempre più importante in un mondo che ha bisogno di territori che per competere si devono "distinguere".
    La visione della montagna come "mondo dei vinti" appartiene ormai ad una fase passata e una nuova fase si sta aprendo. In questo nuovo contesto le "identità altre", culturalmente di eccellenza, come lo sono quelle occitane, franco-provenzale e walser, possono trovare una loro nuova collocazione.
    In conclusione le cerimonie sono state e saranno l’occasione per una riscoperta ed un rilancio della cultura e delle tradizioni locali e le bandiere ( occitane, franco-provenzali e Walser) esposte come un ideale segno di appartenenza ad un’area culturale, senza alcun intento separatistico e/o scopi politici. Per quanto riguarda l”inno”, termine forse un po’ troppo altisonante, in quanto non trattandosi di un’entità statale non esiste una versione ufficiale universalmente riconosciuta, pur essendo l’ormai noto “Se chanto”, nelle sue varianti, il più gettonato, ogni comunità ha avuto la possibilità di esprimersi al riguardo come meglio riteneva.
    * Libera trascrizione per sintetizzare.
    Mi spiace per la prolissità ma, questo scritto può chiarire alcune questioni , come una supposta “incompatibilità “ tra piemontesi ed occitani, a mio avviso assai poco diffusa, su bandiere inni e quant'altro.
    La regione Piemonte sembra svolgere un ruolo “super partes”, promuovendo senza distinzione anche corsi lingustici nei diversi idiomi presenti sul territorio.
    Frico

    RispondiElimina
  146. Un paio di cose sulle attestazioni storiche della cosiddetta croce occitana in Valle Roia. Quella che oggi si usa come bandiera dell'Occitania era l'emblema dei conti di Tolosa, scelta dai nazionalisti della Linguadoca perché per loro rappresentava il dominio indipendente più importante prima del pieno controllo del re di Francia nel Meridione francese. Le altre regioni, o Anciennes Provinces, avevano altri stemmi. Come archeologo, asserisco che sul Monte Bego non c'è incisa nessuna croce occitana (a meno che non l'abbiano realizzata dei vandali recentemente). Invece, poco a monte del Lago delle Meraviglie, ci sono rocce con la croce dell'Ordine di San Maurizio e Lazzaro, ordine militare sabaudo, ancora esistente sotto la Presidenza della Repubblica Italiana, spesso associate con date di fine XVI e XVII secolo, scritte e emblemi nobiliari. Sono il segno del passaggio e del soggiorno di guarnigioni sabaude lungo passi secondari ma importanti per il controllo del territorio. Le equipe che lavorano sul Bego sono eccellenti, come archeologi preistorici e come etnografi, ma non tutti gli operatori sono esperti di storia locale, anche perché molti arrivano da Parigi e conoscono bene la storia francese, ma non quella dello Stato Sabaudo, della contea di Tenda e della Repubblica di Genova. Perciò alcune croci di San Maurizio e Lazzaro sono state interpretate come croci di Gerusalemme o altro in pubblicazioni per altro assai buone, così come non sono state riconosciute divise militari del XVIII secolo e interpretati invece come rappresentazioni medievali di feste. La cosiddetta croce occitana si ritrova a volte anche nel Nord Ovest italiano, perché si tratta di una croce che ha ogni braccio caricato di tre sfere, simbolo di una città prestigiosa come Pisa, il che ha contribuito a una sua diffusione nell'area legata a usi araldici italiani, come la Liguria, il Piemonte e la contea di Nizza. Perciò non esistono croci "occitane" prima del XX secolo, quando sono scelte come emblema dai movimenti occitanisti: prima le sole croci sono gli stemmi di singoli entità come Savoia, Ordine di San Maurizio, Genove e più lontano Tolosa e Pisa, né esistono localmente come simboli di località o famiglie.

    RispondiElimina
  147. Commovente il lungo link di Frico, pare comunque che il prefetto di Cuneo sia contrario all’esposizione della bandiera occitana in luoghi pubblici in quanto non è rappresentativa. La presenza di associazioni politico-culturali come Chambra d’òc e Espaci Occitan conferma il carattere tutt’altro che “innocuo” di questa esposizione contestata non a caso proprio da quei parlanti occitani che si dichiarano provenzali. In ogni modo tutto questo riguarda il Piemonte e i comuni dove si parla effettivamente l’occitano, dunque sono affari loro: fa un po’ tristezza però questa faccenda del “rito cerimoniale”, suona tanto di gente con gravissime crisi di identità alla disperata ricerca di miti fondatori e di tradizioni reinventate nelle quali riconoscersi e legittimarsi. Il caso dei Brigaschi è un altro, loro hanno un’identità forte, che non ha certo bisogno di reinventarsi come “occitana” per affermarsi: voglio quindi ben sperare, Frico, che tu non voglia neppure ipotizzare che il comune di Triora (visto che Realdo non è sede comunale) debba fregiarsi di questo simbolo del tutto estraneo alla cultura locale; se qualche brigasco ci tiene individualmente a riconoscersi in questi orpelli, bè, poveretto, vuol dire che ha dimenticato cosa vuol dire essere brigasco, ma viva da solo questi suoi problemi senza arrogarsi il ruolo di interprete di una realtà dalla quale si è allontanato.

    RispondiElimina
  148. Grazie a tutti per le dotte informazioni araldiche. A Rubat Borel penso che si debba dar credito in questo campo, perché oltre a essere archeologo e storico accreditato, è specialista di antichità piemontesi e quindi direttamente informato su istituzioni come i Mauriziani ecc. A proposito di questi posso raccontare un aneddoto: a Calasetta, comunità tabarchina della Sardegna (dove si parla il genovese), il santo patrono è San Maurizio proprio in onore del protettore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, che concessero ai coloni liguri provenienti dalla Tunisia i terreni sui quali fondare nel 1770 il loro paese (che tra l'altro è splendido e che raccomando a tutti di visitare per capire cos'è una vera minoranza linguistica e cosa significhi possedere una vera identità linguistica). Bene, il simbolo del paese è proprio una croce in campo rosso con le tre palline ai lati di ogni braccio, perché quello era l'emblema dei cavalieri mauriziani. Vedo però che predico bene e razzolo male, raccomando a tutti di non parlare di bandiere e poi ci cado anch'io. Davvero, potremmo tornare all'argomento centrale della nostra questione, quello linguistico? Un caro saluto a tutti!

    RispondiElimina
  149. Vedo che la questione si sta dilatando oltre misura: segno che si tratta di un problema solo in apparenza "per intellettuali". In effetti si è cambiata una tradizione, inculcandone o, meglio, cercando di inculcarne un'altra. A credere nell'occitanità del brigasco sono pochi gatti per fortuna, però molto testardi e decisi ad ignorare pareri qualificati.
    Per la croce occitana ha ragione Oddo: non ha alcun senso, in quanto non rappresenta né Briga né Triora (o Realdo-Verdeggia).
    Se avessero messo il rispettivo stemma comunale sarebbe stato molto meglio. Per ricordare lo smembramento di Briga Marittima non è certo necessaria la croce occitana (i brigaschi esuli per forza non sanno neppure cosa sia...).
    A La Brigue molti residenti ci tengono ad essere brigaschi, ma soprattutto ad essere italiani ed in questo senso hanno sempre rifiutato la nazionalità francese.
    Questa gente non sa cosa sia l'occitano, né i balletti occitani, né prima d'ora aveva mai visto la gironda...
    E' meglio non parlare a vanvera.

    RispondiElimina
  150. Cavallo Pazzo: ne parlons pas de nationalité s.v.p. ce n'est pas le cas ici d'Italie ou de France, mais de ligure et d'occitan.

    RispondiElimina
  151. Caro Signor Pastorelli, lei ha perfettamente ragione. Si tratta di occitano o di ligure. Ormai siamo tutti europei, la nazionalità non ha alcuna importanza. Mi scuso con lei.

    RispondiElimina
  152. La questione sulle bandiere parrebbe non riguardare direttamente la questione della legge 482/99 sulle minoranze linguistiche. Tuttavia rappresenta un segnale preciso di quali aspetti abbia la questione delle minoranze linguistiche, in particolare quella occitana. Il Piemonte sudoccidentale, e ora l'estremo Ponente ligure, si trovano a vedere appesa ovunque questa croce gialla su rosso. A prescindere dell'inconsistenza come simbolo rappresentante tutti gli occitani, la diffusione capillare di questa mostra che la questione non è puramente linguistica, come vorrebbe la legge, ma ormai culturale e politica. Ovvero, al di là dell'effettiva presenza e consistenza di una minoranza linguisticamente occitana, si vuole affermare la presenza dell'Occitania in un luogo. In questo, i simboli sono molto importanti: una bandiera artificiale, una tradizione musicale che sconvolge le musiche, i canti, i balli locali per ricreare un nuovo folk, nuove tradizioni. Cioè tutto ciò che potrebbe fare identità etnica. La lingua in questo non è importnate. Non conta che nessuno parli più occitano, o che in quei paesi non si sia mai parlato: ci sono comunque gli intellettuali che lo parlano, o che ti dicono che il dialetto locale è/era occitano, tanto non ha utilità come mezzo di espressione con l'esterno della comunità, e se vuoi comunicare con altri occitani sai che esistono dialetti fortemente differenti, e che allora sono meglio francese, italiano o "occitano unificato sul tolosano". In Francia in Provenza non accettano questo concetto di Occitania, mentre ha successo in Italia. Perché crea una piccola patria alternativa alle realtà regionali. Perché si può plasmare come si vuole. Perché è un contenitore dove tutti possono trovare un qualcosa (cattolici, catari, valdesi, montanari, trovatori, contadini, musicisti, ballerini, comunisti... e anche fascisti di Vichy). Ma attenzione, la lingua in realtà da tutto questo resta fuori, meglio, è limitata ai titoli di un disco, ai testi di una canzone o di un manifesto, per i quali interviene l'esperto a scrivere. La bandiera invece appare ovunque come simbolo, artificioso, di una nuova identità. Perché allora le vecchie identità locali non vanno più bene? O vogliono essere cancellate? Perché la bandiera rossa con la croce gialla occitana è più "in" di quella piemontese o di quella genovese? Perché è meglio avere un simbolo nuovo, per un'entità vaga e polivalente. E' in piccolo, caricaturale, l'invenzione di altri movimenti nazionalisti nell'Europa centrale, è una versione innocua della bandiera della Padania, pseudomovimento nazionalista e culturale che ha molti tratti in comuni con quello dell'Occitania. Ma per la Padania non si tira in ballo una lingua comune, consci di identità linguistiche lombarde, piemontesi, venete, anche se a ben vedere i vari dialetti occitani sono differenti tra loro quanto i dialetti italianosettentrionali.
    Per questo la questione della bandiera ha tanta importanza presso i nazionalisti occitani: in mancanza della lingua, o a prescindere dalla lingua, è il loro elemento visibile unificante. La legge 482/99 invece parla di lingue, e a quello dovrebbe limitarsi

    RispondiElimina
  153. LA LINGUA E LA TERRA BRIGAŠCA

    La lingua brigasca, ovvero quella che chiamiamo comunemente “brigasco”, si parla ancora su un’area geografica di circa 300 kmq. e precisamente oltre a Briga-La Brigue, nei villaggi di Morignolo, Realdo,Verdeggia, Piaggia, Upega, Carnino e Viozene.
    Naturalmente molte persone emigrate fuori dalla terra brigasca usano ancora questa parlata e io stesso che ho lasciato Viozene fin dall’infanzia, parlo volentieri “ viusenée” ad ogni occasione favorevole.
    Ovviamente, come tutte le varietà regionali di una lingua, il brigasco è andato differenziandosi da un paese all’altro nel corso dei secoli, per comprensibili ragioni di scambi e contatti commerciali e sociali, di emigrazioni temporanee come la transumanza, essendo i brigaschi dei primordi e fino alla fine del secolo prevalentemente pastori e quindi, costretti a portare i loro armenti al mare o in zone ove gli inverni offrivano un clima più mite e pascoli per gli animali.
    Ma, a queste si aggiunsero ragioni politiche e di dominio, il succedersi cioè dei “padroni” che via via si impossessarono di quelle contrade montuose ricche di boschi e praterie.
    Interessante sarebbe risalire il corso dei secoli e tracciare un ampio profilo storico di questa “terra”, oggetto di studio fin dal tempo dei Greci e dei Romani; ma qui debbo limitarmi ad accenni, indicando in una nota bibliografica l’elenco dei principali autori da consultare.
    Originariamente la terra brigasca era abitata da genti che i Greci di Marsiglia chiamarono “Liguri” ed i Romani “Ligures capillati”, per le loro lunghe chiome.
    Queste, mescolatesi ai Celti, giunti tra il 600 ed il 400 avanti Cristo, ( BRIG è un termine di origine celtica) nel secolo X della nostra era, di fronte alla devastante avanzata dei Saraceni furono costrette a rifugiarsi nelle boscose vallate delle loro montagne e vi rimasero in parte anche dopo che i terribili invasori si erano ritirati.
    Si può dunque ritenere che siano sorti in quei tempi remoti o poco dopo i vari villaggi sopra ricordati.
    In seguito dominarono gli Angioini per oltre un secolo, poi i conti di XXmiglia, finchè la contea di Tenda, con regolare atto di vendita nel 1582 passò ai Savoia.
    Chi sono dunque questi Ligures capillati o Brigiani come qualche autore li ha chiamati ? Intanto va precisato che i “Ligures” occupavano l’alta Val Roja fino al colle di Tenda e al di là di questo colle, la Val Vermenagna e altre valli del Cuneese.
    Sicuramente (ne convengono i vari studiosi della materia) furono un’entità socio-culturale unica, un’etnia ben caratterizzata per comunità di lingua, di costumi, di religione con le popolazioni che vivevano nella Valle della Vesubie.
    Ne fanno fede per lo meno le ben note incisioni (circa 40000) del monte Bego, nella Valle delle Meraviglie, punto di riferimento comune per quelle popolazioni primitive di pastori ed agricoltori che convenivano lassù per celebrare i loro riti.
    La loro fu quindi una civiltà autonoma, sviluppatasi al di là e al di qua della barriera alpina, anche dopo che i Romani ne sedarono la ribellione e li sottomisero (poco prima della venuta di Cristo) dividendoli in tribù.
    Gli scambi commerciali e i rapporti continuarono anzi si intensificarono con il dominio dei vari “padroni” e in particolare al tempo della sovranità Angioina l’influenza del provenzale alpino fu accentuata e divenne la vera matrice di singoli dialetti (detti occitani) in via di formazione.
    Verso il Mille, infatti, il latino diveniva il “sermo litterarius” e nasceva la parlata quotidiana dei mercanti e del popolo illetterato; in questo contesto si formava quindi anche il brigasco nato quindi sul ceppo provenzale alpino mantenendo caratteristiche originali.
    Non sorprende il fatto che più degli altri dialetti occitani abbia subito forti infiltrazioni liguri, ove si consideri la posizione geografica della “terra brigasca” protesa a sud, sud ovest e confinante con la contea di XXmiglia e il Genovesato.
    Questo spiega anche perché il viozenese presenti, ad esempio, più marcate tracce di ligure oltre che di “ormeasco”, dal momento che i contatti con i liguri “Pievaschi” e con gli “Ormeaschi” sono sempre stati intensi, e per secoli persino tempestosi.
    Si è detto come durante l’invasione saracena, all’inizio del secolo X, i Brigaschi siano fuggiti sui monti che li circondano e abbiano fissato le loro dimore nelle testate delle valli Livenza, Tanarello, del Negrone e di Carnino
    La loro parlata si trasferì quindi negli agglomerati di povere capanne da essi costruite a Carnino , Piaggia, Upega etc..che col tempo divennero case di abitazione, con le caratteristiche architettoniche che si riscontrano ancora in molti villaggi delle Alpi liguri e marittime.
    Ecco quindi spiegati i cognomi ricorrenti Alberti, Lanteri, Pastorelli delle località nominate; ed ecco i Dolla e i Pastorelli anche a Viozene (come a Briga) portati lì da alcune famiglie di Carnino attratte dall’ambiente favorevole alle loro attività di pastori e agricoltori.
    Da ciò dipende almeno in parte, la minore differenza tra le parlate di Carnino e Viozene rispetto a quelle degli altri paesi della comunità brigasca.
    Ci si domanderà forse perché parliamo di lingua brigasca e non del “tendasco” che è ancora noto agli anziani di Tenda, a pochi chilometri da Briga. Il “tendasco” differisce non poco dal “brigasco” e alcuni studiosi ne danno saggi assai eloquenti.
    Individuarne i motivi non spetta a noi in questa breve rassegna; ma hanno sicuramente influito ragioni storico-politiche, la diversa posizione geografica delle due località (Tenda è posta sulla direttrice di maggior traffico) ed anche il fatto che tra le popolazioni,(pur appartenenti sostanzialmente alla medesima etnia occitana) nel passato non è mai esistito un rapporto pacifico vero e duraturo.
    E’ probabile quindi che gli scambi e le comunicazioni tra loro non siano mai stati molto intensi e che Tenda abbia subito maggiormente l’influsso delle genti liguri che attraversavano il colle omonimo seguendo le antiche strade del sale.
    Sorprendente può tuttavia considerarsi il fatto che questa lingua brigasca si sia conservata nella sua sostanziale integrità anche attraverso le profonde e secolari variazioni storico-politiche ed amministrative e dinanzi all’avanzata delle lingue nazionali (italiana e francese) in tempi “dinamici” come quelli attuali.
    Articolo tratto dal dizionario della Lingua BrigaŠca di Piero Bologna

    Nel rileggere alcune vecchie riviste, ho reperito questo articolo che avanza alcune ipotesi meritevoli di essere prese in considerazione, pertanto ho pensato fosse utile socializzarlo

    RispondiElimina
  154. Caro Urbano, grazie per il contributo; purtroppo però l’articolo di Piero Bologna è forse suggestivo, ma pressoché inutile in questa sede: appartiene infatti al genere letterario dei miti di fondazione, non certo a quello della saggistica scientifica o foss’anche di buona divulgazione. Anche lasciando perdere i miti indimostrabili sulla continuità culturale dalla preistoria ai giorni nostri, e l’ellissi sulla fase cruciale di formazione del brigasco, ossia quella che va dalla romanizzazione all’alto medioevo (così è stato per tutte le lingue romanze), il testo accredita leggende erudite tardo-rinascimentali come quella dei “Saraceni” nelle Alpi Marittime e costruisce un percorso di storia linguistica alquanto improbabile: ad esempio è chiaro che il brigasco continua il latino, come tutti gli altri dialetti romanzi, e non certo l’occitano o una improbabile “matrice” provenzale alpina! Del resto, forse l’autore non aveva le idee molto chiare su quali siano le caratteristiche fonetiche, morfosintattiche e lessicali del provenzale, e di quello alpino in particolare; non spiega inoltre in cosa il brigasco sarebbe affine all’occitano stesso e non dimostra per nulla che la sua matrice evidentemente, dimostrabilmente ligure (e quindi italoromanza) sia frutto di una sovrapposizione successiva a un presunto periodo di formazione che solo per sua comodità fissa durante la breve parentesi angioina. Probabilmente l’autore sarà anche stato in buona fede in questo suo tentativo di sistemazione del mito occitano-brigasco, ma solo perché “voleva” credere alla sua storia. Sono meccanismi in qualche modo comprensibil e sui quali si può essere indulgenti fino a quando rimangono a livello individuale, ma che diventano pericolosi quando un tipo di “invenzione della tradizione” di questo tipo viene fatto passare per realtà storica senza addurne prove scientifiche, e i suoi divulgatori si arrogano il ruolo di rappresentanti di intere comunità, pur essendo spesso consapevoli dell’inconsistenza delle tesi che vanno diffondendo e dei danni che stanno recando al vissuto culturale autentico delle comunità stesse. Credo che il contributo portato qui sopra dal dott. Rubat Borel in merito al valore dei simboli aiuti a capire ancor meglio i rischi che si corrono in questi casi. Un cordiale saluto, FT

    RispondiElimina
  155. per cavallo pazzo:
    i brigaschi esuli per forza in francia?
    quali i 2 0 3 che votarono a sfavore dell'annessione?
    allora, mi risulta che i tendaschi lo furono ben di piu'....
    Avevo un prozio di origine brigasca e mi ha sempre detto, un po' risentito: che quel paese giro' volentieri (la maggioranza) la schiena all'italia. Poi che il referendum fosse truccato e gia' deciso.....pero' questo era anche l'humus che si respirava.....
    io l'ho sentita cosi': se il pastorelli ha altre notizie ben vengano.....
    Insomma l'identita' ligure o italiana lascio' il campo ad altri interessi (ci avranno guadagnato poi?) Nizza avra' mantenuto le promesse?

    Oggi guardavo il profilo della costa azzurra.
    Non conosco, visivamente, tutta l'orografia della zona che gli studiosi affermano ligure e ligure alpina: pero' devo dire che SORPRENDENTEMENTE se dovessi trarre un confine tra due terre o tra due popoli lo metterei su per giu' dove si situano il linguaggi liguri ed occitani.
    Dietro Monaco le alpi hanno il loro "muro" piu' alto- non a caso LI' fecero il loro trofeo i romani (la turbie). Idem la val roia: sul lato sinistro del fiume e a sud c'e' ancora possibilita' di comunicazione con la liguria, mentre il confine orografico sembra passare - cioe' quel "muro"- nelle sue forme piu' alte, sulla sinistra del fiume con il massiccio del monte bego e delle cime piu' alte delle alpi meridionali.
    gianni

    RispondiElimina
  156. destra e sinistra del fiume: forse ho fatto confusione.
    si legga riva vs francia e riva vs italia.

    RispondiElimina
  157. eh eh, leggo ora: grande baci!
    un ossimoro continuo questa storia?

    RispondiElimina
  158. per rubat borel:
    a livello di simboli ho notato che sia gli stemmi catalani, linguadociani e provenzali hanno il colore giallorosso.
    ps: ora speriamo che Totti non si ritenga leggittimato a scrivere barzellette in lingua d'oc. :-)

    RispondiElimina
  159. Magari passa al Barça e si mette a parlare catalano con accento romanesco.

    RispondiElimina
  160. Mr. Toso l’article le plus recent de mr. Dalbera sur le royasque a paru en 2005 dans les actes d’un colloque tenu ici à Nice sur le Mont Bégo. N’étant pas cité dans votre bibliographie, je pense que vous ne le connaissiez. Je ne suis pas un spécialiste, mais en resumé on y lit que le royasque avec le brigasque, le ligurien intémélien et le pignasque/triorasque présentent dans son ensemble des traits significatifs qui les détachent d’une manière tout à fait evidente de l’occitan : dans la morphologie (métaphonie, système verbal, expression de la personne), la phonétique (entre autres, le traitement de pl, bl, gl, cl), la syntaxe (enclise après infinitif ou gérondif), le lexique etc. La ligne de démarcation marque une coupure très nette : elle est fixée à l’ouest de la Roya, avec Sospel et la Tinée qui parlent gavot pendant que Tende, La Brigue, Saorge, Fontan, Breil-sur-Roya, Realdo, Verdeggia, Piaggia, Upega et Olivetta-San Michele (avec ses hameaux qui sont aujourd’hui en France) parlent ligurien. Au nord, c’est Limone qui est de l’occitan. Mr. Gianni, vous avez donc bien raison, la frontière historique entre la Ligurie et la Provence va coincider grosso modo avec les confins linguistiques. Quant à la frontière politique, elle n’existe plus avec l’Union Européenne, n’êtes-vous d’accord ?

    RispondiElimina
  161. Sul lungo articolo del sig. Urbano, suggestivo e divulgativo ma appunto pieno di "miti fondatori" che hanno bisogno di aggiornamenti scientifici, evocare l'egemonia della casa di Anjou nel XIII secolo sulla val Roia non significa nulla dal punto di vista culturale e linguistico. Gli Angiò furono la potenza egemone in quegli anni su tutto il Piemonte sudoccidentale (e su una biuona fetta d'Italia e Provenza, leggete il recente volume miscellaneo curato dal prof. Panero, Univ. Torino e Soc. Storica Prov. Cuneo), dove eressero la contea di Piemonte (prima volta che si usò il coronimo in senso amministrativo) ben estesa nella pianura cuneese. Briga e Tenda erano infeudate ai conti di Ventimiglia, che a seguito di un matrimonio con una dama bizantina dei Lascaris assunsero questo cognome, assai prestigioso (tra l'altro, l'aver a che fare con famiglie imperiali bizantine era cosa diffusa nelle grandi famiglie piemontesi, Monferrato, Savoia, Biandrate, e genovesi). I colori giallo e rosso sono in realtà oro e porpora, i colori imperiali bizantini e romani. Per questo sono presenti in antichi domini come Roma, Venezia, Napoli, e adottate da altre potenze protese verso il mediterraneo o con velleità imperiali (non tedesco, dove invece è nero e oro). Ripeto tuttavia che nel medioevo e fino agli inizi dell'Ottocento l'appartenere a questo o quel dominio o stato non significava nulla dal punto di vista linguistico. Pigna e Dolceacqua e Saorgio di lingua genovese erano amministrativamente nella contea poi provincia di Nizza, parte del Piemonte, anzi domini fedelissimi che diedero nobili, ufficiali, funzionari e scienziati allo Stato Sabaudo. Non facciamoci prendere dalle smanie di antenati prestigiosi e simboli e cosa varie: sono il letame per i cattivi localismi e pseudonazionalismi, senza collegamenti ai fatti linguistici e culturali.

    RispondiElimina
  162. Merci mr. Pastorelli, j'avais lu cette article mais après d'avoir publiée ma bibliographie sur le blog. Un salut cordial F.T.
    (excusez mon français, je n'ai guère d'occasions pour l'écrire)

    RispondiElimina
  163. per pastorelli:
    je suis tres d'acord si il n'y a pas des frontieres.
    sur la terre il disent il y a une tipologie d'homme seulement: le sapiens sapiens.
    maintenant l'homme "globalise'" peut etre qu'il torne a l'unite' doucement doucement.....
    a bientot
    gianni

    RispondiElimina
  164. Ho letto tutti i commenti sulla lingua brigasca ecc. ringrazio degli interventi che hanno illuminato molti angoli oscuri della mia ignoranza. Se volete una mia riflessione al riguardo, penso sia giusto fare chiarezza sulla parlata Brigasca, se questa sia o meno occitana. E' il mestiere dei linguisti e sia loro dato merito e onore se lo svolgono bene, anche se tranquillamente senza tutta quella 'passione' che trovo esagerata nel dott. Fiorenzo Toso. Francamente, parlando da profana, mi rivolgo ai politici: credo ci siano questioni molto più urgenti e prioritarie su cui discutere e lavorare. Non darei tanta importanza a un problema che si risolverà da solo, data l'esiguità delle minoranze stesse.
    Vorrei più passione invece per le necessità vere e tangibili di queste frazioni del comune di Triora, abbandonate e oserei dire avversate. Da quanto mi risulta, Realdo, ha avuto un qualche piccolo miglioramento nella passata amministrazione , chè da quando c'è l'ultima giunta al potere, il paese è sprofondato ancor più nel dimenticatoio. Il ritornello sempre lo stesso: il comune non ha soldi" Certo li trova per i figli del capoluogo, perché purtroppo i realdesi sono stati da sempre considerati 'figliastri', anche se hanno contribuito con l'eredità di boschi e moneta dati dalla Francia al Comune di Triora a seguito del passaggio della Frazione Realdo da Briga a Triora nel 1947. Eredità che doveva essere spesa a favore di Realdo, che, per inciso poteva all'epoca costituirsi comune autonomo, proprio per i beni che possedeva e di cui non ha mai beneficiato, o come il povero Lazzaro, mendicava le briciole. Pertanto, cari amici, cosa volete che importi a quei poveri tapini se la loro parlata è brigasca, ligure alpina od occitana!. Quisquilie! di fronte all'abbandono oggettivo in cui sono lasciati! Mi è stato riferito e l'ho poi verificato personalmente che, persino la Bandiera Italiana e quella Europea che sventola sul pennome del Monumento ai Caduti, è stata voluta e comprata (e rinnovata ogni anno)a sue spese da un cittadino oriundo di Realdo che mal sopportava l'assenza del Tricolore nell'ultimo paese, sentinella di frontiera con la Francia. Buone feste di fine anno!

    RispondiElimina
  165. ciao ca da roca,
    io sono stato educato ad un certo sospetto -fondato o meno- vs triora ed il suo comune.
    Oggi che sono grande, penso con la mia testa: anche se non conosco bene la situazione.
    Hai ragione, Realdo avrebbe dovuto fare comune! Si dira': un paese cosi' piccolo!
    Da quanto so briga alta non e' molto piu' grande, e cosi' Upega per non parlare di carnino che sinceramente mi sembra piu' una morga che un paese.....
    Pero' forse nel 46 c'erano altre priorita'. La gente usciva dalla guerra ed emigrava sulla costa.
    Realdo e verdeggia avrebbero dovuto fare un comune. Avrei anche un nome: Briga Ligure (e Briga piemontese a piaggia, invece di Briga Alta).
    Ma verdeggia era di triora.....
    capitolo triora.
    Mi pare sia il comune piu' vasto della provincia di imperia!
    Ora e' chiaro che se dovesse fare un un campo di calcetto in ogni frazione: verdeggia, realdo, creppo, cetta, monesi, loreto e magari pure bregalla come potrebbe fare? Certo il paese di triora ha avuto piu' investimenti: purtroppo pero' e' nell'ordine delle cose.
    Poi che ci sia sospetto tra i trioraschi ed i brigaschi liguri puo' essere.....ma anche a briga, dicono, i realdesi erano visti come rozzi montanari o "malgari"...
    Se realdo avesse mantenuto un comune: almeno i soldi per le bandiere - da roma - sarebbero arrivati: e anzi, si sarebbe stati obbligati a spenderli!
    Gli occitani brigaschi non rispondono sul perche' e percome della loro iniziativa: non sara' che anche loro aderiscono al progetto "occitania" in senso politico come mi pare di capire usa fare una parte di questo movimento - per cui la lingua e' quindi, anche, una questione di secondaria importanza?
    Gli occitani di entracque non penso parlino come gli occitani di coumboscuro ne quelli di limone come quelli di saint maximin la sainte baume....e pur essendo della stessa famiglia (quindi legittimati dalla legge ineccepibilmente) quale lingua gli verra' insegnata nelle scuole?
    Non sono problemi nostri, questi ultimi....comunque - pur facendo un po' confusione- continuo a cercare di "vedere" come finira' questa diatriba occitana sia a livello di classificazione e sia di normativa e perche' no, cosa c'e' dietro a queste istanze.
    saluti da gianni

    cordiali saluti
    gianni

    RispondiElimina
  166. Cara signora Cà da Roca, scusi tanto ma il problema non è “fare chiarezza sulla parlata Brigasca, se questa sia o meno occitana”, perché questo linguisti assai più bravi di me lo hanno già chiarito, il brigasco non è occitano nemmeno un po’. Vede quindi che un po’ di passione ci vuole, perché altrimenti, senza una salutare sveglia (che non è solo da parte mia, se ha letto come dice tutti i commenti e gli interventi di studiosi tedeschi e francesi, nonché di un intero congresso), ci sarà sempre qualcuno che continuerà a far finta del contrario. Abbiamo anche già chiarito che qui stiamo discutendo un tema strettamente linguistico, siamo tutti d’accordo che ci siano (anche) altre urgenze, ma trovo molto demagogico porre sullo stesso piano i problemi drammatici della montagna con la semplice richiesta di chiarimenti e di correttivi che sta dietro questa discussione: il discorso linguistico può essere risolto presto e bene, i problemi di Realdo e le diatribe dei suoi abitanti (quanti residenti?) nei confronti di Triora richiedono invece ben altre discussioni e riflessioni; penso che Gianni abbia ragione sul fatto che Realdo avrebbe potuto costituire a suo tempo un comune a sé, quando c’era una popolazione stabile e un tessuto sociale radicato, ma non sono in grado di dare giudizi in merito. Sul resto delle sue riflessioni sono ancora più d’accordo, è evidente che la lingua è spesso solo uno strumento, non tanto per secessionismi o altro, ma per tanti altri motivi che nel campo dell’occitanismo piemontese sono ben evidenti e che non voglio qui discutere. Quanto alla lingua che un domani dovrebbe, nei disegni dell’occitanismo militante, essere quella insegnata e utilizzata a vari livelli pubblici, ne abbiamo già parlato, non è né il dialetto di Entracque né quello di Coumboscuro, si chiama “occitano cisalpino di riferimento” e la sta elaborando uno studioso di Tolosa. E’ la stessa lingua, cara signora da Roca, che vi ritroverete in casa al posto del brigasco se continuerà questa farsa dell’Occitania imperiese. Capito ora il perché di tanta passione? Un cordiale aluti, FT.

    RispondiElimina
  167. Sulla questione dei finanziamenti alle aree montane, l'appartenenza o meno a una lingua minoritaria non aiuta la montagna. I finanziamenti vanno a opere sulla lingua e eventualmente la cultura della minoranza. Sostanzialmente sono una tantum (una festa, un museo, una pubblicazione) che non ha vere ricadute economiche sul territorio. Al più, gli ingenui torinesi, milanesi e genovesi che comprano una patacca con la croce occitana o una maglietta con una frase stramba. Inoltre per lo più le realizzazioni culturali, per avere un vero valore e ricaduta, devono essere affidate a un esperto capace, e sinceramente per lo più non si trova in loco. Per questo i due maggiori enti occitanisti hanno sede a Caraglio e Dronero (dove l'occitano non si parla, se non dai montanari scesi a valle). Che poi questi esperti abbiano anche una profonda conoscenza di quella particolare località, dipende da caso a caso. Quanto poi feste e libretti possano rivitalizzare le identità culturali locali e soprattutto l'uso della lingua, sospendo il giudizio. Ma l'essere occitani, francoprovenzali, liguri o piemontesi non fa ricatramare le strade, dare gli incentivi per rifare i tetti in ardesia, costruire nuove stalle economicamente produttive, dare un buon servizio di scuolabus ai due o tre bambini rimasti, cioè i vari problemi dei paesi montani (anche perché non rientra nei fini della 482/99).

    RispondiElimina
  168. Mi associo, e ci sarebbe molto da aggiungere anche sul tipo dei presunti "intellettuali locali", in genere vecchietti sfaccendati, con smanie di protagonismo, padri-padroni di associazioncelle da loro stessi fondate, che irretiscono sindaci compiacenti che per ignoranza o malafede si bevono qualsiasi balordaggine. Ne sono piene le Alpi piemontesi, c'è da sperare che in Liguria abbiate un personale più serio.

    RispondiElimina
  169. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

    RispondiElimina
  170. Sarcastico, vuoi che mi denuncino per aver violato la privacy? E poi cosa serve a questo dibattito pubblicare l'indirizzo di una persona? Vuoi costringermi a moderare i commenti?

    RispondiElimina
  171. Alcune doverose precisazioni sul mio precedente intervento, anche se tendo in genere ad evitare rettifiche e controdeduzioni che finiscono con lo svilire qualunque dibattito.
    Per chi avesse dei dubbi Viozene risulta frazione di Ormea e Verdeggia frazione di Triora.
    In merito alla battuta sulla caccia alle streghe, posso convenire trattarsi piuttosto di un accanimento terapeutico, su chi non si riconosce totalmente nelle opinioni dei medici , e che quindi a maggior ragione deve essere coattivamente operato a beneficio della “scienza”, o in caso di rifiuto bere la cicuta, almeno così parrebbe da certi interventi.
    Sui pesanti condizionamenti che sviliscono il patrimonio culturale in un contesto estraneo…..etc
    conoscendo i brigaschi come spiriti liberi e poco disposti a farsi condizionare da fonti esterne, mi sembra altamente improbabile che questo possa avvenire….quando mai !! Cui prodest ?
    D’altro canto mi piacerebbe sapere cosa è stato fatto finora da ambo le parti della frontiera per non svilire questo patrimonio, occitano e/o ligure alpino che sia, la crisi della montagna risulta fuori tema e pare che lo sviluppo interessi a pochi, quindi molto meglio misurarsi su temi accademici come l’occitanità, che mi sembra tutto sommato la classica pagliuzza nel pagliaio….ma tantè,
    La proposta poi di cancellare dei simboli del tutto inoffensivi mi lascia esterrefatto, mi sembra una proposta….simil-Talebana. Propongo di regalare un “talebanino” in peluche al focoso scalpellino..
    Per quanto riguarda la battaglia per il ligure, massima solidarietà, credo però debba essere effettuata da quelli che ritengono che la lingua e la cultura locali debbano essere salvaguardate coinvolgendo “ in primis” i liguri stessi.
    Il termine piemontese- occitano per gli studiosi potrà sicuramente sembrare improprio, molto semplicisticamente voleva rappresentare, il fatto che particolarmente nelle zone di transizione, o di frontiera, come il col di Tenda, la comprensione tra i soggetti risulta in genere più che soddisfacente per tutta una serie di motivi pratici ben noti agli studiosi.
    A mia conoscenza diretta infatti, i brigaschi, pur apparentemente isolati, erano in grado di esprimersi facilmente in piemontese ed anche nell’occitano dei paesi confinanti, almeno questa è la mia esperienza, ho avuto modo di sentire anziani intendersi senza problemi con gli abitanti di Limone e della zona di Vernante da cui provenivano i cosiddetti coltelli “vernantini”., così come con commerciati cuneesi.
    Evidentemente sono stati, specie nel passato, una sorte di poliglotti, ricordo che alcuni erano in grado di valutare le diverse sfumature del ligure e stabilirne ad orecchio il paese di origine….
    Gran parte di quanto riportato è stato da me personalmente constatato, anche se l’amico Jean Pastorelli, che saluto, esprime altra opinione, devo anche dire per obiettività che l’uso del francese, salvo qualche emigrato, non era molto diffuso nemmanco nel capoluogo.
    Per quanto riguarda Guardia Piemontese non intendevo criticare gli amici locali ma, portare semplicemente un esempio di come una lingua parlata nei secoli scorsi, grazie alla legge, sia stata riscoperta, tanto da costituire una discreta attrattiva per studiosi …e turisti con buona pace di tutti.
    Il riferimento all’analisi del DNA, ironica provocazione che evidentemente non è piaciuta, si ascrive in un clima grottesco, vedi le battute sullo svilimento del patrimonio, le accuse di sperperi tutte da dimostrare etc...illazioni non sempre “simpatiche” alcune francamente un po’ pesanti .
    Citazioni che, forse sarò un isolato, in un contesto “accademico” che dovrebbe contribuire a risolvere l’amletica questione su quali popolazioni comprendano e chi siano veramente i “Liguri alpini” mi sono sembrate fuori luogo.Gli abitanti di Triora e/o quelli, ad esempio di Mendatica, sono compresi tra i liguri alpini ??
    Posso capire che la diatriba possa appassionare qualche studioso, eviterei però l’uso del “bastone” ai fini di ricondurre lo sparuto gregge occitaneggiante all’ovile assegnato dai sapienti, pur leggendo con interesse il parere degli esperti in linguistica, ritengo del tutto fuori luogo far concorrenza ai giudici.
    Concludendo, da buon minoritario, vorrei in definitiva suggerire di lasciare liberi “i diversi”di decidere democraticamente quali debbano essere i loro riferimenti, la “paternità” decisa a tavolino da un tribunale non mi sembra la migliore soluzione, non mi pare inoltre, per quanto ne so’, ci si trovi di fronte ai membri di una setta satanica men che meno ad un pericoloso covo di separatisti..
    Grazie a Dio, almeno fino alla prossima rivoluzione, siamo in Europa ! Pace e bene a tutti.…Frico

    P.S. Il consiglio regionale del Piemonte ha appena approvato la legge che regolamenta l’esposizione dei vessilli delle minoranze riconosciute dalla regione stessa, per cui Briga Alta e Viozene (Ormea) non corrono più rischi se ritengono di esporle.

    RispondiElimina
  172. Caro Frico, non entro nel merito di alcune questioni che esulano dagli aspetti linguistici, però su alcuni punti direi che occorre essere chiari: il suo ragionamento sull’accanimento terapeutico nasce dal presupposto che tutti i brigaschi (e gli olivettesi) per innata tradizione si ritengano “occitani” e come tali abbiano sviluppato determinati atteggiamenti di promozione e valorizzazione della loro presunta occitanità; questa non sembra essere la realtà, fino a prova contraria. Di “occitano” a Realdo, Verdeggia ecc. si è cominciato a parlare solo a partire dagli anni Ottanta, non nei paesi ma in alcuni ambienti e su alcuni giornali, il che significa evidentemente che l’occitanità è un fenomeno identitario eterodiretto; quanto alla sua condivisione, anche lasciando da parte le posizioni qui sostenuti da alcuni che si dichiarano brigaschi, a me pare tutta da dimostrare, e non vale neppure computarla sulla partecipazione alle “adunate oceaniche” (scusi la battuta) ale quali Napo Orso Capo voleva invitarmi qualche tempo fa: chi non va volentieri a una festa, soprattutto nel proprio paese? Se dovessimo contare i leghisti tra i miei compaesani che frequentano annualmente la cosiddetta “Festa della Libertà”, comincerei a preoccuparmi seriamente. Quindi l’intervento della “scienza” virgolettata o meno non ha meno ragione di essere degli interventi di quanti si ritengono accreditati a decidere per i loro compaesani un’appartenenza “etnica” e linguistica che fino a prova contraria (se ha prove contrarie sono graditissime in questa sede) è inesistente. Altro che accanimento terapeutico, l’accanimento è di chi sostiene posizioni indimostrabili e indifendibili, e non entriamo una volta tanto, per non perdere il filo del discorso, sul perché le difenda. Tutti d’accordo sul fatto che nessuno ha fatto nulla per il patrimonio linguistico locale, ma ciò non giustifica un’impostazione scorretta del problema, a maggior ragione se si vuole impostare il discorso in maniera seria e costruttiva: come hanno scritto altri su questo blog, la tutala operata dalla 482/1999 non tutela affatto le lingue minoritarie, e ancor meno il vissuto e la cultura che ad esse si lega. Sul tema dell’inoffensività dei simboli non entro, ma mi pare che “alcuni ritengano” che tali simboli non siano affatto inoffensivi. Giro la questione a chi ne ha scritto. Sono d’accordissimo sul plurilinguismo storico delle genti di montagna! Se fossi un pedante, le farei copia di un mio articolo nel quale, tra i guai indotti dalla 482, sostengo proprio, come hanno fatto del resto altri linguisti più titolati di me, il fatto che tale legge non tiene conto delle implicazioni plurilingui del vissuto delle realtà minoritarie e dialettali, ingessando in un monolinguismo “etnico” assai pericoloso per il valore dei patrimoni linguistici in questione il senso di appartenenza delle comunità: l’occitano cisalpino di riferimento, il friulano standard e la limba sarda comuna non li hanno certo inventati i linguisti, queste formule inducono a un abbandono e a una sottovalutazione delle varietà locali e impongono steccati linguistici in aree dove tradizionalmente si arrivava a parlare o comprendere anche cinque o sei lingue e dialetti. Guardia Piemontese come punto linguistico provenzale è noto da studi risalenti già alla metà dell’Ottocento, il provenzale vi si parla per davvero e quindi non è una situazione comparabile all’invenzione recente dell’occitanità imperiese. Sono d’accordissimo di lasciare liberi i “diversi” di decidere democraticamente quali debbono essere i loro riferimenti, per questo non mi piacciono le operazioni per le quali si prende un paese e si stabilisce a tavolino la lingua che la gente vi parla, foss’anche “per il suo bene” (cosa tutta da dimostrare) e in assoluta buona fede. Questo è qualcosa di peggio che accanimento terapeutico, per me è e resta manipolazione dell’identità locale. Tuttavia, le ripeto, se ha elementi in grado di dimostrare il carattere occitano di questi dialetti associandoli magari a prove altrettanto convincenti che “storicamente” gli abitanti ad es. di Realdo si sono sempre sentiti “occitani” invece che brigaschi, sarò ben lieto di prenderne atto, anzi, trattandosi di un’importante scoperta scientifica, le chiederò il permesso di utilizzare tali materiali. Buona giornata, FT

    RispondiElimina
  173. Mr Frico vous avez équivoqué: je n’ai jamais parlé d’une ancienne diffusion du français à la Brigue, mais biensûr du piémontais. Quant à l’occitan il a été toujours inconnu soit comme langue soit comme denomination, pour le provençal on parlait de nissart, de souspellenc ou de gavot selon les cas. Avec les « limunin » même on parlait le piémontais ou l’italien, en le mélangeant avec des mots dialectaux diverses : tout cela c’est une situation très commune dans les zones de frontière, je crois qu’elle ne constitue pas une particularité brigasque. La particularité c’était plutôt la suivante : les limonesi et vernantini étaient convaincus que leur patois c’etait du piémontais bâtard, tandis que les brigasques ont toujours parlé de leur idiome comme du « brigasque » en le rivendiquant comme proche (mais différent) du pignasque et des autres varietés du « figoun ».

    RispondiElimina
  174. Scusi Frico, seguo da tempo questa discussione con molto interesse e vorrei essere imparziale. Mi sembra però che lei si stia contraddicendo, sostiene che questo è un dibattito accademico ma in realtà dimostra irritazione perché viene messa in pubblica evidenza una inesattezza o manipolazione che sia, facendola così uscire dall’accademia. Provo adesso a mettermi nei panni dello studioso che rileva una discrepanza tra i dati scientifici a lui noti e ciò che viene fatto passare per un dato di fatto addirittura a livello amministrativo. Cosa dovrebbe fare? Starsene zitto per non disturbare e per quieto vivere? Pare un atteggiamento poco serio: e del resto non può certo farne una disquisizione limitata alle sedi scientifiche, se a quanto pare tutti gli studiosi sono d’accordo con lui. Mi pare inoltre che il Toso possa risultare fastidioso per chi a torto o a ragione non la pensa come lui, ma che non abbia nemmeno interessi scientifici o di altro genere da difendere: a quanto ne so è noto come specialista in dialettologia, insegna fuori regione e non si è mai occupato, così dice, del ligure alpino. Cita però una bibliografia aggiornata di autori italiani e stranieri e basa su quella i suoi argomenti, certamente appassionati, ma non per questo meno solidi e convincenti. Se vado indietro a leggere, poi, i toni accesi sono nati dai primi “occitanofili” che hanno partecipato a questa ormai lunga discussione. E del resto diciamolo francamente, lei stesso continua suo malgrado a dargli ragione, non mi pare colpa dei linguisti se non siete ancora riusciti a dimostrare che in quei paesi si parla davvero occitano. Non mi pare nemmeno che i linguisti si ergano a giudici: finora hanno constatato dati di fatto, e comunque il legalitarismo non dovrebbe fare comodo a senso unico (se una legge mi consente di dichiararmi occitano, lo faccio e guai a chi dice il contrario: siamo o no in democrazia?). Un’ultima cosa, lei vorrebbe che questo blog discutesse e magari risolvesse i grandi problemi della montagna, che non sono solo di Realdo, ma poi non le piace che uno di questi problemi per quanto secondo lei minore come l’identità della gente di montagna venga dibattuto. Vorrei vedere un contraddittorio serio, questo non mi sembra un granché come atteggiamento. A domande precise, risposte precise, altrimenti non se ne esce.

    RispondiElimina
  175. Ringrazio il Lago di Como, ha detto alcune cose che anch’io penso ma che non avrei mai sostenuto “a mia difesa” perché non mi ritengo minimamente toccato dalle argomentazioni del sig. Frico o di altri. Del resto vorrei aggiungere qualche considerazione sul ruolo dei linguisti in questa faccenda: l’ipotesi dell’“accanimento terapeutico” potrebbe fors’anche avere un minimo di senso qualora un gruppo di saccenti armati di fonemi e di isoglosse si mettesse a tuonare in solitudine sul carattere ligure delle parlate brigasca e olivettese. Ma in realtà anche a un livello diffuso, di informazione e di divulgazione, se si va a vedere, a sostenerne l’occitanità non c’è quasi nessuno. Prendiamo per comodità di verifica il solo Internet: troviamo qualche sito occitano italiano (che per ovvi motivi non fa testo), un sito “culturale” leghista con un gustoso articolo (in genovese!) dove sta scritto che il popolo brigasco amava mescolarsi con gli animali (pòpolo pe-o ciû constitûio da pastoî , abitûòu a mesciase co-e bestie lungo di percorsci millenäi, bel sostegno), ovviamente l’associazione A Vastera e poco più. Su wikipedia ad esempio, alla voce Triora si dice che a Realdo e Verdeggia si parla il brigasco, “una varietà della lingua ligure”, e più o meno la stessa cosa si ritrova nelle diverse altre voci inerenti (alcune sono state riprese su questo blog): in generale poi quando si parla del brigasco come “occitano” lo si fa con dei distinguo tra quella che viene considerata l’opinione corrente (ossia che il brigasco è ligure-alpino) e quella di una esigua militanza culturale. Altri siti e altri testi inseriscono Triora e Olivetta tra i comuni “occitani” ma solo in virtù delle dichiarazioni di legge (quindi a posteriori), indicando magari che si tratta di “casi dubbi”. Sulla rivista “R’nì d’àigüra”, che da decenni si occupa di etno-antropologia e linguistica dell’area ligure alpina con taglio rigoroso e al tempo stesso divulgativo, almeno da quindici anni a questa parte si ribadisce il carattere ligure-alpino del brigasco, dato per scontato più o meno da tutte le pubblicazioni anche non strettamente scientifiche sui dialetti italiani, dove parlando della minoranza “occitana” si ribadisce per lo più la descrizione canonica (e veritiera) di dialetti provenzali parlati in Italia tra la val Susa e la Vermenagna, aggiungendovi magari il cosiddetto Quié. Insomma, qui non è questione di accanimento, ma di mero buon senso, i linguisti fanno solo il loro mestiere. Cordiali saluti a tutti, FT

    RispondiElimina
  176. alcune considerazioni, che sicuramente lasceranno il tempo che trovano, essendo totalmente "gratuite": cioe' non dimostrabili.
    1) i nonni di un mio conoscente- pastori in quel della "valle delle meraviglie- erano coscienti di una loro appartenenza "occitana".
    Quindi gia' da allora potrebbe esserci stata una "tensione" non dico autonomistica ma di una differenza se non altro con il ligure....
    2)se non erro la questione occitana va oltre la lingua...ed e' appunto questo che vorrei chiedere sotto
    - mi pare che nella legge si parli di un referendum (che comunque a triora non e' stato fatto).
    interpreto bene se affermo che - nello spirito della legge - se una popolazione di un comune che, a torto o a ragione sul piano linguistico, si ritiene appartenenze ad una minoranza storica-linguistica; SI DICHIARA CON IL VOTO in maggioranza favorevole ad appartenere a detta minoranza CIO' BASTA - IN LINEA DI PRINCIPIO - per rientrare nei canoni della legge?
    ripeto a triora non e' stato fatto.
    ma ci illuminerebbe un po' sul senso che il legislatore ha inteso privilegiare.
    Cioe' il senso di appartenenza che la popolazione avverte.
    Potrebbe essere questo il caso di Realdo e Verdeggia, che da sempre guardano con "sospetto" vs la "figonia" triora e, nel caso di Realdo, hanno vissuto come un distacco "traumatico" lo stacco dalla provincia di cuneo ed eventualmente dalla francia (mio zio mi diceva che a realdo ci furono i soldati "mori" francesi per diverso tempo, in vista del famoso referendum......).
    Insomma l'occitanita' rivendicata non sarebbe altro se non un sentirsi ALTRI per svariati motivi dalle attuali amministrazioni locali. E cio' lo si e' se non altro per il linguaggio roiasco e non triorese, ligure alpino vs ligure marittimo o come lo volete chiamare.
    Che poi briga marittima si senta "ligure" o no, poco importa.
    Si vorrebbe tornare con il vecchio capoluogo. Guardare ad ovest insomma.
    Ripeto, inoltre, ma se serve ho dei dati ultimamente pubblicati: come Briga Marittima era orientata alla secessione per andare vs la Francia, gia' nel 46- come avvenne!

    - Sul fatto che i brigaschi si dividano sull'occitano
    1) alle feste della vastera non ho mai sentito una persona schierarsi pubblicamente contro questi simboli occitani (e praticamente tutti nei "nostri" piccoli paesi - almeno in italia- hanno partecipato.
    Al massimo puo' essre che la questione non interessi, o non si abbia la cultura per discuterla: ma non ho notato di certo avversione.
    -le dichiarazioni su questo blog lasciano un po' il tempo che trovano- sia pro, che contro: infatti sono difficilmente verificabili.
    E' facile qui firmarsi brigasco: ma se poi l'origine deriva dai bisnonni e ci si dichiara tali solo perche' si va a sant'erim, e magari si contesta pure a torto o a ragione, non so quanto sia indicativo di un'opinione "brigasca": visto che a sant'erim ci sono anche meridionali e parlamentari di roma ed e' bello per quello.
    Ma non sono mecessariamente i brigaschi che VIVONO i loro paesi e che vengono interpellati su cio' che si sentono.
    saluti da
    Gianni

    ps: c'ho azzeccato sul senso del referendum, o qualcuno me lo puo' spiegare in modo semplice?
    -inoltre ripeto APPOGGIO LO STUDIO DEL DIALETTO E LA SUA CLASSIFICAZIONE - FOSSANCHE (E NE SONO IN PARTE MOLTO CONTENTO) ligure; MA LO SPIRITO DELLA LEGGE SI LIMITA AL DIALETTO?
    ANCHEQUESTO DOBBIAMO TENERE CONTO: LA LEGGE VA APPLICATA SU QUELLO CHE DICE: NON SU QUELLO CHE VORREMMO DICESSE.....
    per quello che vorremmo dicesse: non esiste altra strada che una battaglia di revisione della stessa.

    RispondiElimina
  177. Questo Gianni sta diventando estenuante.

    RispondiElimina
  178. Buongiorno Gianni, due aneddoti per iniziare la giornata: 1) una zia di mia moglie sosteneva che suo nonno le diceva che suo nonno era un austriaco catturato dai genovesi ai tempi di Balilla e messo a lavorare nella cascina dell’Orbasco dalla quale cent’anni dopo quella famiglia sarebbe scesa alla Riviera. E’ una bella storia, mi piacerebbe sapere se è vera (in quel ramo della famiglia hanno delle biondone strepitose), ma loro non possono dimostrarlo e io nemmeno (salvo andare a fare ricerche in qualche archivio parrocchiale, ma sa com’è TUTTA la montagna ligure: spopolata, e così gli archivi vanno in malora). 2) A San Martino della Stella, che è nell’entroterra a cinque-sei chilometri da Varazze esiste questo modo di dire: “mi sun dra Stèia / se n’ru fusse m’ru farèia / per pié ‘na curterinna / e mazzé tücci quei dra Marinna” (curterinna = coltellino; Marinna = la costa); il dialetto è, malgrado le apparenze, inesorabilmente ligure, diverso dal genovese un po’ come il brigasco dal ligure di Ventimiglia. Perché queste due storie? Per rispondere alla questione del nonno del conoscente, caso veramente unico (ma non dimostrabile) di occitano autonominatosi tale in un’epoca in cui il termine occitano, se esisteva, era noto si e no a qualche mio collega tedesco; e per rispondere per l’ennesima volta alla questione della “diversità” e del senso di appartenenza dei Brigaschi, che ci sono, che rispetto (e che tutti rispettiamo) ma che non sono questione di lingue né tanto meno di etnie, rientrano in una casistica diffusa in tutta la Liguria – per non dire in tutto il mondo – di relazioni conflittuali (più a parole che nei fatti) tra aree con diversa specializzazione socio-economica e con diversa conformazione geografico-ambientale. Se la signora Pignasca legge ancora i nostri battibecchi potrà dirci qualcosa, ad esempio, in merito ai rapporti tra Buggio e Pigna come sono stati descritti tra l’altro da quell’eccezionale narratore che fu don Guido Pastor. Questo tipo di relazioni sono un po’ poco per erigere steccati etnici e per rivendicare diverse appartenenze (salvo voler “balcanizzare” il mondo…); soprattutto poi quando queste appartenenze si basano esclusivamente su questo senso di “diversità”: è vero, c’è un dialetto diverso, ma quel dialetto non è occitano (fino a prova contraria), è solo “diverso”, è fieramente proclamato “brigasco”, ma tutto il resto è un’illazione, forse un desideratum per alcuni, una camicia elegante, ma che non copre gli stracci che ci sono sotto, se per stracci intendiamo la dialettalità ligure e per camicia intendiamo la nobile lingua (?) occitana. Sul referendum posso dirle intanto qualcosa io, è vero, è il meccanismo previsto prioritariamente dalla legge per effettuare l’autodichiarazione di appartenenza, ma per quel che ne so non è stato mai attuato da nessuna parte presso i centri minoritari o (come nel nostro caso) presunti tali. I motivi sono evidenti: una delibera comunale è più spiccia e soprattutto non pone il problema di eventuali perplessità nei casi in cui ce ne fossero. Del resto a Triora il referendum avrebbe riguardato i soli residenti nei due centri interessati (Realdo e Verdeggia), non so quanti essi siano, ma purtroppo sarebbe stato un referendum per pochi intimi, temo. Per il resto, non seguo molto il discorso secondo il quale l’occitanità sarebbe un modo per sentirsi “altri” rispetto all’amministrazione: non era sindaco di Triora, quando fu dichiarata l’occitanità di Realdo e Verdeggia, un fautore dell’occitanità stessa? In ogni caso, se dietro la dichiarazione di occitanità c’è in linea di principio una motivazione come questa, beh, lascio a lei trarre le conseguenze su quanto c’entri l’identità e su quanto c’entri la nobile causa della tutela del patrimonio linguistico della popolazione coinvolta. E poi, ripeto, quale popolazione, se tutti continuano a dire che praticamente non ce n’è? Qui torna a fagiolo il discorso dei brigaschi che si dividono sull’occitano: io trovo sensato il discorso del sig. Pastorelli quando sostiene che uno stesso dialetto dichiarato “ufficialmente” ligure in Francia e “ufficialmente” occitano in Italia è un po’ un assurdo e che questo stato di cose rappresenta o può rappresentare alla lunga un elemento di divisione per una comunità che si vorrebbe coesa; a parte quest’ottimo argomento di riflessione, mi sembra fin troppo ovvio che alle feste della Vastera non ci siano atteggiamenti di rifiuto verso i simboli occitani, nemmeno alle feste della Lega di cui parlavo ieri, dove si va a ballare la polka e a vedere l’elezione di miss Riviera (in genere lombarda, e per giunta racchia), nemmeno gli amici di Rifondazione si mettono a inveire contro la paccottiglia celtica: si mangia la salsiccia, si sta in allegria e la cosa finisce lì, perché guastare la festa se di festa si tratta? Sono d’accordo che chi si firma brigasco in questa sede può anche non esserlo, è il bello e il brutto di questa forma di comunicazione. Però mi chiedo, col massimo rispetto e senza nessuna ironia: 1) fino a che punto le opinioni degli aderenti di un’associazione vanno considerate rappresentative di un’intera comunità? Perché il fatto che questa associazione si dichiari rappresentativa in tal senso non è di per sé sufficiente, anche l’Associazione Repubblica di Genova, che vorrebbe l’indipendenza della Liguria dichiara di avere un seguito, però tutti questi indipendentisti liguri io faccio una gran fatica a vederli; 2) che controllo c’è sulla “diaspora” brigasca? Quali requisiti si debbono avere per dichiararsi “brigaschi”? Quelli che, come dice lei, “vivono” i loro paesi sono pochi, mi pare, e qualcuno qui ha scritto nei mesi scorsi che in questo caso si tratterebbe di tutelare il sardo o il siciliano (non ricordo); è abbastanza evidente dunque che la questione e gli interessi (in senso lato) di cui stiamo discutendo riguardino in massima parte persone che vivono a Sanremo, a Imperia, magari a Genova, a Torino, a Nizza ecc., anche se magari hanno ancora un podere o una casetta per l’estate al paese. Forse sono migliaia di persone, non saprei valutare, e per tutti questi non so fino a che punto sia corretto proclamare un’appartenenza che, se la si basa su un fatto linguistico, è solo una bella (?) favola. Adesso però chiudo, sennò Riccardo giustamente si estenua. A presto, FT

    RispondiElimina
  179. Sto leggendo ..."lassù in montagna...", Diario clandestino, Triora - editore DOMINICI IMPERIA-di Amabile Ferraironi giornalista-suora nipote di P. Francesco Ferraironi, illustre memorialista della Liguria Occidentale. La Ferraironi, stimata e celebre figlia di Triora, scrive della guerra 1940-45 - della resistenza - le rappresaglie l'incendio di Triora, l'eroismo degli abitanti la Valle Argentina. Ella pubblicò il suo primo lavoro nel 1941 -" A Canzun de Franzé u peguror." Canzone di Francesco il pecoraio, in antico dialetto di Triora, 1° cap.,Tip.Gandolfi, Sanremo,1941- a cui seguirono altre dieci Pubblicazioni, l’ultima delle quali – Il bisogno di provvedere- nel 1984- Questo preambolo per far conoscere, il pensiero della scrittrice triorasca che a quanto pare era naturale esprimersi così. A pagina 49 del Diario clandestino – troviamo la foto di Realdo e vicino scritto: REALDO dalla TIPICA PARLATA OCCITANA-BRIGASCA - .Sono notevoli sui monti i resti della grande linea di fortificazione e di strade militari, costruite a ridosso del confine italo-francese negli anni ’30. La strada collegante Realdo con La Brighe ha l’unico valico della “Bassa di Sanson” (m.1685) del confine montano ligure-francese praticabile con mezzi motorizzati.
    Pur mantenendo sempre una equilibrata neutralità, ritengo giusto fare chiarezza e contribuire con la luce di un cerino ad accendere il desiderio di quanti stanno a guardare e non portano le ‘famose’ prove di ‘occitanità’ della lingua brigasca. Il dibattito democratico tra il Prof. Toso e noi è teso a fare chiarezza, non a demolire od a ostacolare eventuali verità. Quest’ultima, infine penso sia l’obiettivo finale di entrambi.
    Auguro una buona Fine e un miglior Principio a tutti i lettori e scrittori.

    RispondiElimina
  180. Grazie per il contributo e le belle parole, sono d'accordo anch'io che alla fine siamo tutti alla ricerca di elementi di verità. Ricambio di cuore i più cordiali auguri, FT

    RispondiElimina
  181. Non sembra il riflesso di un'opinione diffusa ai tempi della guerra. Bisogna vedere quando è stato pubblicato il diario e se la didascalia è della stessa epoca oppure un'aggiunta successiva.

    RispondiElimina
  182. Non c'entra niente ma sono andato a guardare qualche libro che ho in casa di quelli importanti per la descrizione del nostro territorio. Teofilo Ossian De Negri, in "Il ponente ligustico incrocio di civiltà" (1977) parla a lungo di Briga e di Realdo ma non fa riferimenti a un dialetto particolare, e sì che si era girato tutte le valli. Mauro Richetti, "Olivi e Pietre di Liguria" (1985) dà una descrizione di Realdo (40 abitanti nel 1981) che fa stringere il cuore: "Esiste una scuola elementare con 2 alunni. Tranquillo villaggio nel silenzio della montagna, gente ospitale e serena". Poi aggiunge: "permane fra gli anziani il tipico dialetto delle Alpi Liguri".

    RispondiElimina
  183. Rispondo volentieri a 'Bordigotto'- Il diario clandestino di Amabile Ferraironi con la Prefazione del Prof. Osvaldo Contestabile (Segretario Generale dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'età Contemporanea della Prov. di Imperia) e la Presentazione del Dott. Rinaldo Ferrero (Associazione Medici Scrittori Italiani) è stato stampato nel mese di luglio 1991 con i tipi dell'Editore A. Dominici - Imperia-
    cordialità

    RispondiElimina
  184. Volevo ben dire, siamo già all'epoca che si cominciava a parlare dell'occitano. Grazie per l'informazione.

    RispondiElimina
  185. Mi sembra che quest'ultimo scambio abbia un suo interesse e anche una sua utilità. Mi sembra chiaro che l'idea di associare all'indiscutibile eccentricità del brigasco nel quadro dei dialetti liguri una diversa collocazione risalga agli anni Ottanta, e che dell'ipotesi infondata di un particolare legame di questo dialetto con le parlate "occitane" o provenzali che dir si voglia si sia cominciato a parlare solo in quell'epoca. Non ho dati precisi, ma penso che l'idea del brigasco "occitano" abbia cominciato a divulgarsi a un livello più ampio, uscendo da una specie di nicchia di cultori (spesso forestieri) solo alla fine di quel decennio; la cosa non dev'essere stata pacifica se a quell'epoca risale una specie di scissione tra i cultori di cose locali. Ora, se Realdo aveva 40 abitanti nel 1981, che saranno ulteriormente calati ai primi degli anni 90, vuol dire che a livello locale (intendo dire a livello di abitanti stabili) l'ipotesi dell'adesione a una presunta "identità occitana" potrà aver interessato sì e no una ventina di persone, e non sappiamo quante di esse vi abbiano aderito per davvero. Facendo dunque due conti, anche a prescindere dalla lingua (che non è occitana fino a prova contraria) il presunto senso di appartenenza occitano non è stato mai realmente presente in loco, dove al contrario esisteva da sempre una forte e condivisa identità brigasca. quindi non ha molto senso parlare di un "animus" comunitario "occitano", perché si tratta di un fenomeno recente e non radicato, gestito dall'esterno e chiamato a coinvolgere (almeno per quanto riguarda Realdo, ma per Verdeggia non sarà diverso) essenzialmente persone residenti altrove. Se dunque non c'è lingua e non c'è "animus", di occitano non rimane proprio niente.

    RispondiElimina
  186. Scusa tanto, ma hai scoperto l'acqua calda

    RispondiElimina
  187. sul r'ni d'aigura n 43 del 2005 (ho solo quel numero :-)) a pag. 80, pierleone massajoli scrive:
    "....Noi abbiamo iniziato questi studi (e sono oltre 22 anni, credo che possiamo parlarne!) con una totale apertura a tutte le possibilita' linguistiche e culturali. Poiche' una buona parte dei Brigaschi riteneva di essere di origine occitana e lo gradiva (per simpatia storica verso Nizza soprattutto), .....".
    Ora, sarebbe interessante se Massajoli potesse dirci chi erano questa "buona parte dei Brigaschi" che si sentiva occitano.
    Secondo me e' possibile che ci fosse un sentimente condiviso dovuto anche al fatto che storicamente i brigaschi sono "esuli" in francia.
    1) i brigaschi sono i VERI pastori delle marittime (tanto che esiste pure una pecora chiamata brigasca), e non si puo' confondere il vero pastore brigasco con gli "sgariun" odierni che magari bazzicano sul saccarello o su cima marta.
    2)i pastori brigaschi muovevano le loro greggi nell'odierno parco del mercantour
    3) nel dopoguerra emigrarono in tanti nel nizzardo.
    Comunque volevo capire lo spirito della legge che non mi pare tuteli in primis o solamente l'effettiva lingua parlata ma, lo spirito di appartenenza (quindi molteplici altri aspetti: di relazioni, culturali ecc.) delle popolozioni "autodichiaratesi".
    ps: sul mero campo linguistico, naturalmente, rimango alle dichiarazioni di toso and company che non sono ancora state "smentite".
    saluti da gianni

    RispondiElimina
  188. Quella di Gianni agli ultimi interventi è una buona risposta, cita una fonte (Massajoli) secondo la quale verso la metà degli anni 80 “una buona parte” (non tutti evidentemente) dei brigaschi riteneva di essere “di origine occitana”. Anche se questo c’entra poco con la lingua, sarebbe davvero interessante sapere come sia nato questo mito di appartenenza, che è sicuramente d’origine non popolare, visto che la denominazione “occitano” e la stessa costruzione di un’identità “occitana” non sono tradizionali né in Italia né in Francia per ammissione degli stessi gruppi occitanisti (è evidente dunque che non ci si poteva sentire “occitani” per simpatia storica verso Nizza, caso mai “nizzardi”!). Spesso l’attribuzione del brigasco all’area linguistica e culturale “occitana” viene attribuita in primo luogo allo stesso Massajoli (che poi, almeno dal punto di vista linguistico, aderì alla classificazione tradizionalmente accolta e unanimemente accreditata presso i linguisti), ma non è da escludere che ci siano stati altri prima di lui che abbiano contribuito a divulgare questa presunzione di occitanità a livello locale. Sarebbe dunque interessante e istruttivo fare la storia dell diffusione del concetto di “occitanità” nelle Alpi Liguri per capire come un concetto per così dire “colto” riesca a defluire a livello popolare e a trovarvi un certo radicamento, per quanto, probabilmente, soprattutto a livello di colti e semicolti. E’ un po’ come la storia, che ho raccontato in un mio libro, dei famosi Fiamminghi di Altare: in quella località del Savonese, dove si pratica(va) l’artigianato del vetro, uno "storico" locale di fine Ottocento scrisse ovviamente senza prova alcuna che gli abitanti del luogo erano d’origine fiamminga (perché nelle Fiandre si produce vetro) e che il dialetto locale aveva forti influssi fiamminghi. Conseguenza: qualche anno fa, alla conferenza di presentazione di una grammatica della parlata altarese fui quasi aggredito dalla folla per avere sostenuto (senza sapere ancora nulla di questa faccenda del fiammingo) che il dialetto altarese, identico a quello dei paesi vicini, era un ottimo esempio di parlata di transizione ligure-piemontese. Erano convinti di parlare fiammingo, anche se naturalmente il fiammingo è una lingua germanica che non ha nulla da spartire coi dialetti liguri della zona! Questo anche per dire, da un lato che l’invenzione “colta” ed eterodiretta dell’occitanità del brigasco non è poi un fatto così isolato, e dall’altro che se la legge parla di lingua, parla di lingua, e se qui parliamo di lingua, conviene parlare di lingua: è meglio non imbarcarsi in discorsi di identità e spirito di appartenenza, altrimenti ci troveremo a dover tutelare anche i famosi “Fiamminghi” di Altare… le cui convinzioni di appartenenza sono sicuramente più antiche e non meno “fondate” di quelle degli “Occitani” di Realdo e dintorni :-) Un cordiale saluto a tutti, FT

    RispondiElimina
  189. L'occitanité à Nice c'est un fantôme identitaire aujourd'hui même. En tout cas du moins à La Brigue on n'a jamais revendiqué cette appartenance jusqu'à present, comme j'ai déjà dit, on était et on est toujours "brigasques". Mr Toso, vous dites qu'il y a une minorité flamande en Italie? Cela c'est très curieux.

    RispondiElimina
  190. Non, c'est un mythe qui est né d'une tradition historique du XIXeme siècle: on voulait justifier le fait que dans un village des alentours de Savone on produit du verre avec une immigration de la Flandre (où, on dit, il y a des specialistes dans cette production). Cette immigration n'a jamais eu lieu, mais les habitants de ce village ont fini pour se convaincre du contraire. C'est un cas d'invention de la tradition, un peu comme l'occitanité des brigasques. A bientôt, FT

    RispondiElimina
  191. Scusate, mi ero un attimo persa! Anche se un po' in ritardo, vorrei rispondere al Prof. Toso: certo che ci sono state e ci sono ancora le diattribe tra Pigna e Buggio! altrochè! Don Guido le ha raccontate senz'altro meglio di quello che posso fare io, ma lo confermo! ancora oggi le frasi "Ma voi pignaschi avete avuto più contributi, noi solo le bricciole...; voi avete questo e noi no; ecc..." tanto per dirne una, si sente molto spesso (!)Come d'altra parte si sente " Eh, ma cosa? questo per buggio che sono quattro gatti e noi a pigna no? è un'ingiustizia!"
    Frasi fatte che spesso non sono veritiere.... ma tant'è!

    RispondiElimina
  192. Cara Pignasca, grazie per la testimonianza, io ricordavo soprattutto alcuni bellissimi racconti di don Pastor, un grande narratore popolare e un uomo autentico della montagna ligure che meriterebbe di essere ricordato più di quanto forse non sia stato fatto finora (e penso che anche i pignaschi siano d'accordo...). Per il resto trovo conferma del fatto che tutto il mondo è paese, in Val Nervia come in Valle Argentina (o in Val Trebbia, o in Val d'Orba...), e se da queste incomprensioni amministrative dovessimo cominciare a rivendicare eccellenze e identità separate, buonanotte!

    RispondiElimina
  193. Buonasera a tutti, ho appena ricevuto il parere da me richiesto a un collega sociologo al quale ho sottoposto la questione e dato in lettura (poveretto) tutta quanta la nostra discussione. Posso garantire che è persona del tutto estranea all'area in questione e alla Liguria, personalmente lo considero "super partes" anche se mi rendo conto che essendo io stesso il tramite la cosa potrà sembrare discutibile. Il fatto è che il collega intende mantenere l'anonimato, e a questo punto mi è parso inutile suggerirgli di intervenire direttamente con un nickname, visto che il suo contributo compare una tantum e non avrà seguito. Ecco in ogni caso quanto egli offre alla discussione:

    Esiste una innegabile identità brigasca, sostanziata anche da un’originalità del dialetto locale nel contesto ligure, ma basata soprattutto su motivazioni di ordine ambientale, economico e amministrativo che ne generano una relativa specificità rispetto alle aree circostanti. Questa specificità che in senso lato potremmo definire “culturale” non si differenzia da quella che coinvolge altre aree marginali, nel senso che i termini dell’opposizione rispetto agli “altri”, ai circostanti (liguri), non sono evidentemente di natura “etnica” o “linguistica” almeno a livello profondo, ma definiti da fattori sovrastrutturali eventualmente enfatizzati da circostanze storiche (come la divisione amministrativa del 1947), o amministrativi (come la conflittualità frazione/capoluogo). In ogni caso questi fattori non sembrano percepiti a livello collettivo come segnali di alterità reale e profonda, come elemento di vera e propria separatezza, fino a quando non si addiviene a una loro codifica e teorizzazione a livello colto. Questa codifica avviene a quanto pare molto recentemente, all’esterno del vissuto comunitario e si appoggia per comodità sulla presunzione di una diversa appartenenza “etnica”, “culturale” e “linguistica”, che assume i contorni attraenti, dal punto di vista simbolico, della cosiddetta “identità occitana”. Tuttavia questo senso di appartenenza non soltanto è frutto di elaborazione esterna al vissuto comunitario, ma non è unanimemente condivisa e soprattutto, quel che più conta, non è legittimata sulla base di fondamenti oggettivi: infatti, almeno da quello che risulta da questa discussione, non soltanto nessuno si è dimostrato in grado di comprovare il carattere “occitano” del dialetto brigasco, ma nessuno si è dimostrato in grado di comprovare cosa ci sia di effettivamente “occitano” nella cultura e nell’identità brigasca nel suo insieme; e del resto la distanza linguistica del daletto brigasco rispetto alla presunta area di appartenenza “occitana” risulta qui ampiamente comprovata non solo a livello scientifico ma anche empirico. Alla fine il senso di appartenenza pare in realtà gestito, anche attraverso ricorsi simbolici (bandiere, stemmi, inni ecc.) da una sorta di élite che si accredita come rappresentativa della comunità, trovando riscontri al livello politico-amministrativo, col quale dialoga (e nel quale, se ho ben capito, parzialmente si integra, o si è integrata) facendo valere un proprio ruolo di depositaria di una certa “tradizione”; tuttavia tale tradizione (ossia l’identità “occitana”) è stata elaborata proprio da tale élite, alla quale di fatto non preesiste. Da questo contesto nasce la dichiarazione, certamente non legittima da un punto di vista della sostanza linguistica e culturale (anche se forse legale da un punto di vista tecnico) con la quale si accede ai benefici della L.N. 482/1999. Questo atto viene a quanto pare accolto “d’ufficio” dall’amministrazione provinciale (poiché sembra ormai evidente che essa non abbia assunto elementi comprobanti il carattere di minorità linguistica per le località coinvolte) e suscita come è ovvio perplessità da parte dell’opinione pubblica e di quegli studiosi (in primo luogo linguisti) che vedono non a torto alterata la percezione reale del panorama linguistico-culturale di un’area. Senza entrare nel merito dei correttivi da attuare a questa situazione, mi pare comunque evidente che un suo chiarimento resti ampiamente auspicabile.

    RispondiElimina
  194. Buona sera a tutti! Accidenti quanti commenti! Siamo quasi a 200! E pensare che si tratterebbe di un problema insignificante...
    Vorrei cercare di chiarire come, almeno a Triora, si è sviluppato il movimento "occitano". Verso il 1985 il Comune di Triora riceveva dalla Prefettura di Imperia copia di un disegno di legge sulle lingue minoritarie ed in particolare gli veniva richiesto se il brigasco potesse o meno rientrare fra le minoranze occitane. Il sindaco di allora, piuttosto saggiamente, chiedeva il parere di alcuni luminari, fra cui Massajoli, Bernardini, la Petracco-Siccardi ed altri che non ricordo. Nessuno fra questi si pronunciò in favore dell'occitanità del brigasco, salvo Massajoli, il quale peraltro affermò che il brigasco non poteva essere "tout court" essere definito brigasco. In base a questi pareri la Prefettura qualche anno dopo classificò il brigasco "variante occitana" e non "occitano".
    Da qui è iniziato il "brigasco occitano".
    Suor Amabile Ferraironi, mia cara amica, scrisse sul libro "Lassù in montagna" dell'occitano brigasco, in quanto in buoni rapporti con Massajoli del quale si fidava. Anch'io d'altronde ho scritto le medesime parole sulla cartoguida della De Agostini e su altre riviste. Nel 2001, a seguito di una festa occitana a Triora, Trior.oc, mi sono reso conto che noi non avevamo nulla da spartire con quella tradizione, del tutto fasulla. Non parlo di Triora, ma di Realdo e di Verdeggia, con le loro borgate, anche se Verdeggia non ha mai fatto parte dell'ex comune di Briga Marittima. Per questo, nel 2005, scrivevo su Le stagioni di Triora un articolo "Difendiamo il brigasco", che suscitò grande incredibile scalpore. E pensare che si limitava a dire che il brigasco non era, secondo gli studiosi, occitano. Le critiche su "La Vastera" di sono sprecate; successivamente, per non creare inutili tensioni e perché il giornalino triorese non ha scopi polemici, non scrivevo più nulla sulla questione, salvo pubblicare un articolo dell'amico Forner.
    Vorrei anche spendere due parole su Realdo. Nel dopoguerra nella frazione esistevano tre gruppi: uno filofrancese, uno filotriorese, l'altro per l'autonomia. Il commissario incaricato, lo svizzero Solari, dopo numerose visite optò per il passaggio al Comune di Triora. La motivazione era che questo Comune era facilmente raggiungibile, anzi si era sempre rifornito di viveri a Triora ed alcuni servizi erano effettuati a cura di Triora (ad esempio l'ufficio postale). Così la storia. In quanto poi all'abbandono di Realdo e delle frazioni, purtroppo non è dovuto all'avarizia o alla dimenticanza di Triora, bensì all' estrema povertà della zona; non appena costruita la strada provinciale, moltissimi se ne andarono sulla Costa o in Francia alla ricerca di un lavoro remunerativo. Scomparsero così villaggi come Gerbonte, Drondo superiore ed inferiore e molti gruppi di case sparse. Gli altri villaggi sopravvissero in qualche modo, grazie alle cave di ardesia o al turismo. Si pensi che la stessa Triora conta ora soltanto 400 o poco più abitanti, contro i 1500 alla fine della guerra...
    Non mi sento di affermare che per Realdo sia stato fatto poco, perchè è stata subito dotata di un acquedotto, poi pian piano degli altri servizi essenziali (fognature, depuratori, viabilità minore, ecc.). Fu nel 1975 che venne costruita la strada Realdo-Sanson; pochi anni dopo seguirono altri interventi, quali la ristrutturazione del forno, dei gabinetti pubblici, delle fontane, dei rifugi alpini (Realdo-Verdeggia-Bassa di Sanson), la sistemazione dell'Arma della Gra de Marmu. E' vero che l'amministrazione che precedette l'attuale eseguì lavori importanti quali la pavimentazione di alcune strade, la sistemazione e l'asfaltatura della strada per Sanson ed un'altra strada di dubbia utilità dal ponte della pace a Sant'Antonio.
    Che il Comune non abbia fondi è assodato, non una frase fatta e, con i pochi a disposizione, cerca di fare il possibile.
    Posso dirlo con grande tranquillità: non vi è mai stato alcun intento persecutorio verso le frazioni, tanto che molti realdesi hanno sposato trioresi e viceversa. Le poche persone che ancora abitano in questi posti cercano di sopravvivere aiuntandosi l'un con l'altro.
    Posso assicurare, vivendovi tutto l'anno, che se qualcuno si trova in stato di bisogno, immediatamente scatta l'allarme e nessuno verrà lasciato solo.
    Mi scuso per il lungo sfogo. Ho un po' abbandonato il tema. Ritengo che mantenere una tradizione viva significhi non fregiarsi di simboli o attribuire al dialetto una caratteristica inesistente. Non sono d'accordo pertanto con chi dice che vi sono altri problemi: è vero come ho anzi detto, ma il rispetto delle proprie radici è una priorità assoluta.
    Grazie ed auguri di buone feste a tutti.

    RispondiElimina
  195. Quindi tutto nascerebbe da uno svarione della Prefettura, che nel 1985 dichiarava il brigasco "variante occitana" (il che tra l'altro non significa nulla ai fini della legge attuale: o è occitano oppure non lo è) e ciò malgrado i pareri di linguisti e altri esperti consultati. Però bisogna pure che nel 2000 o giù di lì ci sia stata una richiesta da parte del comune di Triora per l'accesso alla 482 di Realdo e Verdeggia. Forse quel che Oddo vuole dire è che nell'85 nacque in qualche modo il "problema" dell'occitanità di queste località: ma evidentemente nasceva già male, da un errore e comunque da una interpretazione poco ortodossa del parere di alcuni esperti. Mi chiedo che senso abbia chiedere un parere di esperti e poi non tenerne conto. Misteri italiani

    RispondiElimina
  196. grazie a tutti per le informazioni (soprattutto ad Oddo).
    Certo che e' una situazione Kafkiana...! Il professor Toso (dati alla mano) che combatte contro un'errore burocratico di vent'anni fa! E, si fa fatica a correggerlo!
    Non misteri italiani.....ma situazione italiana. E meno male che si tratta di lingua e non di sanita' (anche se purtroppo succede anche li')!
    cordiali saluti e grazie per l'analisi sociologica.
    Non e' possibile anche un'analisi psicologica dei miei post, con eventuale terapia? :-)
    Oppure van bene anche le parenti "biondone" simil austriache....visto che la bambolina rimarra' verosimilmente a lei.
    (ridiamoci un po' su) :-)
    saluti da gianni il cataro

    RispondiElimina
  197. E poi mi stupivo del santo graal a seborga!
    Chiedo scusa a sua altezza Giorgio I, anzi mi offro gratuitamente per estrarre il sacro corpo e per perorare in Vaticano la necessaria rettifica religiosa. :-)
    gianni il templare

    RispondiElimina
  198. Tutti sanno che il Santo Graal è in realtà nella cattedrale di Genova col nome di Sacro Catino, e segretamente ho sempre sospettato che il parente austriaco fosse un Misterioso Iniziato aggregatosi all’esercito di Maria Teresa allo scopo di raggiungere la capitale del Belin per i suoi nobili scopi.

    A parte gli scherzi, però, bisogna riflettere sul da farsi. Con questa discussione ci siamo chiariti molto le idee e abbiamo imparato tutti molte cose, ogni tanto arrabbiandoci e ogni tanto divertendoci anche un po’ (penso).

    L’analisi del mio collega è basata su quanto si legge in questa sede, dove in un modo o nell’altro si sono sentite tutte le campane, ed è fatta dall’esterno. Non pretendo che sia accolta incondizionatamente, ma per quanto mi riguarda rappresenta un ottimo “punto della situazione” e la condivido in larghissima parte.

    Però il problema rimane, rimane l’indimostrabilità del carattere “occitano” del dialetto di tre paesi (e, a questo punto, della loro cultura in senso lato), rimane la “costruzione” a tavolino e la gestione di una identità collettiva basata sul nulla, rimane l’operazione con la quale tutto ciò è stato accreditato da parte della Provincia, rimane la dichiarazione erronea che consente di accedere alla 482, rimane il silenzio imbarazzato e imbarazzante di un ente pubblico. In sostanza, siamo al punto di partenza e bisognerà pur uscirne. Io, per lo meno, non mi ritengo soddisfatto dell’aver fatto luce in questo modo sulla questione. Ci vuole una presa di posizione, in un modo o nell’altro, che chiarisca la posizione della Provincia, e questo non per soddisfare la mia ben nota testa di cavolo, ma nell’interesse dei Brigaschi e degli Olivettesi in primo luogo e in quello più in generale della cittadinanza imperiese e ligure. Come si suol dire, quindi, l’avventura continua.

    RispondiElimina
  199. beh. Sembra proprio che a questa vicenda manchi ancora la conclusione. E solo il "verdetto" amministrativo puo' sancirlo o revocarlo.
    Ma, nel caso si dimostrasse che per piu' di vent'anni -una diceria, nata magari da una svista- ha monopolizzato la "classificazione" almeno a livello divulgativo del dialetto di due o piu' paesi: beh, sarebbe veramente singolare!
    Tanto da venire annoverata nelle leggende metropolitane.
    Della serie: "Pierino ha rubato una mela, Pierino ha rubato un albero di mele, Pierino ha messo su una fabbrica di marmellata e deve pagare le tasse!). Insomma, possibile che un "pettegolezzo" vada avanti per piu' di vent'anni in campo amministrativo, e se non ci fosse stato la rivolta di alcuni diventava legge dello stato?
    Ebbene, sembra proprio cosi'!

    RispondiElimina
  200. La 482/99 è già legge dello stato, si basa su dichiarazioni fatte da organi locali (non si tratta nemmeno di autocertificazione, dove comunque devi avere a disposizione le pezze giustificative) e perciò non importa che si tratti di una diceria di 20 anni o di 2 giorni (come per molti comuni in Piemonte e in Veneto), che sia fondata o no. Ti dichiari tale e entri a far parte della minoranza linguistica.
    D'altra parte, in 20 anni tutti gli studi scientifici dichiarano e dimostrano essere il brigasco NON occitano. In due mesi di blog non è mai uscita UNA SOLA PROVA scientifica sull'essere occitano di questi dialetti.
    Se io dichiaro che il Sole gira attorno alla Terra che mi capita? Nulla! Bene, la 482/99 è come se il Ministero della Ricerca desse accesso ai finanziamenti per la ricerca a creazionisti, cure Di Bella, ufologi... purché ne facciano domanda.

    RispondiElimina