Quando era uscito nel 2007 me l'ero perso, e adesso che il libro l'ho finito ho davanti agli occhi e nel cuore un'Italia dimenticata di cui mai nessuno parla, quasi fosse un pianeta a parte dentro il Belpaese. Una collana di perle: perle di curiosità succulenti, perle di atmosfere e stati d'animo da convivere, perle di luoghi quasi segreti ma veri nel loro magico affiorare. Filo condutture è lo scrivere amico, parole che ti prendono per mano nel viaggio, di cui Rumiz è un vero maestro.
Come ogni vascello nel mare grosso, la montagna può essere un insopportabile incubatoio di faide, invidie e chiusure. Ma può essere anche il perfetto luogo-rifugio di uomini straordinari, gente capace di opporsi all'insensata monocultura del mondo contemporaneo. Il risultato è che la montagna - pur essendo la spina dorsale fisica del paese - è totalmente scomparsa, guarda caso con la Resistenza, dalla politica e persino dall'immaginario nazionale. Sia le Alpi sia gli Apennini restano mondi subalterni, privi di autostima e di rappresentanza politica.
Oggi, a viaggio finito, so che dietro ogni alluvione, dietro ogni siccità, dietro ogni emergenza climatica, non vi è solo l'effetto serra, ma anche la guerra sistematica del potere contro le periferie più vitali, quelle capaci di tenere vivo il territorio e di impedirne la devastazione finale.
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"Vedi," mi disse una volta, "io non morirò. Semplicemente nascerò alla rovescia. Il mio è un countdown che mi riporta verso mia madre." Era un vecchio salmone; nuotava controcorrente verso il luogo della nascita. E dal fondo della sua valle sembrava guardare l'altro se stesso, più giovane di novant'anni, capelli al vento, che lo aspettava sul ventoso promontorio profumato di salvia . Il piccolo Diego che giocava nella brughiera, sopra i frangenti, attorno al faro austriaco messo di sentinella.
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Maffioli mi indica una casetta oltre i 2000, un puntino sotto la cima del monte Chersogno. Si chiama Cà di Bornhu, "Casa dei ciechi". Non è un nome messo lì a caso. Quella era davvero la casa dei non vedenti. Li avevano reclutati i fascisti nel '44, perché sentissero, di notte, i bombardieri alleati in arrivo dalla Francia. "Non avevamo il radar, noi italiani. Ma avevamo i ciechi, che hanno un udito speciale. Così mettemmo in quota gli 'audiofoni', gigantesche orecchie che amplificavano i rumori del cielo. E quei poveracci stavano in ascolto, con i turni di guardia. Confinati lì. Estate e inverno."
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Al mattino, Federico e Annamaria, i proprietari del podere, danno un volto alla mia inquietudine e un senso al silenzio della notte. Non c'è più acqua nella valle. È appena piovuto, spiegano, ma il Mugello ha perso i suoi torrenti. I greti sono asciutti, gli abeti disidratati. I fiumi desaparecidos. I pozzi a secco. La campagna devastata da buche di cinghiali profonde come quelle delle bombe al napalm. Una catastrofe, consumatasi in pochi anni, da quando - mi dicono - la "talpa" dell'alta velocità ferroviaria ha bucato la pancia dell'Appennino risucchiandone le acque profonde, gli immensi laghi sotterranei, le falde e le risorgive. Mi portano a vedere tutto quello che non ho potuto - o forse saputo - vedere durante il mio viaggio in anteprima nel tunnel della Tav. Il pozzo è vuoto. Il marroneto devastato dalla siccità, il torrente ridotto a un rigagnolo. Il podere accanto addirittura sprofondato di qualche metro.
Sulla mappa del Mugello trovo acque dai nomi favolosi, ma se provo ad evocarle non ho risposta. Fonte al Ciliegio! Assente. Fonte della Canina! Assente. Fonte Frassineta! Assente. Fonte di Fosso Lupaio! Assente. Torrente Bagnone! Assente. Fiume Rovigo! Assente. Stanno solo sulla carta, il mormorio è perduto.

Paolo Rumiz
La leggenda dei monti naviganti
Feltrinelli