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giovedì 26 aprile 2012

La vera crescita non sta (solo) nei numeri

Ogni tanto, nella depressione generalizzata, qualcuno (anche molto autorevole) evoca la parola "crescita" con l’aria di chi indica uno squarcio tra le nubi. Il problema è che nessuno sa più che cosa voglia dire, "crescita": di che pasta sia fatta, che novità porti, a chi porti benessere e a chi penuria. È passato ormai mezzo secolo dal celebre discorso di Robert Kennedy "contro il Pil", nel quale diceva, in buona sostanza, che i numeri definiscono solo delle quantità, non delle qualità. Ma ancora oggi, malgrado lo sviluppo abbia rivelato, insieme ai suoi vantaggi, anche i suoi guasti, i suoi sprechi, le sue storture, si parla di crescita come di un grumo di numeri, e basta. Nessuno dei supertecnici che a Roma o a Berlino o a Strasburgo fanno di conto, o dei leader politici che dai quei conti sono paralizzati, ha la voglia o il tempo o la capacità di dirci che cosa metterci dentro, alla scatola vuota detta crescita. L’attuale impopolarità della politica sta anche in questa reticenza ormai congenita: un gretto cumulo di cifre che non ci dice (quasi) più niente, che non ci unisce né ci divide, non ci fa sognare né litigare. Crescere: come, perché, dove, per ottenere che cosa, per essere che cosa?

Michele Serra
L'amaca di oggi


E allora perché la decrescita felice (in numeri) non può diventare una crescita (in qualità)?

10 commenti:

  1. Maistretu26/4/12 12:44

    si può anche affrontare le cose senza fare sempre della dietrologia a basso prezzo..comunque un dato oggettivo è sempre un dato oggettivo..
    Latouche nei suoi scritti lo afferma da oltre vent'anni, o meglio ci aiuta a ripensare ed a riflettere sui limiti della crescita, sui rischi di saturazione se si continua ad alimentare il cirocolo vizioso del bisogno indotto e del suo soddisfacimento a tutti i costi. molte cose non collimano più in quella parte dell'occidente capitalistico, il paradosso della crescita sta nella formazione di quel reticolo stagnante, dove da pù di due decenni ci si arrotola passando da una congiuntura ad un'altra sempre più critica. anche la nuova divisione internazionale del lavoro sembra non apportare cambiamenti in seno al sistema,anzi in molti casi ne accorcia i fenomeni congiunturali, i processi produttivi dei paesi emergenti si avvalgono di condizioni generali che sono archeologia industriale, dai sistemi di produzione, all'organizzazione del lavoro Tayloristico ed una parcellizazione da incubo, allo sfruttamento delle risorse non rinnovabili, alla depauperazione dell'ambiente e all'assenza dei diritti del soggetto addetto alla produzione.. forse bisognerà intraprendere una nuova strada, un nuovo sogno che ci aiuti a ricomporre il quadro sociale e le sue discrepanze. non è facile ma agli inizi degli anni sessanta molti studiosi si isero a discutere sul ruolo dell'operaio massa, questo nuovo soggetto che emergeva e che rompeva schemi tradizionali, si svilupparono contrattazioni che misero al primo punto il diritto all'informazione.. e poi c'è bisogno di un nuovo Internazionalismo in materia di diritti e di sostenibilità..
    Maistretu

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  2. A me Michele Serra stava simpatico. Dico stava perché questo pippone intellettual filosofic d'élite mi ha fatto girare le orecchie.
    Se lui non sa cos'è la crescita non è perché il concetto è vago, è perché lui - al contrario di milioni di persone che devono mettere insieme il pranzo con la cena - può permettersi d'ignorare il problema.

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  3. il tema che proponi è complesso e interessante; lascio la parola a chi di decrescita se ne intende:
    http://www.youtube.com/watch?v=0UGV1b3H9h4

    In wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Movimento_per_la_decrescita_felice#Sintesi_del_manifesto) si può leggere una sintesi del manifesto per la decrescita felice.

    Le azioni del Movimento si esplicano su tre filoni: stili di vita, politica e nuove tecnologie

    stili di vita:

    consumo consapevole, auto produzioni, "università del saper fare"

    politica:

    costituzione di Circoli Territoriali per avviare il dibattito sul cambio di paradigma culturale nella società ed azioni concrete con corsi ed autoproduzioni (pane, yogurt, orti sinergici con applicazione di agricoltura naturale ...)

    nuove tecnologie:

    usare le tecnologie che fanno ridurre l'impronta ecologica e migliorare la qualità della vita indipendentemente se il PIL aumenti o diminuisca; avviare la realizzazione di smart grid in ambito di quartiere dove i cittadini sono produttori e consumatori (prosumer) di energia partendo dall'eliminazione degli sprechi - riduzione della domanda - e l'uso di un mix tecnologico con fonti alternative.

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  4. io so a chi porta benessere e a chi penuria... e il bello è che ho anche le prove.
    Purtroppo.

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  5. Mi sembra che l'Economia, come scienza, sia progredita pochissimo nell'ultimo secolo mentre in molte altre discipline si è avuto uno sviluppo incredibile. Si pensi alla Fisica (meccanica quantistica e la relatività) o alla Chimica, alla Biologia, alla Medicina etc.
    Si citano ancora economisti (o forse si dovrebbe chiamarli filosofi) vissuti 100 o più anni fa (Smith, Marx, Keynes) che avevano indubbiamente compreso alcuni meccanismi ma che fanno riferimento ad una società profondamente diversa dalla nostra. Un po' come se oggi un fisico facesse riferimento della teoria del flogisto.
    Forse il problema è intrinseco all'Economia o forse la colpa è di degli studiosi di Economia che non conoscono sufficientemente gli strumenti che fornisce la Matematica e non sono in grado di elaborare modelli efficaci. Ci sono senz'altro delle eccezioni, ma mi paiono minoritarie. La mia opinione è che finché di Economia si occuperanno soprattutto i filosofi, la comprensione del sistema sarà difficile.

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  6. sei in grande sintonia di coincidenza e vedute con l'amico calvini
    e vi condivido

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  7. Maistretu26/4/12 21:59

    la produzione delle merci è regolata dalla domanda e dalla offerta, la politica è stata l'elemento regolatore, ha sostenuto la domanda attraverso politiche d'intervento, regolando e sostenendo, ha leggiferato nelle materie più varie, spesso con risultati disastrosi, le politiche industriali, il decentramento produttivo, slogan caro negli anni settanta. rivelatosi poi il paradosso più evidente del nostro fragile capitalismo, spesso di stato. oggi è la mancanza di un progetto anche a breve termine ed il disincanto a cui assistiamo è l'eutanasia del sistema fondato sul soddisfacimento parossistico di sempre nuovi bisogni, spesso indotti. non è un caso che a questa fase manchi in primis la politica. il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione è una schizzofrenia che ci conferma la totale subaternità della politica verso un capitalismo sempre più carta straccia. siamo alla fine di un processo storico. oggi bisogna ripensare il modello economico e politico. Latouche affrontò questo problema vent'anni fa con un bellissimo libro "l'occidentalizzazione del mondo"..
    Maistretu

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  8. Maistretu27/4/12 13:43

    bisogna reimparare a sognare..
    Maistretu

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  9. La decrescita tra non molto diventerà una necessità a carattere d'urgenza, ma intendo la decrescita demografica, il resto sarà una conseguenza.

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  10. Maistretu28/4/12 14:56

    questo non è il migliore dei mondi possibili e non sarà neanche l'ultimo. Vedi Lorenzo, gli ulivi che io coltivo, in buona parte, li hanno piantati persone (i miei avi) che non hanno potuto raccolglierne i frutti, lo fecero per le generazioni a venire.. la storia non è finita, come vogliono farci credere, noi abbiamo il dovere di pensare ad un domani diverso, un domani che possa dare respiro a questa terra che sembra dannata ad essere un solo mercato parossistico, ma che in realtà sta uccidendo ogni speranza ideale e materiale.
    alla cassa ci andiamo tutti, ma la cassa non è la vita..
    Maistretu

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