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lunedì 17 settembre 2007

Occitani in Liguria?

Lunedì scorso ho pubblicato un post con allegato un articolo di Fiorenzo Toso che ha generato parecchio interesse visti i numerosi commenti. Qui il professore risponde alle molte questioni sollevate.

Il testo è lungo per un blog, ma faccio un'eccezione perché spero serva a portare un po' di chiarezza nella confusione generata da una legge (volutamente?) imprecisa.

Consiglio ai navigatori. Se volete avere sott'occhio commenti e risposte adoperate due schede o aprite due finestre.

Qualche puntualizzazione utile e qualche risposta telegrafica ad alcuni interventi che hanno fatto seguito alla pubblicazione del mio articolo sulla manipolazione delle identità linguistiche in Liguria.

- Per l’anonimo che ha riportato il testo dell’ODG della Provincia, messo in evidenza sul post:
1) Toso e company è una dizione scorretta. A differenza di altri io parlo per me stesso e sono abituato ad assumermi, con nome e cognome, la responsabilità delle mie affermazioni.

2) Non mi sono svegliato ora: i miei primi interventi sulla manipolazione sull’invenzione dell’occitanità del brigasco risalgono alla pubblicazione del Dizionario di Massajoli-Moriani e già in un mio libro del 1996 mettevo in evidenza la gravità della cosa: forse l’Anonimo ha un occhio a ciò che si dice a Béziers più che a quello che si pubblica in Italia, ma può documentarsi leggendo del sottoscritto Frammenti d’Europa. Guida alle minoranze etnico-linguistiche e ai fermenti autonomisti, Baldini e Castoldi editore Milano 1996 e Liguria linguistica, Philobiblon editore Ventimiglia 2006 (dove sono ripresi alcuni dei miei interventi in proposito anteriori al 1999). Gran parte della letteratura scientifica in tema alla classificazione del brigasco è comunque anteriore alla L.N. 482/1999, e di essa gli amministratori locali e provinciali avrebbero potuto servirsi. E poi non posso avere “scoperto che anche in Liguria c’è una minoranza linguistica”, perché in Liguria, lo ribadisco, non ci sono minoranze linguistiche, almeno nel senso della formulazione della L.N. 482/1999.

3) Proprio perché ho letto l’ODG del consiglio provinciale ho ritenuto necessario esternare la mia indignazione come studioso e come cittadino nei confronti di quel documento.

4) Perdoni l’appunto sintattico, ma Realdo e Verdeggia non possono essere riconosciute “minoranze linguistiche storiche”: al massimo si può riconoscere che tali località siano abitate da persone tradizionalmente appartenenti a una minoranza linguistica storica. C’è una certa differenza, anche a prescindere dal fatto che a Realdo e Verdeggia la popolazione non appartiene affatto a una minoranza linguistica, almeno secondo la formulazione della L.N. 482/1999, perché parla un dialetto ligure alpino.

5) Attendo con ansia le “motivazioni specifiche” con le quali un anonimo funzionario ministeriale ha operato il miracolo di trasformare il brigasco in occitano, e soprattutto aspetto con curiosità la bibliografia scientifica relativa. Guardi che nessuno discute che “quanto è stato fatto è conforme alla normativa vigente”. Il punto non è la “legalità” di questa mistificazione, è della sua “legittimità” che stiamo discutendo. Fino a qualche anno fa in Turchia avevano stabilito per legge che non esisteva una minoranza curda, ma a quanto pare in Turchia i Curdi ci sono. La negazione dell’esistenza di una minoranza curda sarà anche legale ma non è evidentemente legittima. Stabilire che a Realdo, Verdeggia e Olivetta San Michele si parli tradizionalmente occitano potrà anche essere sancito in via legale, ma non sarà mai legittimo dal punto di vista della realtà storica.

6) In merito al tema della “consulenza”, da me accennato e ripreso in apertura del blog: qualsiasi linguista con un minimo di competenza sulla realtà linguistica delle Alpi Marittime sarebbe in grado di confutare l’occitanità del brigasco in meno di mezz’ora, adducendo le più banali considerazioni basate sui materiali disponibili e sulla letteratura scientifica esistente. Io stesso mi sono offerto di produrre tale letteratura scientifica: forse è il caso di specificare che per offrire agli organi istituzionali interessati tale letteratura non chiederei nemmeno il rimborso delle fotocopie. Se poi il mio livello di competenza fosse ritenuto non sufficiente, sono certo che altri studiosi sarebbero lieti di fornire lo stesso tipo di “consulenza” alle stesse condizioni. Quanto agli “spiccioli”, caro anonimo, mi pare questione di pertinenza più Sua che mia o di qualsiasi altro studioso con un minimo di etica professionale.

7) A cosa serve lo specialista a sette anni un mese e 11 giorni da quando la Provincia ha deliberato la “richiesta di minoranza linguistica”? Anzitutto, la sintassi: “richiesta di minoranza linguistica” non va proprio bene, che diavolo vuol dire? A parte ciò, io scrivo che gli specialisti avrebbero dovuto essere consultati a monte della richiesta (ma sarebbe bastato consulare qualche buon manuale), cosa che evidentemente non si è fatta perché l’occitanità di Realdo ecc. sarebbe stata immediatamente confutata; a parte ciò, la consultazione di specialisti (oltre che della popolazione locale, non dimentichiamolo) in merito all’appartenenza linguistica dei centri in questione può essere ancora opportuna per fare un passo indietro, consentendo alla Provincia e alle Amministrazioni comunali interessate di tornare alla realtà storico-culturale e di avviare se il caso (a me sembra il caso) un dibattito serio sulla valorizzazione del patrimonio linguistico tradizionale, rinunciando forse a qualche “spicciolo”, ma recuperando certo credibilità.

- In merito agli interventi di alcuni esponenti di gruppi “provenzalisti” (tra cui Coumboscuro messo in evidenza sul post) in polemica con la “globalizzazione occitana” ecc., vorrei dire che avete la mia piena solidarietà: in particolare la denominazione di “occitano” è di carattere fortemente ideologico, e c’è da chiedersi se la sua assunzione da parte del legislatore italiano sia nata da ignoranza o malafede. Evidentemente però non stiamo discutendo di questo. A Gioanin Ross, che ha a sua volta pienamente ragione, vorrei solo fare presente che dal mio punto di vista parlare di una “lingua piemontese” meritevole di tutela non è del tutto corretto: in base alla Costituzione (che la L.N. 482/1999 tradisce bellamente) si dovrebbe parlare di una tutela complessiva dei diritti linguistici dei cittadini italiani nel loro insieme, da un lato, e della tutela del patrimonio linguistico traduizionale italiano nel suo insieme, dall’altro. La “lingua piemontese” non potrà mai essere tutelata se non si tuteleranno in linea di principio tutte le varietà linguistiche storiche, e certamente non attraverso provvedimenti come quelli previsti dalla 482/1999 (sportelli linguistici, traduzione di atti pubblici ecc.) che non servono certo a salvaguardare l’uso parlato, che è quello che conta, ma solo a fare la fortuna di qualche “consulente”, questo sì ben foraggiato.

- Per c.e.g. 10/9/07 ore 13,26
Non facciamo come gli “occitani”, evitiamo di dilatare le appartenenze linguistiche: i dialetti liguri si parlano fino a Monaco e in tutta la val Roia, ma a Nizza si parla una varietà di provenzale (che Garibaldi parlava come del resto parlava il genovese, essendo discendente di gente del Tigullio). Ci sono poi alcuni centri più a ovest, Biot, Vallauris, mons ed Escragnolles, dove si parlarono dialetti liguri, inportativi nel sec. XV, fino ai primi anni del Novecento.
Mi spiace ma non sono di Fabbrica Curone.

- Per Cinzia 10/9/07 ore 14,39
Se la Provincia riterrà opportuno spiegare come si è arrivati alla decisione di occitanizzare Realdo ecc., avrò raggiunto uno degli scopi del mio intervento; l’altro sarebbe quello di arrivare a un annullamento di questa mostruosità. Non amo impelagarmi in polemiche, ma quando ci vuole, ci vuole.

- Per Anonimo 10/9/07 ore 15,31
Le considerazioni di Flaubert sono sostanzialmente corrette. A me di Arenzano risulta ostico il dialetto di Sassello e di Urbe, nell’entroterra, e tuttavia non si tratta di dialetti piemontesi.

- Per Viale 10/9/07, ore 20,38
Dal mio punto di vista non si tratta di un problema di destra o di sinistra, ma di buon senso e correttezza d’informazione e documentazione. La legge 482/1999 fu varata da un governo di sinistra, ma ciò non toglie che si tratti di un provvedimento con caratteristiche per certi aspetti fortemente reazionarie.

- Per Michele 10/9/07 ore 21,22 e per Alberto Astengo 11/9/07 ore 10,11
Credo che abbia ragione Astengo, spesso i politici agiscono sulla scorta di sollecitazioni interessate. Come scrive il collega Prof un ge nella sua dell’11/9/07 ore 17,02 il Bertaina è stato certamente avventato, ed evidentemente mal consigliato: potrebbe trarre un notevole vantaggio, anche politico credo, reimpostando la questione in termini di tutela del patrimonio linguistico della Provincia nel suo insieme, ma non sta a me dargli suggerimenti.

- Per Magun 11/9/07 ore 22,40
A quanti sostengono l’occitanità dell’olivettese non interessa minimamente che qualcuno a Olivetta parli occitano, e neppure il dialetto locale: a loro interessa essenzialmente la gestione dei fondi connessi e forse la visibilità “turistica” che potrebbe derivare dall’occitanizzazione. I traduttori dall’italiano all’occitano e viceversa, come dimostrano già alcuni casi in Piemonte, saranno essenzialmente i membri di qualche associazione culturale creata ad hoc, in grado di scrivere (non necessariamente di parlare) il presunto occitano: naturalmente in cambio di adeguato compenso. Eserciteranno una funzione assolutamente inutile per la cittadinanza e verranno remunerati coi soldi dei contribuenti.

- Per Claudio Salvagno
Un grazie sincero per il frammento in dialetto occitano, così sarà finalmente chiaro a tutti che il brigasco non ha nulla a che fare con esso. Chiedo la collaborazione di qualche brigasco disposto a tradurlo nella sua parlata, e di qualche ligure di Triora o di Pigna che faccia lo stesso esperimento. Dopo di che confronteremo i tre testi e ci divertiremo a verificare cosa ci sia di occitano nel brigasco. In ogni modo, i linguisti non stanno a cercare il pelo nell’uovo, si occupano semplicemente di dati scientifici.

- Per Kurac 12/9/07 ore 14,14
Il Suo intervento è ricco di spunti interessanti che vale la pena di approfondire:

Il carattere razzistico dell’ideologia “ethniste” è ovviamente soggettivo, ma come tale il pensiero di Fontan è stato spesso censurato (ho qualche riferimento bibliografico in merito). A me pare del resto che la ristrutturazione degli stati d’Europa in base all’appartenenza etnico-linguistica, ad esempio, sia un concetto abbastanza affine a quello che sta alla base dell’idea dello “spazio vitale” di hitleriana memoria, e questo al di là del carattere velleitario dell’occitanismo politico.

Credo del resto che questo tipo di impostazione sia stato abbondantemente superato dalla Storia e dall’evoluzione politico-sociale e demografica degli ultimi decenni. Dopo di che io non parlo di legami tra il regime di Vichy e il Partito Nazionalista Occitano, bensì del processo di elaborazione dell’occitanismo nel contesto del collaborazionismo francese (anche su questo esiste una bibliografia): del resto il nazismo trovò collaborazionisti anche in Bretagna, nelle Fiandre francesi e in Alsazia, e il fascismo si avvalse della collaborazione del Partitu Corsu d’Azzione in Corsica e di elementi come Marcel Firpo (più ingenui che politicamente pericolosi) durante l’occupazione della “ligure” Mentone. Tutta gente che agiva in odio al centralismo parigino, forse anche in buona fede, ma che si scelse compagni di strada poco presentabili.

Dopo di che il nazionalismo occitano assunse anche, come noto, una riverniciatura “di sinistra”, della quale nessuno intende negare la sostanza. Il “provenzalismo” ha invece una matrice cattolica e federalista, quindi, in ultima analisi anche il professarsi “provenzali” rischia di sottolineare un’appartenenza ideologica. Data tuttavia l’inconsistenza storica del concetto di Occitania, credo che la definizione di “provenzali” per i dialetti parlati in Italia nelle valli di Cuneo e di Torino sarebbe stata più “neutra” di quella di “occitano” scelta (per quali ragioni? Con quale fondamento?) dalla L.N. 482/1999. In ogni caso, visto che il brigasco non è né occitano né provenzale, ma ligure alpino, il problema è di evitare agli abitanti di Realdo e Verdeggia (e agli Olivettesi) di trovarsi automaticamente arruolati in una questione nominalistica che non li riguarda.

Lei dice che il brigasco è un “impasto di ligure e provenzale”. Aspetto con interesse un elenco dei tratti fonetici, morfologici, sintattici e lessicali della componente provenzale del brigasco.
Lei sostiene che l’ODG si impegna a valorizzare la minoranza occitana con tutte le iniziative necessarie a sostenerla economicamente, non a crearla. Il punto debole dell’argomentazione sta nel fatto che la minoranza occitana a Realdo e Verdeggia non preesisteva alla legge, perché l’occitanità del dialetto di queste due località è indimostrabile e perché il senso tradizionale di appartenenza della residua popolazione non è certo occitano.

Quindi la “minoranza occitana” in Liguria è stata creata a tavolino, probabilmente per accedere ai finanziamenti della 482. Dice anche che se si fosse appurato che a Realdo e Verdeggia il dialetto è per il 60% ligure e per il resto “occitano” (cosa non vera) il comune di Triora non avrebbe preso un soldo: verissimo, ma perché aspirare a finanziamenti ai quali non si ha alcun diritto? Qui non si tratta di un escamotage, ma di una manipolazione della realtà. Visto che la legge, a torto o a ragione (secondo me a torto) stabilisce che il cosiddetto “occitano” è una lingua meritevole di tutela e il ligure no, essendo il dialetto di Realdo ecc. un dialetto ligure, è escluso dalla tutela. Punto e basta, inutile creare sillogismi ad hoc.

Certo che la parte dedicata ai dialetti ligure in territorio francese è di Jean-Philippe Dalbera, egli è la massima autorità francese in materia e non si vede quindi chi avrebbe dovuto scrivere l’articolo. E poiché Dalbera non è di parte – come del resto non mi ritengo io, dati alla mano – il suo giudizio documentato e approfondito non può essere messo in discussione se non con valutazioni altrettanto documentate e approfondite. Non mi pareva quindi particolarmente necessario sottolineare la paternità del testo.

Lei si chiede in che modo la delibera della Provincia danneggia materialmente gli abitanti di Realdo e Verdeggia. Credo che la risposta stia in tutto il mio testo. Inoltre la dichiarazione di occitanità del brigasco e dell’olivettese è dannosa per quanti parlano altri dialetti liguri, perché rischia di indurre gli amministratori locali a riformulare – come è avvenurto per Realdo ecc. – il senso tradizionale di appartenenza linguistica dei loro amministrati pur di accedere a qualche finanziamento: mostrata la via, potrebbe sempre esserci qualche altro furbo disposto a seguire l’esempio, e ci ritroveremmo tutti occitani, come sta succedendo il provincia di Cuneo.

Forse ci sarebbe da guadagnare quaqlche spicciolo, ma in nome di cosa, al prezzo di quale deprivazione e alienazione culturale? I comuni di Carloforte e Calasetta in Sardegna, dove si parla una varietà ligure, hanno rifiutato di dichiararsi “sardi”, rinunciando ai benefici che ne sarebbero derivati in base alla L.N. 482/1999, per rispetto della popolazione locale e della realtà storico-culturale e linguistica: e sono comuni collocati su isole minori, ai quali qualche soldino in più avrebbe anche fatto comodo. Evidentemente esiste anche un’etica in politica, ma più nella Sardegna occidentale che nelle Alpi Liguri.

- Per Kurac 12/9/07 ore 19,40
L’osservazione sulla minore visibilità dell’occitanizzazione di Olivetta mi pare pertinente: in ballo ci sono interessi che riguardano soprattutto l’area brigasca. Quanto all’interesse degli “Occitani” piemontesi ad avere un piede in provincia di Imperia, mi chiedo (mi chiedo solo) se non sia legato al fatto che per accedere a certi finanziamenti europei occorre spesso il coinvolgimento di almeno tre regioni in almeno due stati (e il conto torna: Piemonte, Provenza e Liguria): capisce bene a questo punto che con una popolazione di 280.000 “occitani” millantati in provincia di Cuneo e di Torino, al centinaio scarso di brigaschi e olivettani presuntamente occitani arriverebbero poi le briciole della torta. Forse anche quelle però fanno appetito…

- Per Anonimo 13/9/07 ore 13,10
Sono molto d’accordo sui pericoli legati alla “fede troppo seriosa e immunitaria nelle marche identitarie”, sia nel caso che siano esse inventate (come accade per Realdo ecc.), sia nel caso che abbiano fondatezza storica. Personalmente mi riconosco in un concetto plurale di “identità”, come quello splendidamente rappresentato da Amin Maalouf nel suo saggio intitolato appunto Identità, recentemente ripubblicato da Bompiani. Il più grosso difetto della L.N. 482/1999 è stato (non soltanto a mio giudizio) proprio quello di ossificare e ingessare le identità delle minoranze linguistiche storiche riconosciute, rinchiudendole in un ghetto al quale peraltro molti aspirano ad entrare per motivi di cassetta. Una tutela complessiva dei patrimoni linguistici storici italiani sarebbe stata assai più opportuna e in linea col dettato costituzionale. Ma nel momento in cui questa legge esiste, e nel momento in cui viene richiesta una sorta di aberrante patente etnico-linguistica per accedervi, il fatto che si pone è questo: è meglio violentare il panorama linguistico italiano e beccarsi qualche spicciolo, o è meglio perseguire, con onestà intellettuale, una diversa strada di tutela e valorizzazione?

- Per Anonimo 13/9/07 ore 18,17
Chi ha scritto l’articolo per Wikipedia mostra una discreta conoscenza della letteratura scientifica e non soltanto del mio libro: è forse eccessivamente prudente sull’attribuzione tout court dei dialetti in questione all’area ligure, ma forse il saggio di Dalbera pubblicato nella raccolta di Cerquiglini è successivo o non gli era noto.

- Per Luì Cerin 14/9/07 ore 18,46
Ha centrato un aspetto del problema: il vero dramma è che questi paesi sono praticamente spopolati, e di questo dovrebbero occuparsi gli amministratori. Ovvio poi che se non si vigila attentamente sulla memoria storica e sui dati concreti disponibili, in un guscio vuoto si possa insediare anche il primo paguro occitano che passa (mi perdoni la metafora zoologica), per motivi che a questo punto dovrebbero essere chiari.

56 commenti:

  1. I politici tacciono, oppure scrivono commenti anonimi con la coda di paglia. Per forza che il v-day è stato un successo. La discussione che è avvenuta in piena libertà su questo blog (grazie Alberto) dimostra la vigliaccheria di una classe dirigente sbugiardata, senza appello.

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  2. Ringrazio il Prof. Toso per il lungo e dettagliato intervento, che chiarisce la situazione. Lo ringrazio anche per la precisazione relativa a Nizza; ma una delle prime frasi in francese che ho imparato a scuola, ormai un 35 anni fa, era "Nice était une ville italienne".
    Mi spiace un po' che non sia della Val Curone, perchè Fabbrica e le sue frazioni (Lunassi, Forotondo, Selvapiana, Bruggi...) sono esempi interessantissimi di parlate dialettali che uniscono il fatto di essere "di frontiera" tra Piemonte, Lombardia e Liguria, con in più la provincia di Piacenza (credo ne parli Flaubert, in un suo intervento) alla tendenza "conservatrice" (di linguaggio) dovuta all'isolamento implicato, soprattutto nei mesi invernali, dal trovarsi su un Appennino...
    Non faccio di mestiere il linguista, ma so che le parole sono "fossili di storia" dai quali si possono ricavare tantissime informazioni...

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  3. i politici sono ignoranti e arretrati, e non hanno ancora compreso l'importanza che hanno i blog come mezzo di discussione e democrazia.

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  4. Basterebbe che il Consiglio Provinciale acquisisse gli elementi probanti del carattere non occitano delle parlate in questione e facesse marcia indietro ritirando l'ODG: salverebbe la faccia ed eviterebbe qualche sanzione nel caso che a qualcuno venisse in mente di rivolgersi al TAR.

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  5. caro c.e.g., anche Castelfranco Emilia, Fabbrica Curone e Oppido Mamertino sono ville italiane...

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  6. Sul ligure alpino

    Vedendo il mio nome citato nella recente discussione sulle manipolazioni linguistiche, mi sembra il caso, senza voler ficcare il naso nella politica interna di un altro paese, di prendere posizione, ripetendomi, su una verità scientifica. Avevo fatto, negli anni ‘80, ampie inchieste nelle valli che fanno capo al Saccarello e in Val Roia e nelle valli adiacenti. Ho scritto una trentina di articoli su questi dialetti, in gran parte anche in italiano o francese anche su riviste regionali o locali. Il primo contributo in cui ribadisco la fondamentale liguricità dei dialetti roiaschi data del 1983! Non è il caso che gli esponenti occitanisti ignorassero i fatti.

    Per i parlanti stessi la cosa un po’ diversa. Crederanno facilmente i missionari che vongono a predicare l’occitanità. A condizione che presentino argomenti che sembrano essere ‘prove’. Queste ‘prove’ possono essere fatti o invenzioni di ordine storico: c’era una volta un’amministrazione provenzale; c’era una volta un’immigrazione alpina dall’ovest (questa è inventata). O possono essere fatti etnografici (le greggi transumanti venivano in parte dalla Provenza), o geografici (con un sillogismo del tipo: il brigasco si parla anche in Francia, in Francia si parla l’occitano, dunque il brigasco è occitano).

    Ci sono anche argomenti di ordine linguistico: Il lessico pastorale brigasco non si distingue sostanzialmente da quello raccolto nella occitana valle Tinea: ne concludono che il brigasco è occitano. Invece, quello che c’è in realtà, è comunità culturale: La cultura pastorale è identica dai due lati della frontiera linguistica, come identica è oggi la cultura dei media elettronici dai due lati dell’atlantico; se navigando sull’internet utilizziamo termini americani, siamo perciò americani? Finalmente l’orecchio: L’orecchio ci dice che fra Triora e Realdo, o in val Roia fra Airole e Fanghetto o Olivetta, ci sono mondi. I Ventimigliesi non capiscono niente ad Olivetta, ha scritto qualcuno su questo blog, dunque l’Olivettano è una lingua diversa, dunque è occitana. Aggiungerò che il nostro Olivettano non si farà capire nemmeno a Nizza né a St. Martin-Vésubie né ad Avignone. Per non farsi capire, bastano delle volte piccole cose: Immaginatevi che un vostro amico vi informa che ha comprato "Hète Hacchi di HaHi" – con un’acca fortemente aspirata: Sembra arabo! Eppure è toscano, solo che la –s- è pronunciata –H-! Il vostro amico aveva comprato "sette sacchi di sassi"! Piccolo cambiamento – grande effetto! E’ vero che tale pronuncia non esiste in Toscana, però è caratteristica per Olivetta e dintorni. "Het Hacchi d’HiHi" ("sette sacchi di ceci"), dicono loro per dare un esempio del loro proprio ‘arabo’. Altro esempio: In molti dialetti roiaschi (ma non a Fanghetto né a Tenda) le vocali inaccentate sono cadute; il ligure "u mese (meise) de frevâ" lo capiamo tutti; "ar mes ed frvê" sembra molto diverso all’orecchio. Piccolo mutamento, grande effetto (per l’impressione acustica). Le atone sono cadute anche altrove, ad es. ad Altare a 15 km da Savona. Perché non autodichiarare occitano l’Oltregiogo savonese? Evidentemente, tali mutamenti non mutano l’identità genetica! Il brigasco non si capovolge con ciò in occitanico, né l’Olivettano in "arabo".

    Il nostro problema è quello di determinare l’identità o parentela genetica di un gruppo di parlate. Per farlo, bisogna comparare TUTTI i tratti con quelli dei gruppi vicini. Paragonando il gruppo roiasco (brigasco incluso) con il gruppo nizzardo, troviamo innanzitutto una mole di tratti comuni, e anche una certa quantità di tratti differenziatori. Se facciamo lo stesso paragone fra roiasco e diciamo ventimigliese, troviamo fra somiglianze e differenze una distribuzione assai simile. Potremmo concluderne che il roiasco costituisce un gruppo linguistico autonomo, né occitano né ligure-litoraneo. Se invece compariamo il roiasco con il pignasco, le divergenze sono minime. Conclusione: il roiasco, distinto sia dal ligure-litoraneo sia dal nizzardo, forma con il pignasco un gruppo unico. C’è di più: Le relativamente scarse divergenze fra roiasco e pignasco sono in gran parte tratti che il pignasco condivide con il ligure-litoraneo. Sono tratti importati dalla costa? I tratti litoranei sono ancora più frequenti ad Apricale, più ancora a Isolabona, ecc. Tale distribuzione geografica sta a confermare l’ipotesi dell’importazione litoranea; importazione in Val Nervia ma non in Val Roia (eccetto Airole che è una "colonia" ventimigliese del ’500). Dobbiamo dunque pensare che prima di tale importazione, il pignasco fosse assai più simile di oggi al tipo roiasco. Un caso particolarmente interessante è il triorasco, perché lí abbiamo un ampio testo di due secoli fa ("Franzé u Peguròr"). Il Franzé contiene forme di tipo roiasco che il triorasco attuale non consce più; si vede che il triorasco era stato più roiasco nel passato. E’ dunque giustificato postulare per il passato una relativa unità linguistica attorno al Saccarello, distinta da tutti i gruppi vicini, ma assai più vicina al tipo ligure che non al tipo occitanico o piemontese. E˚ per questa ragione che fu scelto il nome di "ligure alpino". Di questa lingua è rimasto oggi il roiasco, il pignasco-triorasco con forti elementi litoranei, e delle tracce in tutti i dialetti dell’entroterra fin giù nelle varianti ‘rurali’ dei dialetti della costa. Per chi volesse saperne di più, l’ho pubblicato in forma abbreviata su INTEMELION 1 (1995).
    Werner Forner (professore di linguistica romanza all’università di Siegen, Germania)

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  7. Credo che l'intervento del professor Werner Forner metta la parola "fine" alla discussione in merito alle caratteristiche linguistiche del brigasco e dell'olivettese. Ricapitolando, visto che la L.N. 482/1999 si occupa di tutela di alcune minoranze linguistiche di cui viene data l'elencazione (compresa quella cosiddetta "occitana"), una volta appurato che storicamente il brigasco e l'olivettese sono dialetti liguri, come tali esclusi dalla tutela, ne consegue: 1) che non esistono in Liguria comunità di lingua "occitana" e che tale dato era già noto almeno dagli anni Ottanta in base alle pubblicazioni scientifiche; 2) che la dichiarazione di "occitanità" dei dialetti di Realdo, Verdeggia e Olivetta San Michele riflette di conseguenza una logica che si può definire nella migliore delle ipotesi frutto di ingenuità, nella peggiore frutto di disinformazione scientemente perseguita, e questo al di là dell'accoglimento da parte delle istituzioni nazionali dell'istanza di riconoscimento di Realdo, Verdeggia e Olivetta San Michele come comunità di dialetto "occitano": accoglimento meramente tecnico, in quanto tali istanze non sono sottoposte al vaglio di studiosi accreditati; 3) Che l'ODG votato in Provincia è basato su dati fortemente scorretti, per usare un pietoso eufemismo, e va pertanto ritirato; 4) che eventuali iniziative volte ad accedere ai finanziamenti previsti dalla L.N. 482/1999 per la tutela delle minoranze linguistiche storiche, ove riferite al brigasco, possono essere impugnate da chicchessia in qualsiasi momento in quanto riferite a soggetti non abilitati a tali erogazioni: il falso ideologico è un reato perseguibile; 5) che l'Amministrazione Provinciale dovrebbe sentirsi tenuta, per trasparenza e rispetto nei confronti dei suoi cittadini, a rendere noto come e perché si sia approdati a un ODG che sta seppellendo nel ridicolo la comunità imperiese, chiarendo anche se al di là dell'effettiva volontà di tutela si celino dietro questa delibera interessi più o meno legittimi; 6)che se la Provincia è davvero interessata a una tutela e valorizzazione del proprio patrimonio linguistico, dovrà avviare una riflessione seria, non discriminatoria nei confronti di alcuna varietà parlata sul suo territorio e basata sulle risorse disponibili a livello regionale; oppure, avviare istanze per il riconoscimento e la tutela di una specifica "minoranza linguistica" ligure; 7) che il tentativo di "importare" una presunta identità linguistica "occitana" in Liguria è fallito clamorosamente, e che i suoi promotori dovrebbero solo vergognarsi.

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  8. Molto bello l'intervento del Prof. Forner.
    Curioso, perchè "Ar més" (il mese) e "Ra ssmäna" (la settimana) lo dicono anche a Voghera. Che è gemellata con Manosque, ma dire che sia anche lei provenzale (o occitanica) pare un po' troppo. In compenso, "u meise" lo dicono in Alta Val Curone. "E a valle / cercan le deste a ragionar di gloria / ville e cittadi". Carducci sul Piemonte. Che, naturalmente, è in Italia...

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  9. sono d'accordo anch'io con giurista: l'intervento dotto del prof. Werner mette fine alle discussioni. Anche se tuttavia penso che sotto questa decisione tanto discussa non ci sia solo la voglia di salvaguardare una minoranza, ma ben altri interessi.... che credo siano venuti alla luce, su questo blog.
    Volevo anche ringraziare il prof. Werner per l'analisi sul pignasco, anche se non ha certo bisogno dei miei ringraziamenti! Mi piace la definizione di ligure-alpino del mio dialetto, anche se non c'erano dubbi che così fosse... benchè qualcuno, della costa ovviamente, continua a dire che è ostrogoto. Forse sarebbe meglio che la provincia facesse qualcosa per salvaguardare TUTTI i nostri "poveri" dialetti, che purtroppo stanno scomparendo, e con loro scompare qualcosa di veramente prezioso, ma nessuno di quelli che comanda se ne accoge.......

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  10. penso che i pignaschi andarono profughi con i verdeggiaschi ad ancona, nella seconda guerra mondiale. non penso che c'eri pignasca senno' qualche differenza tra il tuo ligure alpino ed il nostro la sentivi. il tuo ligure alpino per me e' come quello di triora: FIGUN! (mangiatori di fichi, modo di dire piemontese dei liguri).
    forse a buggio c'e' qualche contaminazione brigasca (leggendo don pastor).
    non ho nulla contro il dialetto ligure alpino ma che alpino e'? allora e' anche badalucco?molto simile al triorese?
    diciamo che non ho nulla contro il ligure e per la sua difesa.....ma pero' mi dovete spiegare PERCHE' SI NOTA QUESTA DIFFERENZA CON IL BRIGASCO TANTO CHE GARNIER SCRISSE UN LIBRO NELL'800 vedendo la differenza ENORME tra il bordigotto (ligure) ed il realdese.
    alcuni tentarono anche di vedere il realdese come il vecchio ligure scomparso. trattasi comunque di altro dialetto differente dal FIGUN.
    scusa per il figun: ma almeno ci capiamo!

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  11. Mi permetto di intervenire su questa coda polemica. I brigaschi che conosco di persona sono tutti persone gentili ed educate, soprattutto con le signore, per cui ho qualche dubbio che il caso umano che si firma come "anonimo" sia realmente un brigasco, a meno che non indulga in qualche liquore occitano dagli strani effetti. Tra l'altro citare a riprova della specificità del brigasco quel bravo ragazzo di Garnier (bravo ragazzo davvero, e sfortunatissimo in vita, ma non per questo linguista) equivale più o meno a citare quegli eruditi medievali che ti dimostravano che tutte le lingue derivano dall'ebraico. Non so se l'anonimo legge libri, ma se ha voglia di sfogliare il lavoro del solito Toso, Liguria linguistica edito a Ventimiglia, dovrà rivedere le sue opinioni intorno all'origine e alla storia della parola figun. Caro mio, può anche darsi che i Brigaschi non siano figui, ma da lì a essere "occitani" ce ne passa.

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