Lunedì scorso ho pubblicato un
post con allegato un articolo di Fiorenzo Toso che ha generato parecchio interesse visti i numerosi commenti. Qui il professore risponde alle molte questioni sollevate.
Il testo è lungo per un blog, ma faccio un'eccezione perché spero serva a portare un po' di chiarezza nella confusione generata da una legge (volutamente?) imprecisa.
Consiglio ai navigatori. Se volete avere sott'occhio commenti e risposte adoperate due schede o aprite due finestre.Qualche puntualizzazione utile e qualche risposta telegrafica ad alcuni interventi che hanno fatto seguito alla pubblicazione del mio articolo sulla manipolazione delle identità linguistiche in Liguria.
- Per l’anonimo che ha riportato il testo dell’ODG della Provincia, messo in evidenza sul post:
1) Toso e company è una dizione scorretta. A differenza di altri io parlo per me stesso e sono abituato ad assumermi, con nome e cognome, la responsabilità delle mie affermazioni.
2) Non mi sono svegliato ora: i miei primi interventi sulla manipolazione sull’invenzione dell’occitanità del brigasco risalgono alla pubblicazione del Dizionario di Massajoli-Moriani e già in un mio libro del 1996 mettevo in evidenza la gravità della cosa: forse l’Anonimo ha un occhio a ciò che si dice a Béziers più che a quello che si pubblica in Italia, ma può documentarsi leggendo del sottoscritto Frammenti d’Europa. Guida alle minoranze etnico-linguistiche e ai fermenti autonomisti, Baldini e Castoldi editore Milano 1996 e Liguria linguistica, Philobiblon editore Ventimiglia 2006 (dove sono ripresi alcuni dei miei interventi in proposito anteriori al 1999). Gran parte della letteratura scientifica in tema alla classificazione del brigasco è comunque anteriore alla L.N. 482/1999, e di essa gli amministratori locali e provinciali avrebbero potuto servirsi. E poi non posso avere “scoperto che anche in Liguria c’è una minoranza linguistica”, perché in Liguria, lo ribadisco, non ci sono minoranze linguistiche, almeno nel senso della formulazione della L.N. 482/1999.
3) Proprio perché ho letto l’ODG del consiglio provinciale ho ritenuto necessario esternare la mia indignazione come studioso e come cittadino nei confronti di quel documento.
4) Perdoni l’appunto sintattico, ma Realdo e Verdeggia non possono essere riconosciute “minoranze linguistiche storiche”: al massimo si può riconoscere che tali località siano abitate da persone tradizionalmente appartenenti a una minoranza linguistica storica. C’è una certa differenza, anche a prescindere dal fatto che a Realdo e Verdeggia la popolazione non appartiene affatto a una minoranza linguistica, almeno secondo la formulazione della L.N. 482/1999, perché parla un dialetto ligure alpino.
5) Attendo con ansia le “motivazioni specifiche” con le quali un anonimo funzionario ministeriale ha operato il miracolo di trasformare il brigasco in occitano, e soprattutto aspetto con curiosità la bibliografia scientifica relativa. Guardi che nessuno discute che “quanto è stato fatto è conforme alla normativa vigente”. Il punto non è la “legalità” di questa mistificazione, è della sua “legittimità” che stiamo discutendo. Fino a qualche anno fa in Turchia avevano stabilito per legge che non esisteva una minoranza curda, ma a quanto pare in Turchia i Curdi ci sono. La negazione dell’esistenza di una minoranza curda sarà anche legale ma non è evidentemente legittima. Stabilire che a Realdo, Verdeggia e Olivetta San Michele si parli tradizionalmente occitano potrà anche essere sancito in via legale, ma non sarà mai legittimo dal punto di vista della realtà storica.
6) In merito al tema della “consulenza”, da me accennato e ripreso in apertura del blog: qualsiasi linguista con un minimo di competenza sulla realtà linguistica delle Alpi Marittime sarebbe in grado di confutare l’occitanità del brigasco in meno di mezz’ora, adducendo le più banali considerazioni basate sui materiali disponibili e sulla letteratura scientifica esistente. Io stesso mi sono offerto di produrre tale letteratura scientifica: forse è il caso di specificare che per offrire agli organi istituzionali interessati tale letteratura non chiederei nemmeno il rimborso delle fotocopie. Se poi il mio livello di competenza fosse ritenuto non sufficiente, sono certo che altri studiosi sarebbero lieti di fornire lo stesso tipo di “consulenza” alle stesse condizioni. Quanto agli “spiccioli”, caro anonimo, mi pare questione di pertinenza più Sua che mia o di qualsiasi altro studioso con un minimo di etica professionale.
7) A cosa serve lo specialista a sette anni un mese e 11 giorni da quando la Provincia ha deliberato la “richiesta di minoranza linguistica”? Anzitutto, la sintassi: “richiesta di minoranza linguistica” non va proprio bene, che diavolo vuol dire? A parte ciò, io scrivo che gli specialisti avrebbero dovuto essere consultati a monte della richiesta (ma sarebbe bastato consulare qualche buon manuale), cosa che evidentemente non si è fatta perché l’occitanità di Realdo ecc. sarebbe stata immediatamente confutata; a parte ciò, la consultazione di specialisti (oltre che della popolazione locale, non dimentichiamolo) in merito all’appartenenza linguistica dei centri in questione può essere ancora opportuna per fare un passo indietro, consentendo alla Provincia e alle Amministrazioni comunali interessate di tornare alla realtà storico-culturale e di avviare se il caso (a me sembra il caso) un dibattito serio sulla valorizzazione del patrimonio linguistico tradizionale, rinunciando forse a qualche “spicciolo”, ma recuperando certo credibilità.
- In merito agli interventi di alcuni esponenti di gruppi “provenzalisti” (tra cui Coumboscuro messo in evidenza sul post) in polemica con la “globalizzazione occitana” ecc., vorrei dire che avete la mia piena solidarietà: in particolare la denominazione di “occitano” è di carattere fortemente ideologico, e c’è da chiedersi se la sua assunzione da parte del legislatore italiano sia nata da ignoranza o malafede. Evidentemente però non stiamo discutendo di questo. A Gioanin Ross, che ha a sua volta pienamente ragione, vorrei solo fare presente che dal mio punto di vista parlare di una “lingua piemontese” meritevole di tutela non è del tutto corretto: in base alla Costituzione (che la L.N. 482/1999 tradisce bellamente) si dovrebbe parlare di una tutela complessiva dei diritti linguistici dei cittadini italiani nel loro insieme, da un lato, e della tutela del patrimonio linguistico traduizionale italiano nel suo insieme, dall’altro. La “lingua piemontese” non potrà mai essere tutelata se non si tuteleranno in linea di principio tutte le varietà linguistiche storiche, e certamente non attraverso provvedimenti come quelli previsti dalla 482/1999 (sportelli linguistici, traduzione di atti pubblici ecc.) che non servono certo a salvaguardare l’uso parlato, che è quello che conta, ma solo a fare la fortuna di qualche “consulente”, questo sì ben foraggiato.
- Per c.e.g. 10/9/07 ore 13,26
Non facciamo come gli “occitani”, evitiamo di dilatare le appartenenze linguistiche: i dialetti liguri si parlano fino a Monaco e in tutta la val Roia, ma a Nizza si parla una varietà di provenzale (che Garibaldi parlava come del resto parlava il genovese, essendo discendente di gente del Tigullio). Ci sono poi alcuni centri più a ovest, Biot, Vallauris, mons ed Escragnolles, dove si parlarono dialetti liguri, inportativi nel sec. XV, fino ai primi anni del Novecento.
Mi spiace ma non sono di Fabbrica Curone.
- Per Cinzia 10/9/07 ore 14,39
Se la Provincia riterrà opportuno spiegare come si è arrivati alla decisione di occitanizzare Realdo ecc., avrò raggiunto uno degli scopi del mio intervento; l’altro sarebbe quello di arrivare a un annullamento di questa mostruosità. Non amo impelagarmi in polemiche, ma quando ci vuole, ci vuole.
- Per Anonimo 10/9/07 ore 15,31
Le considerazioni di Flaubert sono sostanzialmente corrette. A me di Arenzano risulta ostico il dialetto di Sassello e di Urbe, nell’entroterra, e tuttavia non si tratta di dialetti piemontesi.
- Per Viale 10/9/07, ore 20,38
Dal mio punto di vista non si tratta di un problema di destra o di sinistra, ma di buon senso e correttezza d’informazione e documentazione. La legge 482/1999 fu varata da un governo di sinistra, ma ciò non toglie che si tratti di un provvedimento con caratteristiche per certi aspetti fortemente reazionarie.
- Per Michele 10/9/07 ore 21,22 e per Alberto Astengo 11/9/07 ore 10,11
Credo che abbia ragione Astengo, spesso i politici agiscono sulla scorta di sollecitazioni interessate. Come scrive il collega Prof un ge nella sua dell’11/9/07 ore 17,02 il Bertaina è stato certamente avventato, ed evidentemente mal consigliato: potrebbe trarre un notevole vantaggio, anche politico credo, reimpostando la questione in termini di tutela del patrimonio linguistico della Provincia nel suo insieme, ma non sta a me dargli suggerimenti.
- Per Magun 11/9/07 ore 22,40
A quanti sostengono l’occitanità dell’olivettese non interessa minimamente che qualcuno a Olivetta parli occitano, e neppure il dialetto locale: a loro interessa essenzialmente la gestione dei fondi connessi e forse la visibilità “turistica” che potrebbe derivare dall’occitanizzazione. I traduttori dall’italiano all’occitano e viceversa, come dimostrano già alcuni casi in Piemonte, saranno essenzialmente i membri di qualche associazione culturale creata ad hoc, in grado di scrivere (non necessariamente di parlare) il presunto occitano: naturalmente in cambio di adeguato compenso. Eserciteranno una funzione assolutamente inutile per la cittadinanza e verranno remunerati coi soldi dei contribuenti.
- Per Claudio Salvagno
Un grazie sincero per il frammento in dialetto occitano, così sarà finalmente chiaro a tutti che il brigasco non ha nulla a che fare con esso. Chiedo la collaborazione di qualche brigasco disposto a tradurlo nella sua parlata, e di qualche ligure di Triora o di Pigna che faccia lo stesso esperimento. Dopo di che confronteremo i tre testi e ci divertiremo a verificare cosa ci sia di occitano nel brigasco. In ogni modo, i linguisti non stanno a cercare il pelo nell’uovo, si occupano semplicemente di dati scientifici.
- Per Kurac 12/9/07 ore 14,14
Il Suo intervento è ricco di spunti interessanti che vale la pena di approfondire:
Il carattere razzistico dell’ideologia “ethniste” è ovviamente soggettivo, ma come tale il pensiero di Fontan è stato spesso censurato (ho qualche riferimento bibliografico in merito). A me pare del resto che la ristrutturazione degli stati d’Europa in base all’appartenenza etnico-linguistica, ad esempio, sia un concetto abbastanza affine a quello che sta alla base dell’idea dello “spazio vitale” di hitleriana memoria, e questo al di là del carattere velleitario dell’occitanismo politico.
Credo del resto che questo tipo di impostazione sia stato abbondantemente superato dalla Storia e dall’evoluzione politico-sociale e demografica degli ultimi decenni. Dopo di che io non parlo di legami tra il regime di Vichy e il Partito Nazionalista Occitano, bensì del processo di elaborazione dell’occitanismo nel contesto del collaborazionismo francese (anche su questo esiste una bibliografia): del resto il nazismo trovò collaborazionisti anche in Bretagna, nelle Fiandre francesi e in Alsazia, e il fascismo si avvalse della collaborazione del Partitu Corsu d’Azzione in Corsica e di elementi come Marcel Firpo (più ingenui che politicamente pericolosi) durante l’occupazione della “ligure” Mentone. Tutta gente che agiva in odio al centralismo parigino, forse anche in buona fede, ma che si scelse compagni di strada poco presentabili.
Dopo di che il nazionalismo occitano assunse anche, come noto, una riverniciatura “di sinistra”, della quale nessuno intende negare la sostanza. Il “provenzalismo” ha invece una matrice cattolica e federalista, quindi, in ultima analisi anche il professarsi “provenzali” rischia di sottolineare un’appartenenza ideologica. Data tuttavia l’inconsistenza storica del concetto di Occitania, credo che la definizione di “provenzali” per i dialetti parlati in Italia nelle valli di Cuneo e di Torino sarebbe stata più “neutra” di quella di “occitano” scelta (per quali ragioni? Con quale fondamento?) dalla L.N. 482/1999. In ogni caso, visto che il brigasco non è né occitano né provenzale, ma ligure alpino, il problema è di evitare agli abitanti di Realdo e Verdeggia (e agli Olivettesi) di trovarsi automaticamente arruolati in una questione nominalistica che non li riguarda.
Lei dice che il brigasco è un “impasto di ligure e provenzale”. Aspetto con interesse un elenco dei tratti fonetici, morfologici, sintattici e lessicali della componente provenzale del brigasco.
Lei sostiene che l’ODG si impegna a valorizzare la minoranza occitana con tutte le iniziative necessarie a sostenerla economicamente, non a crearla. Il punto debole dell’argomentazione sta nel fatto che la minoranza occitana a Realdo e Verdeggia non preesisteva alla legge, perché l’occitanità del dialetto di queste due località è indimostrabile e perché il senso tradizionale di appartenenza della residua popolazione non è certo occitano.
Quindi la “minoranza occitana” in Liguria è stata creata a tavolino, probabilmente per accedere ai finanziamenti della 482. Dice anche che se si fosse appurato che a Realdo e Verdeggia il dialetto è per il 60% ligure e per il resto “occitano” (cosa non vera) il comune di Triora non avrebbe preso un soldo: verissimo, ma perché aspirare a finanziamenti ai quali non si ha alcun diritto? Qui non si tratta di un escamotage, ma di una manipolazione della realtà. Visto che la legge, a torto o a ragione (secondo me a torto) stabilisce che il cosiddetto “occitano” è una lingua meritevole di tutela e il ligure no, essendo il dialetto di Realdo ecc. un dialetto ligure, è escluso dalla tutela. Punto e basta, inutile creare sillogismi ad hoc.
Certo che la parte dedicata ai dialetti ligure in territorio francese è di Jean-Philippe Dalbera, egli è la massima autorità francese in materia e non si vede quindi chi avrebbe dovuto scrivere l’articolo. E poiché Dalbera non è di parte – come del resto non mi ritengo io, dati alla mano – il suo giudizio documentato e approfondito non può essere messo in discussione se non con valutazioni altrettanto documentate e approfondite. Non mi pareva quindi particolarmente necessario sottolineare la paternità del testo.
Lei si chiede in che modo la delibera della Provincia danneggia materialmente gli abitanti di Realdo e Verdeggia. Credo che la risposta stia in tutto il mio testo. Inoltre la dichiarazione di occitanità del brigasco e dell’olivettese è dannosa per quanti parlano altri dialetti liguri, perché rischia di indurre gli amministratori locali a riformulare – come è avvenurto per Realdo ecc. – il senso tradizionale di appartenenza linguistica dei loro amministrati pur di accedere a qualche finanziamento: mostrata la via, potrebbe sempre esserci qualche altro furbo disposto a seguire l’esempio, e ci ritroveremmo tutti occitani, come sta succedendo il provincia di Cuneo.
Forse ci sarebbe da guadagnare quaqlche spicciolo, ma in nome di cosa, al prezzo di quale deprivazione e alienazione culturale? I comuni di Carloforte e Calasetta in Sardegna, dove si parla una varietà ligure, hanno rifiutato di dichiararsi “sardi”, rinunciando ai benefici che ne sarebbero derivati in base alla L.N. 482/1999, per rispetto della popolazione locale e della realtà storico-culturale e linguistica: e sono comuni collocati su isole minori, ai quali qualche soldino in più avrebbe anche fatto comodo. Evidentemente esiste anche un’etica in politica, ma più nella Sardegna occidentale che nelle Alpi Liguri.
- Per Kurac 12/9/07 ore 19,40
L’osservazione sulla minore visibilità dell’occitanizzazione di Olivetta mi pare pertinente: in ballo ci sono interessi che riguardano soprattutto l’area brigasca. Quanto all’interesse degli “Occitani” piemontesi ad avere un piede in provincia di Imperia, mi chiedo (mi chiedo solo) se non sia legato al fatto che per accedere a certi finanziamenti europei occorre spesso il coinvolgimento di almeno tre regioni in almeno due stati (e il conto torna: Piemonte, Provenza e Liguria): capisce bene a questo punto che con una popolazione di 280.000 “occitani” millantati in provincia di Cuneo e di Torino, al centinaio scarso di brigaschi e olivettani presuntamente occitani arriverebbero poi le briciole della torta. Forse anche quelle però fanno appetito…
- Per Anonimo 13/9/07 ore 13,10
Sono molto d’accordo sui pericoli legati alla “fede troppo seriosa e immunitaria nelle marche identitarie”, sia nel caso che siano esse inventate (come accade per Realdo ecc.), sia nel caso che abbiano fondatezza storica. Personalmente mi riconosco in un concetto plurale di “identità”, come quello splendidamente rappresentato da Amin Maalouf nel suo saggio intitolato appunto Identità, recentemente ripubblicato da Bompiani. Il più grosso difetto della L.N. 482/1999 è stato (non soltanto a mio giudizio) proprio quello di ossificare e ingessare le identità delle minoranze linguistiche storiche riconosciute, rinchiudendole in un ghetto al quale peraltro molti aspirano ad entrare per motivi di cassetta. Una tutela complessiva dei patrimoni linguistici storici italiani sarebbe stata assai più opportuna e in linea col dettato costituzionale. Ma nel momento in cui questa legge esiste, e nel momento in cui viene richiesta una sorta di aberrante patente etnico-linguistica per accedervi, il fatto che si pone è questo: è meglio violentare il panorama linguistico italiano e beccarsi qualche spicciolo, o è meglio perseguire, con onestà intellettuale, una diversa strada di tutela e valorizzazione?
- Per Anonimo 13/9/07 ore 18,17
Chi ha scritto l’articolo per Wikipedia mostra una discreta conoscenza della letteratura scientifica e non soltanto del mio libro: è forse eccessivamente prudente sull’attribuzione tout court dei dialetti in questione all’area ligure, ma forse il saggio di Dalbera pubblicato nella raccolta di Cerquiglini è successivo o non gli era noto.
- Per Luì Cerin 14/9/07 ore 18,46
Ha centrato un aspetto del problema: il vero dramma è che questi paesi sono praticamente spopolati, e di questo dovrebbero occuparsi gli amministratori. Ovvio poi che se non si vigila attentamente sulla memoria storica e sui dati concreti disponibili, in un guscio vuoto si possa insediare anche il primo paguro occitano che passa (mi perdoni la metafora zoologica), per motivi che a questo punto dovrebbero essere chiari.