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sabato 11 settembre 2010

Paolo Rumiz - La cotogna di Istanbul

"Ma voi che ne sapete dell'amore,"
diceva sospirando il nostro Max
quando il discorso cadeva sul tema
della passione che il mondo consuma:
era quello il segnale che noi tutti
aspettavamo per prendere coraggio
e chiedergli di raccontare ancora
della cotogna venuta da Istanbul,
una gran storia d'amore e di morte
che si giocò tra Vienna e Sarajevo
quando ebbe fine al centro dei Balcani .
quella cosa che noi chiamammo guerra
e invece fu un imbroglio sanguinoso.
E visto che quella era la “sua” storia .
e gli toccava parlare di sé,
Max cominciava prendendosi in giro,
forse per non creare aspettative
o magari spezzare l'incantesimo,
oppure per combattere, chissà,
la nostalgia che gli andava nel cuore.
E a quelli che alla fine gli chiedevano .
con gli occhi lustri per la commozione,
dopo un'ora o anche due di ascolto,
per che motivo non l'avesse scritta
quella storia che ci mangiava l'anima,
rispondeva così: “Perché narrarla .
ad alta voce è molto bello.
Scrivere è cosa fredda, senza cuore,
un miserabile atto di notai,
il che va detto,” spiegava, “con tutto .il rispetto per la categoria”.
S'infervorava sovente e diceva
“Non va letta da soli questa storia,
ma raccontata accanto a un fuoco acceso,
ad amici, bambini o forestieri;
è un mondo perduto pieno di voci .
che il vento freddo si è portato via,
ma al quale voi potreste ridar vita
col suono rotondo delle parole,
passando il racconto di bocca in bocca
come nelle ballate di una volta”.
[…]
Invece di inforcare gli occhiali
- il vetro rigato delle sue lenti
avrebbe messo come secoli tra i due -,
ne fece a meno per togliere di mezzo
ogni barriera tra sé e quella donna .
e lasciare l'aria di cristallo
a far da telescopio tra di loro.
Così scoprì, dal suo modo speciale
di sfiorare gli oggetti sulla tavola,
una combinazione sconosciuta
di sensualità e autocontrollo,
di forza contenuta e timidezza,
fierezza femminile e devozione,
abbinamenti impossibili in Austria,
paese che, ahimè, considerava
troppo inibito e pieno di complessi
per esprimere femmine speciali.
[…]
Altenberg ascoltava affascinato
e mentre lei macinava il caffè
intuì nel suo viso il portamento .
dei cavalieri erranti di Sarmatia,
vide le sopracciglia degli armeni
ma ben distanziate rispetto al naso;
e quando Maša arrivò fin da lui,
per porgergli la tazza e la zolletta
emanò dalle scapole un profumo
così buono che Max si rese conto
di essere perduto, e che resistere
era insensato, e lui che era un vecchio
pesce di mare, improvvisamente
sentì il richiamo forte del salmone
verso le freddi sorgenti natie.
Quando uscì, in silenzio la farina
stava cadendo lenta, turbinava
sopra i tetti sfondati dalla guerra,
sulle tombe, la fabbrica di birra
ed i sui pini schierati sul pendio
in alto verso la linea del fronte,
e quando lei salutò sulla porta
Max vide che in un attimo la neve
le aveva ingrigito i lunghi capelli;
in lei fiutò un impasto balcanico
fatto di sangue e miele, di polvere
e gelsomini, come le magnifiche
donne descritte dal conte Potocki
nei suoi lunghi viaggi in Asia Centrale
tra i secoli diciotto e diciannove.
Scendendo al fiume poi si rese conto
che Serajevo era precipitata
in un freddo di steppa siberiana
e gli unici passanti nelle strade
erano inquilini delle macerie
che erravano abbaiando nella notte
chiusi in branco per farsi compagnia.
[...]
Fu a quel punto che Max divenne certo
che un giorno lei gli sarebbe riapparsa,
chissà quando, ma per portarlo via,
sarebbe venuta da chissà dove,
Caucaso, Urali, o Patagonia,
sicuramente vestita di nero,
per guidarlo, passo lungo e sicuro
verso sud-est, oltre fiumi e montagne,
fino al gran passo della Linea d'Ombra.
Queste malinconie rimuginò,
e poco dopo a diecimila metri
aerei si incrociarono lasciando
code di volpe argentata nel cielo.
[…]
Gli era difficile quindi capire
come quel frutto sgraziato potesse
ispirare canzoni appassionate
e far guarire persino i malati.
Ma un amico, un giorno di gennaio,
lo condusse per una buia scala
nella sua cantina, gelida e piena
di ogni ben di Dio, e lì in un angolo
gli scoprì un cesto pieno fino all'orlo
di frutti brufolosi, giallo elettrico
dal folle profumo, da capogiro,
morbido, sensuale e algebrico insieme,
un misto di pera, pesca e limone:
una cosa che non era per nulla
preludio di un sapore, ma l'essenza,
anzi la quintessenza, dell'odore,
un sublimato quasi artificiale
simile a nessun altro; era un frutto
che conteneva in sé ancora il fiore,
una meraviglia che prometteva
il bel tempo nel cuore dell'inverno,
era sole, e al tempo stesso luna,
era un frutto capace di incarnare
entrambi gli astri della vita umana.
Così capì: era quello il segreto
nascosto nell'odore inconfondibile
di biancheria pulita nella pelle
di Maša la bella di Serajevo.
[…]

da
La cotogna di Istanbul



Paolo Rumiz
Trieste 1947


20 commenti:

  1. Leggetelo. È una perla di libro.

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  2. Sono sicuramente convinto che vada letto. Già é una garanzia il nome di Rumiz, ma il brano scelto che hai riportato nel tuo post - frasi stupende che si commentano da sole, ancorché evocatrici di mille altre belle storie ancora - é un formidabile invito ad accostarsi con trepida attenzione al libro.

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  3. appena finisce la vendita dei libri scolastici nella mia libreria di corso garibaldi vado a prenderlo.
    tu e rumiz siete una garanzia.
    avremo anche un motivo in più per incontrarci anche con gli altri compagni, nel tranquillo autunno, quando scenderai.
    visto che non sono riuscito a vederti nell'estate .

    ciao.

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  4. Al,
    l'ho già messo nel mio "carrello" per il prox ordine!
    grazie per la segnalazione.
    g

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  5. Grazie del consiglio Alberto, preso nota del titolo, la pagina che hai riportato è coinvolgente e concordo con Adriano, penso che vada letto.

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  6. Da libraio, integro alcuni dati.
    Il libro, che reca come sottotitolo "Ballata per tre uomini e una donna", è una sorta di romanzo-canzone e a leggerlo con la bocca (cioè a recitarselo mentalmente)"acchiappa" con un ritmo affascinante. E' pubblicato da Feltrinelli nella collana "I Narratori", ha 185 pagine che finiscono troppo presto e costa 16 euro spesi benissimo. L'ISBN, se proprio il vostro libraio non lo trova, è 9788807018206 (se non lo trova neanche così, cambiate libraio).

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  7. Il brano che ho letto è convincente. Grazie della segnalazione, Al.

    Messo nella lista dei prossimi acquisti:)

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  8. ...era un frutto,/che conteneva in sé ancora il fiore...

    Meraviglia e anche più, e altro ancora.
    Grazie, Paolo Rumiz.
    E grazie ancora a te, Alberto

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  9. Interessante, come quel libro che raccontava il suo viaggio in bici ad Instanbul con Altan e Rigatti.

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  10. Ho avuto la fortuna di conosce Paolo casualmente in un bar e devo dire che è una persona con la capacità di dire e far pensare molto con poche parole. E questo brano altro non fa che confermarmi questa sensazione.

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  11. Evocativo e coinvolgente. Grazie per la segnalazione.

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  12. Ho letto molto di Rumiz e non sono mai rimasto deluso. "La cotogna di Istanbul" non l'ho ancora letto, ma sono contento che sia a questo livello. Provvederò presto.

    A proposito, di suo vi consiglio "La leggenda dei monti naviganti". Un viaggio sulle montagne dell'Italia in 500 a caccia di storie, luoghi, scandali e leggende, dal Carso alla Sila. Dovrebbe essere una lettura obbligatoria per tutti gli italiani.

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  13. Seguirò il tuo consiglio. Un saluto

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  14. @Garabondo
    Come vedi dall'ultimo post sono di nuovo in Liguria.

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  15. Trascrivo i due messaggi che ho inviato all'autore, e che testimoniano della mia lettura del libro:

    Sto leggendo con piacere il nuovo libro. Un po' mi fa venire in mente gli studi sull'oralità della ex Iugoslavia, che sono stati utilizzati per "capire" la genesi dei poemi omerici. Ma questa è una storia dei giorni nostri, e allora mi risuonano certe pagine di Erri De Luca dedicate proprio a quella zona. "Il nostro eroe" di pag. 18 in fondo evoca forse l'Evgenji Onegin di Puskin, ma Vuk richiama senz'altro il mitico Vuk Isakovic' del grande libro di Crnianski, "Migrazioni", che lessi una decina di anni fa quando i nostri gloriosi aerei bombardavano Belgrado perchè i "cattivi" serbi aggredivano i "poveri" kosovari, e io invece volevo capire cosa c'era veramente dietro: e quel che c'era dietro era che il Kosovo era considerato dai Serbi il loro luogo di origine, dal quale erano stati cacciati dai musulmani turchi e che ora era occupato dai musulmani kosovari... E d'altronde, quel che è successo poi ha dimostrato che alle atrocità serbe sono succedute le atrocità kosovare-albanesi, senza che nessuno dei due popoli fosse "veramente buono" o "veramente cattivo", ma semplicemente parte del genere umano, che sa essere peggiore delle bestie perché le bestie non conoscono la crudeltà gratuita. Molto fa riflettere in tal senso il bel film di Giorgio Diritti "L'uomo che verrà", dove uno degli ufficiali tedeschi dice "Siamo quel che hanno fatto di noi, quel che ci hanno insegnato ad essere" - e a quel popolo che ha dato grandi filosofi, grande musica e grande poesia "qualcuno" (ma chi?) ha insegnato a costruire i campi di concentramento, per gli "altri", per i "diversi", che solo per questo erano "nemici".

    .......

    Ho finito di leggere il libro. Ci ho trovato conferma dell'Onegin (citato due volte), ed anche di "Migrazioni" (p. 134) ed anche la Drina di Ivo Andric' (p. 143).
    Ci ho trovato Paolo Conte ("morbido, sensuale e algebrico insieme" di pag. 56 ricorda "La donna d'inverno"; "tutto fluttuava come in un bicchiere di acqua e pernod" di pag. 125 evoca invece "La fisarmonica di Stradella") e, a pag. 126 e seguenti, i "Sentieri nella neve" di Herzog, e il "Tempo di regali" di Fermor...
    E la storia è comunque molto toccante, mitica e... ben "cantata".

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  16. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  17. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  18. Un libro a cui "avvinghiarsi" ricordando la dolcezza e la vitalità della gente dei Balcani per chi l'ha conosciuta ma anche l'orrore di quella guerra e i motivi per cui è stata voluta. Lettura notturna, canto struggente.

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  19. gabriele martinis19/12/10 18:22

    l'ho letto tutto di un fiato, mi è piaciuto abbastanza.
    Sono abituato al Rumiz editorialista di repubblica...
    è travolgente, passionale ma si è fatto prendere la mano e quindi anche nel momento più insignificante si trovano riferimenti a cose e persone con l uso inflazionato e smodato di parole, nomi di città, parole straniere che sembrano sortire solo l effetto di distogliere il lettore dalla lettura per concentrarsi sul come leggerle... volgarmente ingozzano il lettore di aglio e cipolla distruggendo poesia e carattere.... prolisso, ripetitivo,fastidioso...2-3 capitoli di troppo... fino alla morte di Masha e il capitolo successivo è da rileggere 100 volte...

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