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venerdì 31 luglio 2009

L'incapacità di provare vergogna

Ero un po' che ci pensavo e che volevo scrivere di questo sentimento della vergogna che mi sembra in estinzione nel nostro Paese. Ieri a una trasmissione di Radiopopolare di Milano parlavano di questo articolo di Gianrico Carofiglio uscito martedì su Repubblica. Anche se un po' lungo per il metro dei blog, o almeno di questo blog, lo ripropongo per intero. Se vi interessa l'argomento credo che non rimarrete delusi e che magari poi avrete anche da dire la vostra.

Gianrico CarofiglioUn sintomo del grado di sviluppo della democrazia e in generale della qualità della vita pubblica si può desumere dallo stato di salute delle parole, da come sono utilizzate, da quello che riescono a significare. Dal senso che riescono a generare. Oggi, nel nostro paese, lo stato di salute delle parole è preoccupante. Stiamo assistendo a un processo patologico di conversione del linguaggio a un'ideologia dominante attraverso l'occupazione della lingua.

E l'espropriazione di alcune parole chiave del lessico civile. È un fenomeno riscontrabile nei media e soprattutto nella vita politica, sempre più segnata da tensioni linguistiche orwelliane. L'impossessamento, la manipolazione di parole come verità e libertà (e dei relativi concetti) costituisce il caso più visibile, e probabilmente più grave, di questa tendenza.

Gli usi abusivi, o anche solo superficiali e sciatti, svuotano di significato le nostre parole e le rendono inidonee alla loro funzione: dare senso al reale attraverso la ricostruzione del passato, l'interpretazione del presente e soprattutto l'immaginazione del futuro.

Se le nostre parole non funzionano - per cattivo uso o per sabotaggi più o meno deliberati - è compito di una autentica cultura civile ripararle, come si riparano meccanismi complessi e ingegnosi: smontandole, capendo quello che non va e poi rimontandole con cura. Pronte per essere usate di nuovo. In modo nuovo, come congegni delicati, precisi e potenti. Capaci di cambiare il mondo.

Proviamo allora a esercitarci in questo compito di manutenzione con una parola importante e più di altre soggetta allo svuotamento (e alla distorsione) di significato di cui dicevamo. Proviamo a restituire senso alla parola vergogna.

Nell'accezione che qui ci interessa la vergogna corrisponde al sentimento di colpa o di mortificazione che si prova per un atto o un comportamento sentiti come disonesti, sconvenienti, indecenti, riprovevoli.

È una parola da ultimo molto utilizzata al negativo: per escludere, sempre e comunque, di avere alcuna ragione di vergogna o per intimare agli avversari - di regola con linguaggio e toni violenti - di vergognarsi. La forma verbale "vergognatevi" è oggi spesso utilizzata nei confronti di giornalisti che fanno il loro lavoro raccogliendo notizie, formulando domande e informando il pubblico.

Sembra dunque che vergognoso sia vergognarsi. La vergogna e la capacità di provarla appaiono qualcosa da allontanare da sé, una sorta di ripugnante patologia dalla quale tenersi il più possibile lontani.

Sulla questione Blaise Pascal la pensava diversamente, attribuendo alla capacità di provare vergogna una funzione importante nell'equilibrio umano. Nei Pensieri leggiamo infatti che "non c'è vergogna se non nel non averne".

In tale prospettiva è interessante soffermarsi sull'elencazione, che possiamo trovare in qualsiasi dizionario, dei contrari della parola. Troviamo parole come cinismo, impudenza, protervia, sfacciataggine, sfrontatezza, sguaiataggine, spudoratezza, svergognatezza.

Volendo trarre una prima conclusione, si potrebbe dunque dire che il non provare mai vergogna, cioè il non esserne capaci, è patologia caratteriale tipica di soggetti cinici, protervi, sfacciati, spudorati. Al contrario, la capacità di provare vergogna costituisce un fondamentale meccanismo di sicurezza morale, allo stesso modo in cui il dolore fisiologico è un meccanismo che mira a garantire la salute fisica. Il dolore fisiologico è un sintomo che serve a segnalare l'esistenza di una patologia in modo che sia possibile contrastarla con le opportune terapie. La ritardata o mancata percezione del dolore fisiologico è molto pericolosa e implica l'elevato rischio di accorgersi troppo tardi di gravi malattie del corpo.

Così come il dolore, la vergogna è un sintomo, e chi non è capace di provarla - siano singoli o collettività - rischia di scoprire troppo tardi di avere contratto una grave malattia della civilizzazione.

Qualsiasi professionista della salute mentale potrebbe dirci che le esperienze vergognose, quando vengono accettate, accrescono la consapevolezza e la capacità di miglioramento, e in definitiva costituiscono fattori di crescita. Quando invece esse vengono negate o rimosse, provocano lo sviluppo di meccanismi difensivi che isolano progressivamente dall'esterno, inducono a respingere ogni elemento dissonante rispetto alla propria patologica visione del mondo, e così attenuano il principio di realtà fino ad abolirlo del tutto.

Come ha osservato una studiosa di questi temi - Francesca Rigotti - l'azione del vergognarsi è solo intransitiva e non può mai essere applicata a un altro. Io posso umiliare qualcuno ma non posso vergognare nessuno. Sono io che mi vergogno, in conseguenza di una mia azione che avverto come riprovevole. Pertanto la capacità di provare vergogna ha fondamentalmente a che fare con il principio di responsabilità e dunque con la questione cruciale della dignità.

Diversi autori si sono occupati alla vergogna. La parola è presente in alcuni bellissimi passi di Dante e ricorre circa trecentocinquanta volte in Shakespeare. Ma è davvero interessante registrare cosa dice della vergogna Aristotele nell'Etica Nicomachea. "La vergogna non si confà a ogni età, ma alla giovinezza. Noi infatti pensiamo che i giovani devono essere pudichi per il fatto che, vivendo sotto l'influsso della passione, sbagliano, e lodiamo quelli tra i giovani che sono pudichi, ma nessuno loderebbe un vecchio perché è incline al pudore, giacché pensiamo che egli non deve compiere nessuna delle cose per le quali si ha da vergognarsi"

Gianrico Carofiglio


14 commenti:

  1. le guerre si chiamano missioni di pace... tanto per dirne una... cambiare l'uso delle parole non dovrebbe cambiare il senso delle cose... é questo che è triste

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  2. Ecco come il De mauro - Paravia definisce la Vergogna, nella sua proma accezione:

    Sentimento di profondo turbamento e di mortificazione, derivante dalla consapevolezza che un atto, un comportamento, un discorso, ecc., propri o anche altrui, sono riprovevoli, disonorevoli, sconvenienti.

    Ora, senza la consapevolezza di aver tenuto un comportamento riprovevole o disonorevole o sconveniente non ci può essere vergogna. Nel momento in cui si disconoscono di fatto tutte le regole (tranne naturalmente quelle che ci fanno comodo, e per le quali pretendiamo il rispetto da parte degli altri) e tutti i princìpi (idem come sopra), è chiaro che anche il concetto di "disonorevole" o di "riprovevole" si relativizza (è questo il vero relativismo col quale dovrebbero prendersela il Papa e i Vescovi). É riprovevole che tu mi dia una sberla, ma non che io la dia a te (perchè io ho il diritto di farlo, in quanto sono il Presidente, o l'Assessore... ecc...). É mobbing spostare fisicamente, di qualche metro, il mio ufficio, lasciandomi però tutte le mansioni e gli emolumenti, ma non è mobbing mandar via te da un lavoro che ti piace e nel quale ti impegni al massimo per metterci uno yes man raccomandato dai miei amici. Ecco cos'è il relativismo vero. Ed ecco perché si è perso il senso della vergogna. Ora si scambia la spudoratezza per libertà, ma si dimentica che la propria libertà finisce dove inizia quella degli altri. Su quella stessa linea, secondo me, dovrebbe iniziare la vergogna.

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  3. Gli eufemismi (e la loro ipocrisia) cosa sono... Non ci peritiamo troppo di calpestare i meno fortunati, ma poi ci prende lo scrupolo curioso di non turbarli chiamandoli per quel che sono, e allora troviamo delle formule bizzarre per definirli. Ma in quest'ottica, un impotente diventerà dunque un diversamente trombante? Provate a chiedere a uno cui hanno tolto la prostata quanto si senta attivo da quel punto di vista, seppur diversamente! E chi dice di aver subìto quell'intervento, ma di essere ancora funzionale, mente: o sull'intervento, o sulla funzionalità. Se poi la funzionalità sono altri ad essicurarla, vuol dire che la prostata ce l'ha ancora. Ogni riferimento al post precedente è puramente casuale.

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  4. Già ammiravo Gianrico Carofiglio come scrittore avendo letto tutti i suoi primi quattro romanzi fornitimi da mio figlio, mentre per l'ultimo sono in attesa.
    Dopo il tuo post contenente il suo articolo su Repubblica lo sono ancora di più.
    Potrei fare a meno di aggiungere che condivido l'intero articolo ma vale la pena farlo.
    Grazie per averlo postato.

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  5. gian paolo31/7/09 13:04

    Le parole si prestano sempre ad un sottile gioco di ambiguità tra chi parla e chi ascolta, tra chi scrive e chi legge. Il potere forza, talvolta in modo spudorato, l'interpretazione per il suo tornaconto.

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  6. Alberto, il linguaggio subisce costanti sabotaggi ormai!
    Se ne potrebbe trarre una vera e propria arte.Aggirare la parola chiave per discolparsi.
    Non aver vergogna o ritegno è pari a voler nascondere il proprio spirito, al propria anima in meandri più profondi.
    E quando siamo così anestetizzati da non sentire più quella vocina interiore, sono guai!

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  7. Vogliate gentilmente tradurre la definizione del leghista Cota: "decreto ad ampio spettro". Significa che lo possiamo interpretare come kazzo ci pare oppure, capire la sua vera essenza ci classifica nel girone dei solisti comunisti in malafede?

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  8. "egli non deve compiere nessuna delle cose per le quali si ha da vergognarsi", l'epilogo di questo articolo racchiude in sè la verità più grande (almeno per me) non bisogna comportarsi in modo tale da provare vergogna per il proprio operato, non sono in molti a poterlo fare

    Ho sempre pensato che bisogna imparare a usare bene le parole, ad esprimere concetti chiari per non nascondere dietro frasi nebulose e incomprensibili inganni e bugie

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  9. Pensare che le parole sono una forma di linguaggio, e come tali dovrebbero essere usate per comprendersi.
    Ma oggi, come giustamente si fa notare nell'ottimo articolo di Carofiglio, c'è un uso distorto e mistificatorio delle parole. Sostanzialmente si comunica moltissimo, ma stando bene attenti a non farsi comprendere.

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  10. bell' articolo davvero.
    Ma c'e' un' altra parola che mi irrita in questo periodo: invidia.
    Sentirmi dire a mezzo stampa o tv che quelli che criticano sb e' perche' lo invidiano, mi offende profondamente.
    Tu vieni a dire a me che invidio uno che paga le donne per farsi dire micio bello e bamboccione?
    ma come si permettono? non hanno la vergogna, appunto.

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  11. Le parole maltrattate in senso formale e in senso sostanziale, altro non sono che lo specchio dei tempi: il livello è basso e i significati vanno a farsi benedire.

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  12. Caro Alberto...
    Ho letto questo articolo con un profondo senso di condivisione e mi fa piacere ritrovarlo qui.
    Anch'io ho pensato le tue stesse cose e volevo farne un post.

    Questo mi conforta. Sapere che in questa universale babele, qualcuno ancora ha il senso delle parole e della loro misura. E' come sapere che per quanto tutto sembri perduto, mai nulla davvero lo è.

    Non se qualcuno riesce a mantenere e diffondere consapevole lucidità.
    Poche voci isolate, lo so.
    Ma mi bastano a sentire che ancora si può.

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  13. E' inutile, immagino, dire che condivido l'articolo che hai postato.
    Volevo piuttosto aggiungere due notazioni che purtroppo allargano eccessivamente il discorso. prendeteli pure come spunti di riflessione: qui, in ogni caso, non possono essere approfonditi.

    Il primo spunto riguarda l'uso distorto del linguaggio. Ebbene, quest'uso,a mio parere, viene facilitato dal contemporaneo impoverimento del linguaggio. E' anche la limitatezza del vocabolario che favorisce l'ambiguità, questa comunicazione da SMS, come quella fornita dalle TV, che esenta dalla specificazione, dal chiarimento, dall'approfondimento, processi che metterebbero in crisi i messaggi fallaci e menzogneri.

    Il secondo riguarda specificamente il concetto di "vergogna". Penso che la vergogna sia strettamente correlata al concetto di autorità. Poichè non credo alla kantiana coscienza individuale, credo che esista solo una morale collettiva, e mentire oggi nella mentalità collettiva non solo non è peccato o colpa, ma piuttosto manifestazione di abilità, quasi un sintomo di superiorità.
    Però non credo che non esista il concetto di vergogna in assoluto: per esempio, credo che tanti si vergognino di vestirsi male, di non avere macchine o altri oggetti costosi, si vergognino di puzzare, e l'uso dei deodoranti ha raggiunto un livello stratosferico. Così, si ripropone il problema del rapporto tra libertà ed autorità, che anche, o forse soprattutto proprio la cultura di sinistra ha affrontato in maniera erronea.
    Questo ci pone quindi dei problemi ideologici che affronto in un libro a partire dal quale si è avviata la mia esperienza di blogger. Mi fermo qui, basta tediarvi.

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  14. La vergogna una funzione equilibrante nel nostro funzionamento sociale, che riesce a trattenerci dalla megalomania e dal super-uomismo.
    Certo non è in dotazione a tutti e certi personaggi di spicco della politica (ma non solo) ne sono la riprova.

    Quanto al procedimento di "manutenzione delle parole", lo trovo affascinante, valoroso e romantico. I vocaboli, "pace", "giustizia", ... ne vulissimo parlà (come cita un amico)?

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