da "
Il figlio di Caino"
di
Guido Seborga
È orribile
orribile hanno fermato i treni
bloccato le stazioni
……………………
li chiudono nei vagoni
li deportano in Germania.
Lunghi treni di agonizzanti
e di moribondi! Luca esclamò
……………………
A Ventimiglia due vagoni chiusi
fermi in stazione rigurgitanti
prigionieri che imprecano
urlano e alti lamenti
Luca chiese Hai studiato la situazione
c'è possibilità di salvarli?
I tedeschi armatissimi sorvegliano
costantemente i vagoni
Interno della stazione di Ventimiglia all'epoca. Entrata al salone da visita della dogana
Renato ordinò Gli uomini di Luca
possono entrare in azione
ma prima Luca deve fare un sopralluogo
……………………
Camminava senza peso velocemente
poi si trovò a dover attraversare
uno spiazzo aperto
abbandonare il lato protetto della collina
e portarsi al centro
non era facile senza farsi vedere
pensò che in tasca non aveva documenti
se lo avessero preso era spacciato
e intanto cominciava a distinguere
il movimento di Ventimiglia e la stazione
e vide presso una grossa cisterna
un gruppo di grigi tedeschi in bivacco
con mitragliatrici puntate
……………………
Come avanzare senza farsi vedere?
Tutta la stazione era sotto controllo
in mano dei tedeschi che avevano sparso
intorno gruppi d'uomini coi mitra
e c'erano treni e c'erano i vagoni
soltanto non gli riusciva ancora di vedere
i vagoni che avrebbe dovuto liberare
Come fare ad avvicinarsi?
Si coperse dietro un muretto che cintava un orto
e si sentiva sconfitto
doveva escogitare un modo qualsiasi
per superare lo spiazzo
e raggiungere la stazione
……………………
un'invisibile rana gracchiava monotona
tutto il resto era sole e silenzio
e muri e case calcinate di sole
anche quelle piccole casette
sparpagliate nel tratto di pianura
prima della città prima delle macerie
non erano che muri non faceva che ammirare
i cocci verdi di bottiglia
gli sterpi del sentierino
le pietre e il tempo si fermava
non gli veniva in mente nessuna idea
……………………
senza bere senza mangiare
li picchiano li torturano li uccidono
Luca pensò che era meglio non perdere
tempo Svestiti svelto disse mi prendo la tua divisa
infila i miei abiti se vuoi
erano stretti per lui gl'indumenti
del ferroviere maniche corte
il berretto non gli entrava in testa
il ferroviere consigliò
di prenderlo lo stesso
……………………
con passo calmo e come nulla fosse
attraversò lo spiazzo aperto
i tedeschi non si mossero
la sua divisa aveva funzionato
si sentì più leggero si diresse
con decisione verso Ventimiglia
osservava le case distrutte
dai bombardamenti i cumuli di macerie
i caseggiati sventrati anche la stazione
era danneggiata squallida
qualche binario divelto
entrò nella stazione vide
i due vagoni piombati
carri per bestiame dalle grate strette
si scorgevano teste pallide urlanti
come avrebbe fatto per far uscire
quei disgraziati uomini?
Alcuni sporgevano le mani
fuori dalle finestrine
Acqua dicevano
sete dicevano
fame dicevano
E nessuno faceva qualcosa per loro
i ferrovieri lavoravano guardinghi
smarriti pronti a tagliare la corda
ad ogni evenienza
i tedeschi facevano la guardia
con i mitra spianati
con le divise mimetizzate gli elmi
sembravano bestie preistoriche
giunte chissà da quale strano mondo
non si occuparono di lui
temette che qualche ferroviere traditore
potesse indagare sul suo conto
erano giornate in cui molti soldati
chiedevano abiti borghesi alla popolazione
e cercavano di raggiungere le loro case
Comparve un ufficiale tedesco
parlò col capostazione
i tedeschi cominciarono a passarsi
ordini Hep dicevano
e tutti scattavano
Hep Hep urlavano
e tutti scattavano
a forza di hep la macchina militare teutonica
si metteva a funzionare anche troppo bene
Hep Hep Hep
era un hep continuo
dall'ufficiale al graduato al soldato
tutti scattavano come molle
o burattini di ferro
dalle gambe rigide
dagli occhi freddi gelidi
Stazione di Ventimiglia
Hep Hep Hep Hep Hep e così via
maledizione forse un giorno m'avrete
ma prima ne avrò accoppati parecchi!
Comprese con raccapriccio
cosa significavano quegli ordini
stavano facendo partire i vagoni giunse una locomotiva
un ferroviere passandogli vicino disse
con voce costernata È giunto l'ordine
di partire per quei poveretti
I lamenti e le urla si fecero strazianti
molti dalle piccole grate chiedevano
acqua erano ore che stavano al sole
soffocante della stazione
pigiati in quei vagoni piombati
schiacciati gli uni contro gli altri
Luca sentì il suo ventre rivoltarsi
e voglia d'aggredire
ma capì d'essere impotente
frenò un urlo di collera
collera ardente e voglia di combattere
quali uomini potevano rimanere neutrali
e guardare indifferenti simili crudeltà
la vita non valeva più nulla
se non si lottava collera e lotta
per ritrovare la vita
sangue e morte per ritrovare la vita
questa era la nuova legge oscura
che nasceva dalla triste realtà delle cose
questa era libertà questa era giustizia
Il piccolo treno era formato stava per partire
non c'era più nulla da tentare
ora ma l'indomani sarebbe nato
con la rivolta di quelli che non tolleravano
atrocità e violazioni
I lamenti si moltiplicavano
mani uscivano tra le sbarre dei finestrini
s'intravvedevano visi pallidi e tormentati
Hep Hep Hep
gli ordini continuavano
era questione di minuti
il treno della morte
stava per passare di fronte
ai suoi occhi attoniti senza speranza
Vide con stupore una donna
avvicinarsi ai vagoni con un fiasco
gocciolante d'acqua fresca
la donna s'avvicinava ai vagoni calma
non aveva scarpe ma grandi piedi nudi
e la sottana di stoffa ordinaria sporca
lunga e ampia non era più giovane
forse una madre
era una donna
giunta vicinissima ai vagoni
avendo un fiasco solo
di fronte a tante mani alzate per afferrarlo
ella esitava
quando come si fosse decisa
fece per porgere il fiasco
si udirono degli Hep più forti e beduini
poi scariche violente d'armi da fuoco
il fiasco andò in aria a pezzetti
l'acqua formò una macchia umida
sulla terra secca e polverosa
più alti furono i lamenti dei prigionieri
e la donna la donna che era una donna
giaceva al suolo stroncata dalla raffica
Hep Hep Hep
l'avevano freddata
il treno partiva
La testa della donna in una pozza di sangue
il binario vuoto sotto il sole infuocato
ancora nelle orecchie
il lamento dei deportati
e nd ventre nd cuore un gran caldo
dopo il gelo alla schiena
come se la raffica avesse toccato pure lui
caldo nel ventre nel cuore nelle braccia
caldo sotto il sole che spaccava le pietre
e rendeva ancora più rossiccia polverosa
deserta la stazione caldo nel cuore
per la prossima azione liberatrice
Luca comprese che doveva andarsene
al più presto senza lasciare traccia
voleva raggiungere il capo i compagni
spiegar loro l'accaduto combinare insieme
qualcosa di grosso di decisivo
andava svelto per attraversare lo spiazzo
scoperto e risalire la collina verso il Sasso
tra gli ulivi dalle foglioline argentee
che lasciavano vedere il cielo azzurro
o aveva bisogno di cielo e del silenzio
della natura dopo i momenti passati
Cercheranno di salire anche quassù
pensò non appena si saranno sistemati
sul litorale ma qui tra alberi e colline
tra siepi e filari avremo buon gioco
camminava svelto e il suo cervello
lavorava di fantasia gli pareva
che tutti gl'italiani in poco tempo
dovevano diventare patrioti
perché gl'italiani non erano scaltri
vili stupidi come molti asserivano
ma giusti e fieri uomini erano!
Guido Seborga, giornalista, letterato, poeta pittore (Torino 1909 - 1990). Il suo vero cognome è Hess, figlio dell'alpinista Adolfo, che con Kind introdusse lo sci sulle nostre montagne. La scelta dello pseudonimo Seborga, piccolo paese ligure dell'entroterra di ponente, è legata all'amore per il mare e a quello che considerava un riferimento nel ritorno dai suoi viaggi all'estero.
La formazione di Guido avvenne nella Torino antifascista di Augusto Monti (di cui era stato allievo) e di Felice Casorati, di Gobetti e poi di Mila e di Bobbio, conosciuti fin dai tempi del D’Azeglio, ma la sua insofferenza all'ordine lo spinse a cercare nuove esperienze a Berlino, poco prima dell'avvento del nazismo, poi a Parigi, luogo amatissimo.
A Torino strinse amicizia con Umberto Mastroianni arrivato nel '28 da Roma, con Luigi Spazzapan, Mattia Moreno, Oscar Navarro, Raf Vallone, Vincenzo Ciaffi , Albino Galvano, Piero Bargis.
I lunghi portici di via Po, corso Vittorio e via Pietro Micca furono l’ambiente in cui questo gruppo passeggiando discuteva di tutto in totale libertà, protetto dall'oscuramento bellico. Racconta A. Cazzullo (I ragazzi di via Po, 1997) che tali discussioni ripresero nel dopoguerra lungo il medesimo percorso oppure ai tavolini del bar Patria di piazza Castello o, più tardi , al caffè Torino "... gli piaceva stare al caffè. Si stava bene insieme..." ricorda Edoardo Sanguineti nel suo intervento nel numero de "La Riviera Ligure " dedicato a Seborga (maggio 2004). E c’erano anche Augusto Monti e Amedeo Ugolini e il futurista Mino Rosso.
Fece parte del gruppo antifascista torinese di Casalegno, Ciaffi, Navarro, Silvia Pons, Anna Salvatorelli, Raf Vallone, Giorgio Diena che, fondendosi con il nucleo di GL di Agosti e Galante Garrone, diede vita nel 1942 al Partito d’Azione (G. De Luna, Storia del Partito d’Azione 1997). La matrice antifascista lo indusse all'azione, alla diserzione dalle guerre e alla partecipazione alla lotta partigiana nelle brigate socialiste "Matteotti", del cui direttivo fece parte fino agli anni settanta. Fu tra i componenti del C.L.N.
Dall'azione diretta passò nel primo dopoguerra all' attività politica nel Partito Socialista, di cui aveva tentato la ricostruzione ancora prima della guerra. A Roma con Basso diresse la rivista "Socialismo" ed entrò nelle vicende della direzione del partito, occupandosi anche della propaganda del Fronte Popolare.
A Roma, soprattutto nel dopoguerra, frequentò gli ambienti artistici e culturali.
Già presente dagli anni '30 sui maggiori periodici culturali italiani (Circoli, Campo di Marte, Prospettive, Letteratura, Maestrale), redattore dei quaderni “Il Dado” e “Girasole” di Maria Luisa Spaziani, nel dopoguerra contribuì alla riapertura della redazione torinese del "Sempre Avanti" poi ridiventato "Avanti", fu giornalista sui quotidiani e sulle riviste della sinistra italiana e internazionale, occupandosi dei temi della cultura e dell'impegno, della critica d'arte e dell'attualità.
Partecipò a Torino con Ada Gobetti, Franco Antonicelli, Casorati, Mila, , Umberto Mastroianni, Menzio, Norberto Bobbio ed altri alla fondazione dell'Unione Culturale a cui dette un contributo anche negli anni successivi. Seborga fu tra gli organizzatori dell'allestimento del “Woyzeck” di Buchner interpretato da Raf Vallone, con cui nel ’46 riaprì il teatro Gobetti.
Nel febbraio del 1951 al CUT (Centro Universitario Teatrale ) fu messo in scena il suo dramma “Spartaco”
A Parigi, dove fu direttore di "Italia Libera" e collaborò a "Europe" e "Editions des Minuit", scrisse per i giornali italiani di quell'ambiente di intensa attività culturale e artistica dei surrealisti, del Café Flore, di Sartre, Vercors, Artaud, Eluard, Tzara, di Picasso, di Severini e Franchina e che lui ben conosceva dall'anteguerra, raccontando di teatro, cinema, musica, letteratura, pittura.
Nel 1948 Mondadori pubblicò nella prestigiosa Medusa degli italiani "L'uomo di Camporosso", nel 1949 "Il figlio di Caino" accolti dalla critica italiana e straniera con interesse e giudizio positivo. Letterato di forte intonazione realista, Seborga racconta di un mondo di diseredati che combattono per la sopravvivenza, in una terra aspra e dura, in cui lavoro è fatica e difendere le proprie convinzioni diventa pericoloso in un'epoca di regime.
Seguono altri quattro titoli tradotti in diverse lingue e un diario uscito nel '68.
Tutti questi romanzi furono ripubblicati negli ultimi anni.
I personaggi di Seborga fanno parte del dramma del vivere sia nel bene che nel male, per cui non sono possibili evasioni se non a rischio della mistificazione e pertanto della complicità con la società e con se stessi. Per Seborga il pericolo è l'automazione, cioè la violenza sull'uomo da parte dalla società tecnico-industriale, a cui egli oppone il rigore di una moralità gobettiana che si richiama all'impegno civile .
Affiancò all'attività di scrittore quella di poeta, presente fin dagli anni giovanili e approdata nel 1965 alla prima di tre raccolte " Se avessi una canzone" in cui dominano il mare, il sole, il vento, le aspre valli di confine di una terra di ulivi e viti, selvaggia come i suoi abitanti. E' lo stesso mondo presente nei racconti. Partecipò all'esperienza politico-musicale del gruppo torinese di Cantacronache, nato per una proposta musicale alternativa alla canzonetta di consumo. Altre poesie furono musicate negli anni seguenti.
Seborga, negli anni '50-' 60, a Bordighera, fece parte dell'organizzazione e della giuria, che più volte presiedette, del premio di letteratura e pittura "Cinque Bettole" insieme a personaggi di rilievo quali Calvino, Vigorelli, , Betocchi, Balbo, Sbarbaro, Bo, Pivano, Tecchi in cui furono premiati, fra gli altri Berto, Caproni, Natta, Tomizza, e i giovani Gambarotta e Biamonti.
Se i versi furono il leit-motiv che percorse tutto l'arco della sua vita, fin da bambino fu affascinato dalle incisioni rupestri della Valle delle Meraviglie, che costituiscono il legame ideale fra poesia e pittura: dagli anni '60, nella sua casa di corso Galileo Ferraris, riprese a disegnare e dipingere creando nelle "ideografie" una forma di pittura originale che unisce il segno dinamico e le nere silhouettes di figure arcaicizzanti alle contrastanti accensioni cromatiche degli sfondi in cui esse si profilano.
Come pittore visse un periodo di grande entusiasmo e di attività molto intensa, nel quale restò vicino ai giovani con cui era sempre disposto a mettere in comune le sue numerose conoscenze e a collaborare alle loro iniziative culturali e artistiche. Furono allestite molte sue mostre tanto nelle gallerie torinesi quanto a Milano e all’estero
In seguito si ammalò gravemente e morì a Torino nel 1990, dopo una vecchiaia che l'aveva duramente colpito, limitandogli in modo insopportabile quella libertà e quella autonomia alla quale aveva tenuto per tutta la vita.