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martedì 30 giugno 2009

Italia < > America

Bernard Madoff

Il signor Bernard Madoff, americano, che vediamo sopra nella foto segnaletica, è stato condannato ieri a 150 anni di carcere dopo sei mesi circa dall'arresto. Non sarà una gran consolazione per chi ha perso tutto a causa sua, ma almeno in galera c'è.

Il Signor Callisto Tanzi, italiano, sotto, è stato condannato, per la vicenda del crac Parmalat a una pena di dieci anni per i reati di aggiotaggio, falso dei revisori e ostacolo alla Consob. Magra, magrissima soddisfazione per la giustizia e per gli oltre 100000 risparmiatori che avevano sottoscritto le obbligazioni del gruppo. Infatti Tanzi potrà sicuramente usufruire di due tre anni di sconto pena grazie all'indulto. Inoltre sul processo pende il rischio prescrizione. Anzi alcuni filoni come quello relativo all'aumento di capitale di Parmalat Brasil ( particolarmente importante perché l'aggiotaggio era evidente) sono già andati in prescrizione grazie alla legge ex Cirielli che dimezza i tempi per gli incensurati.

È facile prevedere che Tanzi in galera non ci andrà.

Callisto Tanzi

18 commenti:

  1. antropologicamente simili, direbbe lombroso..
    le differenze tra i due paesi, invece, sono incommentabili..

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  2. "antropologicamente simili"
    Anche a me han dato questa impressione le foto.

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  3. ...ritratti come quelli che si vedevano su Gentemoney: esiste ancora?

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  4. e pensare che le falle della giustizia americana sono note, risapute ed enormi...

    ... nonostante questo, noi in Italia siamo ancora più indietro...

    poveri noi

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  5. Tutto giusto quel che dici, ma io vorrei pronunciare qualche parola di disprezzo per questo giudice. E' evidente a tutti che perchè questa condanna si trasformasse in un ergastolo non previsto negli USA, data l'età del condannato, sarebbero bastati e avanzati quaranta anni di prigione. Questa sentenza di improbabili e inutili 150 anni dimostrano come si tratti di un atto politico, di come questo uomo-giudice abbia voluto attirare i riflettori su di sè attraverso una sentenza che per l'entità della pena, sarà storica. Storica, io dico, ma chiaramente insensata, indipendentemente dalle colpe commesse, perchè inesigibile.
    Tante volte, nelle pieghe di eventi rilevanti, piccoli fatti ci mostrano le miserie dell'umanità.

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  6. Stiamo messi davvero male, e non da oggi...

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  7. Il terremoto Parmalat ha inizio il 6 novembre 2003, quando la CONSOB chiede alla Parmalat come intende rimborsare le obbligazioni in scadenza. Segue la tranquillizzante risposta dei vertici del gruppo: "saranno rimborsati utilizzando la liquidità". Dopo pochi giorni la società di revisione e consulenza Deloitte & Touche esprime dubbi sull'investimento nel fondo "Epicurum", si tratta di un fondo nel quale Parmalat aveva investito una cifra di denaro (o di attività finanziarie) molto consistente. Su tale investimento la Deloitte & Touche aveva avanzato dei dubbi, rivelatisi poi fondati, quando si è scoperto che quella quota investita non era così liquida (cioè convertibile facilmente in denaro) come Parmalat sosteneva.
    Il gruppo annuncia la vendita della quota Epicurum, che però non viene liquidata come previsto. Risultato: l'8 dicembre 2003 scade una tranche di obbligazioni da 150 milioni, che non viene pagata; inizia così il calvario. Alcuni mesi dopo, l'ex direttore finanziario Tonna avrebbe dichiarato che le attività del fondo Epicurum erano state inventate di sana pianta, così come quelle di un'altra scatola vuota, la Bonlat.
    Inizialmente si pensava che il collasso del gruppo fosse dovuto ad un uso spregiudicato della cosiddetta finanza creativa (artifizi contabili, trasferimenti di denaro a società domiciliate in paradisi fiscali ecc.) in un gruppo sostanzialmente sano dal punto di vista industriale. Dopo varie settimane di indagini, si è scoperto che tutte le società del gruppo Parmalat redigevano bilanci falsi. Certo è che l'unica attività del gruppo realmente produttiva era proprio la vendita dei prodotti del latte.
    Erano ben 15 anni che la Parmalat falsificava i bilanci, e l'esperienza insegna che dietro allo scandalo Parmalat potrebbero esserci, oltre a peccati di avidità, errori imprenditoriali lasciati poi incancrenire. Il sospetto è che la gestione finanziaria creativa della Parmalat potrebbe essere stata pensata per occultare buchi di bilancio accumulatisi negli anni a causa di speculazioni andate a male e per nascondere perdite derivanti da acquisizioni sbagliate. Molti degli spostamenti di liquidità tra le varie società del gruppo Parmalat, grazie all'utilizzo di artifizi contabili e paradisi fiscali, potrebbero essere serviti a coprire proprio tali buchi.

    A conferma di ciò ci sono due fatti da considerare:
    In primo luogo l'unico mercato dove il gruppo alimentare guadagna davvero è proprio l'Italia, mentre la principale fonte di perdite deriva dalle attività all'estero. In pratica l'unica attività capace di generare una redditività significativa è il cosiddetto "core business", ossia la vendita dei prodotti del latte.
    Acquisizioni sbagliate all'estero e allontanamento eccessivo dal business primario del latte potrebbero quindi aver generato perdite ingenti, inducendo Tanzi a cercare di nasconderle agli occhi del mercato.
    Inoltre è vero che, quando le voci iscritte a bilancio sono false, le analisi e i controlli sono poco significativi e non aiutano a scovare eventuali problemi. E' altrettanto vero, però, che la situazione di pesante e crescente indebitamento abbinato ad una ingente e inutile liquidità, che ha caratterizzato la Parmalat negli ultimi 5 anni, avrebbe dovuto spingere le autorità di vigilanza a chiedere qualche chiarimento.
    Ma chi sono i Tanzi?

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  8. Tutto casa, chiesa e azienda, il signor Tanzi. Una moglie, Anita Chiesi, Titti per gli intimi, che arriva da una famiglia di industriali farmaceutici. E due figli; Stefano che guidava il Parma Calcio e Francesca che si occupava delle attività turistiche comprate dal papà. Marchi importanti, come le banche di riferimento: nomi altisonanti della finanza anglosassone come Morgan Stanley, Citigroup, Bank of America. Tanzi bussava e loro aprivano la porta. Così, con la fattiva collaborazione della banche, Tanzi, Tonna e compagni hanno potuto letteralmente invadere il mercato con i bond targati Parmalat. In totale 7 miliardi di euro, che fanno quasi 14 miliardi di vecchie lire. Li hanno comprati tutti. I fondi d'investimento e le compagnie d'assicurazione, i grandi speculatori internazionali e le vecchine della porta accanto. Con l'unica, sostanziale differenza, che i professionisti della Borsa, fiutata la truffa, hanno mollato la presa con settimane, a volte mesi d'anticipo. Il parco buoi, invece, cioè i comuni risparmiatori, ha visto crollare il castello di carte messo in piedi dal Cavalier Calisto.
    D'altronde, come non fidarsi? I bilanci del colosso di Parma avevano il marchio D.O.C. Amministratori, Collegio Sindacale e Revisori garantivano: tutto a posto. Ma a ben guardare, quei conti forse meritavano un po' più di attenzione. Il campanello d'allarme, per la verità, era già suonato una quindicina d'anni fa; a forza di crescere il Cavalier Calisto aveva perso il conto dei debiti, che stavano per portarlo dritto al fallimento. Per di più, lui che si intendeva solo di latte, aveva avuto la bella pensata di mettersi a produrre anche le merendine, i biscotti, i succhi di frutta, i sughi. Risultato: un mare di perdite. Senza contare che per compiacere il suo sponsor politico Ciriaco de Mita, si era avventurato anche nel settore televisivo creando Odeon tv, con qualche ambizione di fare concorrenza alla Fininvest di Berlusconi. Progetti folli che finirono per mettere in pericolo la sopravvivenza del gruppo.

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  9. Niente paura. In soccorso a Tanzi si attivò la Finanza Cattolica. Dapprima scese in campo Giuseppe Gennari, un uomo d'affari del tipo mordi e fuggi, svelto e abile in Borsa. Fu varata una complicata operazione che doveva portare all'alleanza tra la Finanziaria Centro-Nord di Gennari con la Parmalat. Tutto bene, ma ancora non bastava. Serviva molto più denaro. Un aumento di capitale da 600 miliardi di lire. Fu allora che scese in campo Gianmario Roveraro, patron della banca d'affari Akros, un finanziere bianco latte che non ha mai fatto mistero del suo impegno nell'Opus Dei. Roveraro nel 1990 pilotò la quotazione in Borsa della Parmalat, che coincise con l'uscita di scena di Gennari. Nel frattempo le banche avevano aperto il portafoglio. Tanzi, che rischiava il fallimento, fu salvato da un prestito pronta cassa di 120 miliardi di lire. E a gestire l'operazione fu il Monte dei Paschi di Siena, gigante del credito allora guidato dal democristiano Carlo Zini.
    Fu così che, dimenticati gli affanni e i debiti, il Cavalier Calisto riuscì a ripartire alla grande. Anno dopo anno, acquisizione dopo acquisizione, la Parmalat si è trasformata da media azienda agroalimentare in un colosso internazionale. Era sbarcata in Sudamerica. In Brasile e Venezuela i marchi del cavalier Calisto sono conosciutissimi. Poi negli Stati Uniti, in Canada, in Messico. Nell'emisfero opposto il gruppo emiliano aveva piantato le insegne in Sudafrica e in Australia. In Italia Tanzi era diventato così forte da sfiorare il predominio assoluto di mercato, tanto che l'Antitrust era intervenuta per imporgli la vendita di alcuni marchi. Anche qui non tutto è filato liscio. Per comprare le aziende cedute su ordine dell'Antitrust sono spuntati degli investitori americani. Un paio di loro con nomi molto italiani: Anthony Buffa, Lou Caiola e, infine, Steven White. Dal 2001 fino alla fine questi tre signori si sono passati il testimone, subentrando l'uno all'altro nel controllo di marchi molto conosciuti come Giglio, Matese, Sole, Carnini. Peccato che nessuno di loro avesse una esperienza consolidata nel settore lattiero caseario. Erano semplici investitori finanziari, peraltro del tutto sconosciuti anche negli Stati Uniti. Logico allora che adesso ci sia chi sospetta che Buffa e compagni siano semplici prestanome del signor Calisto, che proprio non voleva saperne di staccare il piede dall'acceleratore.
    Una corsa a perdifiato, la sua. Nel 1990 Parmalat fatturava 569 milioni di euro. Cinque anni dopo era arrivata a 2,2 miliardi. Nel 2000 l'azienda di Parma celebrava trionfalmente quota 7 miliardi di euro, per la precisione 7,3. Ancora nel 2001, nonostante le difficoltà dovute alla crisi del mercato sudamericano, il giro d'affari si è attestato a quota 7,5 miliardi di euro. Bravi, bravissimi. Peccato che buona parte delle società comprate in giro per il mondo perdesse soldi a rotta di collo. E per tappare i buchi Tonna faceva ricorso alla finanza creativa. Cioè alla sistematica falsificazione dei bilanci.

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  10. Che vuoi che ti dica..
    La giustizia qui funziona solo per chi non è furbo o non ha soldi!

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  11. Era chiaro che finisse così si era capito da un pezzo. Negli USA al danno non segue sempre la beffa qui da noi invece questo proverbio é legge.

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  12. Alberto, io mi ricordo ancora una dichiarazione di Mastella a suo tempo:

    "tutti dovrebbero avere il beneficio della prescrizione"

    Il che la dice lunga.

    Ringraziamo ancora Berlusconi e le sue leggi del cavolo.

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  13. Non sono americanista, ma devo riconoscere che, sul piano sicurezza della pena, ci sono molti Paesi dai quali dobbiamo imparare...
    è incivile il garantismo di cui godiamo: legittima ogni efferatezza.

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  14. In estrema sintesi: "Uno schifo qui da noi!"

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  15. Che dire... un'altra lezione al nostro paese dove si fanno decreti salvamanager e si fanno leggine per gli amici degli amici... la cosa ancora più assurda è che se torniamo indietro nel tempo viene da riflettere maggiormente se si pensa qui senza la segnalazione di Grillo non ci sarebbe neanche stato lo scandalo Parmalat...

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  16. Egr. sig. Vincenzo Cucinotta, vorrei puntualizzare in merito al suo commento: sono americana ed ho un bachelor in legge a Yale. Ciò che lei dice sul Giudice non corrisponde al vero in quanto il nostro sistema giuridico prevede una sommatoria della pena comminata, moltiplicata per ogni anno in cui la persona ha agito a delinquere. In ogni caso si farà tutti gli anni a venire in prigione senza sconti. Callisto Tanzi per contro, ha di recente aperto uno stabilimento che produce dolci dove, ogni mattina, si reca per impartire ordini ai dipendenti. Noi almeno la gente la mettiamo in galera, mica la premiamo!
    Sondra De La Fuentes Grant

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  17. Signora Sondra
    Se mi avesse letto con più attenzione, non avrebbe equivocato sul contenuto del mio commento. Le vorrei ricordare che avevo premesso che concordavo pienamente sulle riflessioni di Alberto che metteva in evidenza la capacità del sistema giudiziario americano di condannare, al contrario di come si faccia nella nostra povera Italia.
    Avevo solo aggiunto che una condanna a 150 anni di prigione non ha alcun senso, tant'è che pefino l'accusa aveva chiesto solo 20 anni. Questa osservazione non contraddiceva quella iniziale, era solo marginale, come riaffermavo alla fine dicendo che nelle pieghe di cose più importanti, è possibile vedere anche altre miserie umane, e qui lo riaffermo. Il punto è che dovremmo smetterla di fare come se fossimo allo stadio in cui ci si schiera da una parte e addio capacità critica: io, spiacente per lei, ma la mia capacità critica la esercito.

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