giovedì 9 ottobre 2014
Le sartine globalizzate
Milano, alla fermata della 56
appena scattata
Mi piacerebbe sapere quanti di questi vestiti produce la sartina (cinese? vietnamita? thailandese? o chissà di dove) in un'interminabile giornata di lavoro. Mi piacerebbe anche sapere quanto prende per questa interminabile giornata di lavoro.
E (voglio troppo) mi piacerebbe pure sapere se la donna che questo vestito quasi regalato indosserà avrà un pensiero fugace alla sartina.
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Mi riempiono di tristezza le tue domande, perché dubito che il pensiero di qualcuno vada alla sartina. Si forse si pensa "già fanno produrre in Cina, così le nostre fabbriche chiudono, ma il pensiero resta fermo a considerazioni egoistiche".
RispondiEliminaSei stato bravo a sensibilizzare su questo argomento. La prossima volta che farò un acquisto non potrò dimenticarmi delle tue parole e mi adeguerò a quello stimolo che hai voluto molto discretamente inviarci.
tra un po' sarà la sartina italiana a produrre allo stesso costo della sartina cinese l'abituccio, ma con più tasse
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RispondiEliminami viene in mente un piccolo libro molto bello: Balzac e la piccola sarta cinese, non c'entra niente con il tuo post ma ogni volta che sento parlare di sartine cinesi ho questa immagine davanti, è comunque una guerra persa, ogni volta che vado a legge dove sono fabbricate molte degli articoli che mi capita di compare sono fatti in cina, boicottare tutti questi marchi che sfruttano queste ragazze è dura
E' lo stesso libro che è venuto in mente anche a me: "Balzac e la piccola sarta cinese" di Dai Siji (Adelphi). L'ho letto (e recensito) qualche anno fa.
Eliminama la domanda è... c'è qualcosa che non fanno le sartine vietnamite cinesi etc...
RispondiEliminae che dire della donna della foto? Lei si presta a sfotterci tutte e tutti per "un piatto di lenticchie".
RispondiEliminaSe ci fosse un commercio diffuso delle cose equo solidali, venderebbero di più. Io ogni tanto trovo qualcosa, ma secondo me bisogna lavorare su modelli da donna normale, cioè che valorizzino la femminilità, non l'ascetismo vero o presunto. Per contro se sul mercato ci fosse vero made in Italy, ma vero, di fabbriche dove si lavora con i diritti, le per persone le acquisterebbero.
RispondiEliminaChe tristezza! Hai notato cosa scrivono i piazzisti lì sotto? Sponsor della gente comune.
RispondiEliminaCredo che le donne dovrebbero tornare dalle sarte, per i vestiti, favorendo così la produzione in loco e la conservazione delle capacità artigianali. Non vanno forse a farsi, giustamente, il taglio dei capelli da una persona? Non indossano parrucche già pronte. Mia madre faceva la sarta e tante volte quando ero piccolo l’accompagnavo al negozio dei tessuti o da quello dei bottoni, tutto un mondo creativo che è quasi scomparso. Ricordo bene quando disegnava il modello col gesso sulla stoffa (niente cartamodelli, che sono cose per principianti) e il vestito prendeva vita. Certo gli abiti pronti hanno democratizzato il bello, ma poi il fenomeno ha riempito gli stores di oggetti di una banalità e volgarità insopportabile
RispondiEliminaOgni tanto ci penso, poi, purtroppo, guardo il portafoglio. E se penso alla sartina spero che almeno quel (troppo) poco che prende almeno sia commisurato al costo della vita ovunque lei viva. E non compro mai firmato per non pagare la sola firma (che poi fa produrre alle sartine cinesi e le paga nulla). Chiara
RispondiEliminaCredo che questo sia un argomento complesso, contrastante e molto profondo tanto da non poter essere liquidato in poche battute. Comunque sia... "piazza italia" non mi avrà!
RispondiEliminaIo so che le camicie da uomo di una certa marca confezionate in Cina arrivano in Italia al costo di 3,50 euro (compresa materia prima, manodopera, trasporto, ecc.) e vengono vendute a 120.
RispondiEliminaPovera sartina ,a Lei pochi centesimi,ai grandi gruppi migliaia di dollari e (quasi) tutti noi contenti di aver fatto l'affare...
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