Realdo
Ieri sono andato fuori dal mondo. Fra le mie montagne incantate e i folletti dei boschi che abitano ancora queste terre di mezzo della Liguria estrema, estrema a occidente e a mezzanotte. L'essere in mezzo non è una questione geografica, forse anche un po' questo, ma è soprattutto un luogo dello spirito evanescente, dell'essere sospesi, e non sai bene nemmeno tu fra chi e che cosa.
Ma visto che le terre sono sospese e appese ti trovi a casa tua. Ho risentito il fremito delle gocce grondanti dal cielo indecise se donarsi all'Adriatico o al Ligure di mare, ché queste creste di montagne spartiscono l'acqua di qua e di là dell'Italia. E mentre cade e fa il corso suo tu la guardi e fluttui in queste nebbie che una volta diradate forse ti faranno vedere il cammino. Che queste terre rimangano incontaminate. E che i turisti se ne rimangano tranquilli pasciuti e inebetiti sotto gli ombrelloni di una spiaggia finta nello skyline artefatto dei cementificatori. Della vera Liguria ci rimane ormai solo questo, e ce la teniamo stretta.
Grazie Miki per i fantastici sugeli che ci hai fatto. Una volta o l'altra parlerò della cucina "bianca" di queste terre.
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Che bel paesino. Stupendo.
RispondiEliminaSe non ricordo male qui hanno girato qualche scena di Harry Potter.
RispondiEliminaRealdo e Verdeggia erano fra le mete preferite di mia madre, appassionata micologa ed esperta conoscitrice di erbe, fra l'altro, camminatrice che troppo presto ha dovuto abbandonare il suo cammino, grazie alla quale anche noi abbiamo percorso quegli itinerari e conosciuto bene quei paesi di cui spesso ci parli con altrettanta passione.
RispondiEliminaMalinconia..ma grazie!
adriana
Mi mancano sia realdo che verdeggia (è quella nella foto?).
RispondiEliminaDevo rimediare assolutamente!
Ricordo una domenica di gennaio che da Triora siamo partiti per andare a Realdo a cantare una canzone in dialetto che nel testo dice qualcosa del tipo: "andava in vacanza a Realdo..." (non ricordo bene!): un freddo barbino... nessuno in giro... e noi a cantare a squarciagola con la chitarra...!!!
RispondiEliminaa verdeggia ci andavo in colonia con le suore, in quella villetta che ora è un ristorante...andavamo con una signora Iolanda sul saccarello e tutti i giorni da realdo e verdeggia a piedi con sosta ai carmeli...
RispondiEliminaBelle sia le foto sia quanto hai scritto. Voglio anch'io sperare che in questo mondo sempre più piccolo e cementificato che rimanga qualche angolino incontaminato dove poter ritrovare se stessi ed i ritmi della natura e delle stagioni.
RispondiEliminaAh ecco svelate "le tue terre di mezzo"...
RispondiEliminaBellissime :)
Che nostalgia quasi fisica di "quella" liguria, a realdo e verdeggia , e su al colle della Melosa, stavamo le estati lunghissime durante il liceo...
RispondiEliminaBelle le foto dal treno, e il tuo blog...Proprio ieri me ne parlava Marco cassini
letizia
Ma quanto e' bella la nostra terra?
RispondiEliminaIL sasso ardente, l'argilla pulita.............
Ciao
Scusa mi sono scordato di firmarmi.
RispondiEliminaCiao Alberto
che bel posto
RispondiEliminaè vero ha un non so che di fiabesco
duhangst
RispondiEliminaE non è l'unico nei paraggi-
maghella
Sì, hanno girato delle scene, ma possiamo lasciar perdere?
aridellago
Malinconia? Ognuno ha le sue cose dentro.
titus
E' Realdo quello della foto.
pignasca
Avrei proprio voluto vedervi.
cleofa
Proprio ai Carmeli abitano quelli che io ho definito i folletti dei boschi. Edoardo e Attilio, due fratelli. Ci sarebbe da scrivere una storia su di loro.
giulio
Proprio così, un angolino incontaminato.
gaz
Visto? Me esserci davvero è ben altra cosa dalla misera descrizione che ho fatto.
letizia
Sì che mi ricordo di te a Sanremo, poi ti rispondo alla mail che mi hai mandato.
nadiaflavio
Questa è la profonda Liguria, che a Genova tanti non sanno cosa sia.
Perché non mettete l'url al vostro blog?
zefirina
Sì, proprio come una fiaba. Le nebbie, i folletti, la montagna incantata...
Comunicazione di servizio
RispondiEliminaOggi ho incontrato la gturs.
Mi ha detto che ha il pc impallato. E se non scrive in questi giorni è solo per questo. Lo dico perché abbiamo lettori in comune.
Il Genius Loci che abita questi luoghi incastonati come gemme tra balze ripide, esposte al sole e anfratti umidi e scuri, nascosti nel seno della terra, pare abbia deciso di mostrarsi e svelare solo a te per qualche istante, la sua austera , misteriosa bellezza a cui non tutti possono accedere.
RispondiEliminaNella tua voce un timbro nuovo, ispirato,che risveglia vibrazioni e immagini dimenticate e che restituisce il senso di identità e appartenenza a queste terre in chi, come me,ha radici anche qui.
Particolare emozione, come qualcosa di fisico, mi ha suscitato la foto della finestra con vista sui tetti
di ardesia.Ho una predilezione per questo tipo di inquadratura.
Grazie Alberto.
Parole appassionate, come le fotografie. L'ultima sembra un dipinto di Tino Aime. Realdo e Verdeggia: Miki, Alberto, Silla (quello di 65 anni fa)...
RispondiEliminaUno spettacolo.
RispondiEliminaQuando vedo foto come queste mi pare di sentire il cuore allargarsi, di sentirlo respirare meglio... non so come dire. Mi viene in mente, per certi versi, la Provenza di Jean Giono (chi ha visto il film "L’ussaro sul tetto", o chi ha letto il libro, può capire cosa intendo). Dalle Alpi Marittime all'Appennino Ligure (compresa la sua parte alessandrina) ci sono posti così, che vanno preservati dagli scempi. Trascrivo un brano di Giono, dalla prefazione che scrisse, nel 1967, per il libro di Raymond Collier Monumenti e arte dell’Alta Provenza. Utile rifelssione ancora oggi:
RispondiElimina«È un paesaggio nel quale si è felici perché la gamma dei colori è accordata in modo tenero e af-fettuoso, perché le linee organizzano un’architettura armoniosa che è piacevole abitare. È il più ammi-revole dei pittoreschi. Può estendersi su tutta la superficie di un territorio. Non è più relegato in un luo-go preciso, aldilà dei cui confini la banalità imperversa, ma ricopre vaste distese, organizzandosi così bene nella diversità da far sì che tutti gli orizzonti propongano variazioni infinite della gioia di vivere. Le pianure si mescolano alle colline, le colline alle montagne, le vallate ai valloni, i fiumi ai mari, i prati alle foreste, i coltivi alle paludi, le lande e i maggesi ai deserti. È, con ogni evidenza, il pittoresco più efficace (sul piano dei soldi, beninteso, visto che è quello che tocca maggiormente le persone, quello su cui si giudicherà se siamo “moderni” o se non siamo che vecchi “rimbambiti” retrogradi; e soprattutto perché è solo se parliamo di soldi che ci ascolteranno e che avremo forse una possibilità di salvare ciò che deve essere salvato). Il più efficace sul piano dei soldi, perché è un intero territorio, grazie alla sua qualità, che attira e trattiene. Non ha che da lasciarsi vivere. Se è abbastanza intelligente da mantenere intatto il pro-prio patrimonio di bellezza. Poiché questa bellezza è appesa a un filo. Nulla di più facile da distruggere di un’armonia: basta una sola nota falsa. Mi è toccato, qualche anno fa, discutere per mesi con un sinda-co più stupido degli altri per cercare di fargli capire che una prateria (che si vedeva dalle porte della sua cittadina), nella quale bramava di impiantare non so che silos o cooperativa, aveva un colore verde ben più importante, sul piano locale, del silos o cooperativa. Era l’evidenza stessa: gli orizzonti alpini, le col-line coperte di roveri bianche, lo srotolarsi di un altopiano coperto di mandorli che circondavano quel piccolo borgo amato dai turisti di passaggio assumevano il proprio valore e la loro qualità solo in rap-porto all’ammirevole chiazza verde della prateria. Qualsiasi cosa si facesse a quel verde, abolirlo o sem-plicemente ridurlo, voleva dire distruggere tutto. Il sindaco summenzionato mi diede del poeta, cosa che in certi imbecilli è segno del più amichevole e condiscendente disprezzo. “Impiantò” il suo silos o la sua cooperativa con gli applausi di tutti quanti. Un anno dopo, avevano cambiato tutti atteggiamento, ed in particolare gli albergatori della zona. “La gente non si ferma più” dicevano, “passa, getta un’occhiata e se ne va”. Il problema è che uno non ci tiene ad avere un silos o una cooperativa sotto gli occhi. Il pro-blema è che queste costruzioni, del resto moderne, non contribuiscono alla gioia di vivere. Succedeva cinque anni fa. Oggi non c’è più un solo albergo nella cittadina di cui parlo. Ma, beninteso, non uno di quei poveracci vorrà credere ai pregi del semplice verde della prateria.»
Davvero delle belle foto di un posto splendido.
RispondiEliminaciao
ps. ok le foto... belle, non c'è che dire, ma su questo non avevamo dubbi....
RispondiEliminaMa visto che sono le 13.30, ce la dai una spiegazione ulteriore sui "sugeli"? a Pigna non si fanno....
Grazie!
filo
RispondiEliminaSì, quando vado tra queste terre, ho sensazioni che non provo da nessun'altra parte, e scrivo di conseguenza.
silla
Silla, quello di 65 anni fa, combatteva, come i suoi compagni, per un mondo migliore. C'è la lapide a Realdo dove si stampava il "Garibaldino".
moreno
Vacci a fare un giro, che sei della zona.
c.e.g.
Grazie, come sempre, per le cose che dici.
sub
Come ho già detto, dal vivo è tutt'altra cosa.
pignasca
Quando ci incontriamo, che ogni tanto ci incontriamo, te lo dico. Però, anche tu, non sapere cosa sono i sugeli.
alcuni paesi dell'entroterra si mimetizzano armoniosamente nel suggestivo paesaggio naturale
RispondiEliminaCaro Alberto,
RispondiEliminagrazie per le foto che ho potuto vedere solo oggi (avevo il computer dal meccanico...).
Oltre Realdo, è molto bello anche il carmo di Gerbonte e le foto della prima neve.
I sugeli danno anche il titolo di un libro della Pro Triora, sugeli e bugaeli, scritto anni fa, con la vera ricetta dei sugeli alla realdese...
A proposito, vanno mangiati con il bruzzo e le patate tagliate a fette...
In questi giorni ho mangiato i ciapazoi, altro piatto della zona (Creppo).
Concordo sui posti meravigliosi, anche se li apprezzo meno perchè vi sono nato (Triora).
@ Alberto: e che ci vuoi fare? ognuno ha le sue pecche!
RispondiElimina@ Sandro: se vanno mangiati con il brusso, allora mi piacciono senz'altro!!
ps. scusate il tema "mangereccio" ma a quest'ora.......
Io i sugeli so che cosa sono, ma credo di non averli mai mangiati: però credo di conoscere i bugaeli, perchè mia nonna, quand'ero molto piccola, faceva quelli che lei chiamava bugarelli.
RispondiEliminaDevono essere la stessa cosa..
( Era la mia nonna materna, quella che si chiamava Cane, era nata a Pietrabruna, ed ha fatto la maestra per quarantacinque anni. )
Se qualcuno me li descrive, li riconoscerò. Grazie.
Rispondo ad Arridellago: i bügaeli sono piccoli grumi di farina di castagne mescolata con farina bianca ed acqua (250 gr/250gr). Si fanno bollire in acqua salata per dieci minuti; di scola e si mangiano con latte ben caldo.
RispondiEliminaSaluti!
Grazie a Sandro Oddo che mi ha illustrato i bugarelli: non credevo, almeno non ricordo, che i "miei" fossero fatti anche con la farina di castagne, ma solo con quella bianca, e poi mi sembra che si bollissero nel brodo, come una minestrina.
RispondiEliminaPotrei ricordare male, però!
Resta il fatto che sono comunque parenti stretti, e ringrazio ancora tanto Sandro O.
Vedo solo oggi, 14 novembre, "Le tue terre di mezzo" e vedo, con piacere che ti hanno ispirato oltre che nelle immagini anche nelle parole che, unite, originano una toccante simbiosi.
RispondiEliminaSe mi permetti, i sugeli, appesantiscono un po'.
P.S. Molti originari, ahimé non si può più dire indigeni perché sono solo una decina, hanno scritto, ispirati dagli stessi luoghi, ricordo Erminio e Antò der Arma, chiedendo scusa agli altri.
Ha ragione Arridellago: bugaeli si possono anche mettere nel brodo. Però sono un'altra cosa. A me piace comunque aggiungere del sale, altrimenti sono troppo dolci.
RispondiEliminaPer preparare i sugeli, invece, si impastano 35o grammi di farina con due cucchiaiate d'olio ed acqua tiepida, sino ad ottenere un impasto compatto ma morbido. Farne dei pezzi, che dovranno essere tirati a strisce come quelle degli gnocchi. Tagliare le strisce a tocchetti e schiacciarli con il pollice tanto da renderli sottili e con un piccolo bordo. (U corpu de diu - minuscolo!)
I sugeli si cuocioni in abbondante acqua salata. Dopo un quarto d'ora aggiungere 4 patate tagliate a fette dello spessore di mezzo centimetro. Non appena le patate sono cotte, scolare e condire con il sugo, aggiungendo abbondante formaggio pecorino.
Ecco come si prepara il sugo: tritare due spicchi d'aglio, farli imbiondire con 25 grammi di burro e due cucchiai d'olio; aggiungere bruzzu e lasciarlo ben sciogliere. Unire mezzo bicchiere di latte, sale e poco pepe. Far cuocere a fuoco lento per dieci minuti.
In alternativa va bene anche il sugo di pomodoro, ma è un'altra cosa...
Buon appetito a tutti!
Un altro ringraziamento sentito a Sandro Oddo: amo la cucina bianca, non cucino più volentieri, e dovrei quasi "non mangiare": ma questa ricetta mi fa gola!
RispondiEliminaSpero di assagggiare i sugeli, ma preparati da altri..pigrizia!
Ed ora, ciao, sennò Alberto mi caccia!
Forse i bügaeli sono quelli che noi chiamiamo i menieti.
RispondiElimina(Rêaud in brigasco)
RispondiEliminaPercorrendo la valle Argentina, passato il villaggio di Creppo e lasciata alle spalle la caratteristica Arma Pisciusa, ci si inoltra, per una strada scavata nella roccia, in un ambiente del tutto nuovo, con strapiombi, cavità naturali, massi erratici: su di un precipizio, quasi come “un nido d’aquila”, appare Realdo, un gruppuscolo di case che domina l'alta valle.
C'è chi ritiene che il paese sia stato edificato alcuni secoli or sono da un gruppo di pastori brlgaschi, allontanatisi dal capoluogo a causa di un'epidemia pestilenzìale; altri argomentano che lo stato sabaudo abbia voluto fronteggiare con un efficace avamposto la podesteria genovese di Triora. L'antico nome del paese, "Ca' da Roca", farebbe propendere per questa seconda ipotesi.
I Realdesi, come anche i Verdeggesi, si differenziano dai Trioresi e dagli abitanti della valle soprattutto per l’idioma, il “ brigasco”, che affonda le sue radici nella lingua e nella cultura occitana. Le comunità di Realdo e di Verdeggia sono state recentemente riconosciute dalla Legge nazionale 482/99 “ minoranza linguistica storica, variante dell’occitano”.
Nei pressi del paese esiste una grotta sepolcrale “ La Graa de Marmu” dove sono stati recuperati reperti che risalgono all’ epoca compresa fra la fase finale dell’Eneolitico e la prima età del bronzo.
da Realdo su: vastera.it
Mi piace riportare quanto sopra anche per le mie origini.
Realdo ha mantenuto intatto il fascino delle cose passate, che passate non sono. L'atmosfera che vi si respira è quella della VERA VITA a misura d'uomo. Quante memorie racchiudono le pietre, le ardesie, i vicoletti, i poggioli, le piazzette, le ex locande testimonianze immobili di un popolo che ciò ha lasciato.
Fortuna che la speculazione edilizia non ha attecchito, anche perchè oggi ttti cercano "le comodità".
Alberto hai veramente risvegliato l'aspetto vero del vero modo di vivere.
Grazie
giovanni
RispondiEliminaTutto bene quello che dici meno questo
"che affonda le sue radici nella lingua e nella cultura occitana"
Prova a mettere nel motore di ricerca del blog la parola "occitani" e a leggere i post e gli innumerevoli commenti. Poi mi saprai dire.
Alberto ho visitato "Occitani", effettivamnte in merito alla lingua cito da Wikipedia:
RispondiEliminaperplessità sorgono per alcune località montane prossime al Monte Saccarello (comune di Briga Alta e Ormea in provincia di Cuneo e comuni di Triora e Olivetta San Michele in provincia di Imperia), per le quali alcuni movimenti autonomisti hanno postulato l'esistenza di una specifica lingua brigasca. La maggior parte dei linguisti ritiene che le parlate di queste comunità alpine appartengano piuttosto al gruppo dei dialetti di lingua ligure di zona alpina.
Direi che Vastera.it da informazioni non proprio corrette!!
Hai ragione, Alberto, in un certo senso. I meinetti, möiötti, meietti sono parenti stretti dei bügaéli.
RispondiEliminaLa ricetta triorese, antica, riporta: versare in acqua tiepida e latte, in parti uguali, della farina d'orzo, mescolando fino a cottura completa. Di trattava comunque di grumi di farina.
Per quanto riguarda i realdesi occitani sarebbe bene leggere il libro di Fiorenzo Toso, appena uscito, dal titolo "Le minoranze linguistiche in Italia", edito da Il Mulino.
Sì Sandro QUI una scheda del libro. E anche l'articolo pubblicato recentemente su Intemelion, "Il brigasco e l’olivettese tra classificazione scientifica e manipolazioni politico-amministrative".
RispondiEliminaBeh, grazie per la segnalazione dei miei ultimi interventi. L'importante è che la discussione su questo tema non si fermi e che il patrimonio di riflessioni ad essa connesso non vada perduto: la questione non è affatto risolta, nel senso che nessuno (politici, associazioni "militanti", pseudo-esperti ecc.) è ancora riuscito a spiegare i motivi dello strano fenomeno per il quale un dialetto ligure è diventato occitano. Come sappiamo (e come è stato di recente evidenziato da un articolo sulla "Stampa") la cosa interessa (e molto) anche il pubblico, non si tratta di mere diatribe scientifiche (anche perché dal punto di vista scientifico c'è chiarezza totale e unanimità sulla posizione del brigasco e dell'olivettese), ma di ottenere risposte precise su argomenti che riguardano, tra l'altro, la gestione del patrimonio culturale, l'etica dei rapporti tra politici e cittadini, la manipolazione del senso collettivo di appartenenza e altre cosette non del tutto accademiche. Un cordiale saluto a tutti!
RispondiEliminaA proposito (anche se O.T.) nessuna novità in merito alla presunta Occitanità di alcuni paesi...? Dalla provincia nessuna risposta?
RispondiEliminaps. Alberto, quando ho letto la ricetta dei bügaeli anch'io ho pensato ai "murigneti"....
Dalla Provincia no, figurarsi. Al convegno torinese dello scorso febbraio io non ho potuto andare di persona, ma la mia comunicazione sull'argomento fu letta ugualmente. Mi dicono che c'erano un paio di personaggi folkloristici che avevano da ridire sul fatto che un linguista parlasse di linguistica, ma se ho ben capito non hanno otternuto molto successo tra il pubblico e i relatori. Poi è uscito un articolo spassosissimo sulla rivista "A Vastera" di Franco Bronzato, che cercava di dimostrare il carattere occitano del brigasco ottenendo risultati alquanto deplorevoli dal suo punto di vista. Ho fatto alcune osservazioni in merito nell'articolo apparso in "Intemelion", e altre più approfondite usciranno negli atti del convegno stesso: normalmente non si dà peso a questo tipo di interventi, ma ho voluto commentare l'articolo apparso su "A Vastera" come esempio significativo di letteratura "militante". Mi è capitato di parlare di questa faccenda del fantaoccitano non solo nel libro che ho pubblicato di recente, ma anche in un articolo a carattere più generale sulle disfunzioni della legislazione italiana in materia di minoranze, che sta per uscire sulla rivista "Ladinia", organo della minoranza ladina (segno evidente che alle minoranze vere non piacciono quelle fasulle). Che altro poi? E' uscito un "Glossario etimologico comparato" delle Alpi Liguri a cura di Pierleone Massajoli (che recensirò in sede opportuna), in base al quale mi sono divertito a fare un minimo di riscontro sulla componente lessicale di origine "occitana" presente in brigasco in modo esclusivo rispetto ad altri dialetti dell'area ligure e piemontese: meno del 5%, che è più o meno la percentuale di "occitanismi" esclusivi presenti in ventimigliese (e non per questo, spero, il ventimigliese è "occitano"!) o, che so io, dei sardismi presenti in tabarchino (ma non per questo il tabarchino è sardo!). Siccome abbiamo già ampiamente dimostrato che la fonetica, la morfologia e la sintassi del brigasco non sono "occitane", il fatto che manco il lessico lo sia (e comunque il lessico non riveste particolare importanza da questo punto di vista), l'antico quesito ritorna: perché si cerca di far passare per occitano un dialetto che occitano non è? Un cordiale saluto, FT
RispondiEliminaChe bello tovare qualcuno che parli delle alte valli. Ormai la Liguria sembra esistere soltanto nella stretta fascia della costa, dove vive (statistiche alla mano) più del 90% della popolazione. Invece, come diceva Francesco Biamonti, la vera Liguria comincia a 2 - 3 km dal mare, una volta abbandonati i casermoni del litorale. Complimenti
RispondiEliminaTra l'altro - mia impressione - ho maturato il sospetto che il ligure ponentino sia fondamentalmente un montanaro.
RispondiEliminaAndato sul porto di Sanremo. Non troverete un pescatore professionista di famiglia sanremasca o ponentina (tutti siciliani o dell'area di molfetta).
I sanremaschi coltivavano gli orti. Il professor Toso puo' confermare o meno se questa caratteristica e' pure dei sardi (a me risulta che i sardi non sono grandi marinai, ma la pesca l'hanno importata altre popolazioni). Certo ormai le "etnie" vanno dislocandosi: per cui puo' esserci pure un marinaio professionista di Castelvittorio o di Monesi vecchia.....
Ancora per Toso: sto seguendo la polemica sulla "vastera", per quel che ci capisco.
Come vede, non sono uno della redazione: solo un'iscritto al giornale.
cordiali saluti da Gianni l'"occitano".
letto di nuovo, tutto di un fiato.
RispondiEliminaanche i commenti.
sempre bello.
non sapevo di questa falsa occitanità.
grazie.
saluti
che dire...... posti selvaggi incontaminati che liberano la fantasia io amo la natura il silenzio che c'è di meglio ?????
RispondiEliminaChe vista da quella finestrella. Ora che son quasi vecchia, mi sto ri-innamorando della quiete della montagna: con mio marito abbiamo da poco acquistato un fienile semidiroccato che speriamo di iniziare a recuperare la prossima primavera. Ogni domenica , quasi, andiamo a sedere su quel prato e ci guardiamo intorno: atmosfere come quelle che descrivi tu e non verrei più via. Peccato non avere una seconda vita...ma mi accontento.
RispondiEliminaBelle immagini e bellissimo posto!
RispondiEliminatu pensa che l'unica volta che sono andata in Liguria al mare sono finita con lo scappare proprio in Valle Argentina: Realdo e Triora, da strega dove potevo finire?
RispondiElimina