«Siamo un popolo, non un partito» ha detto l'altro giorno Berlusconi nel suo comizio di Milano. Può sembrare uno slogan, ma recentemente anche Tremonti e Brunetta hanno insistito sullo stesso punto. Evidentemente la scelta di chiamare il Pdl Popolo della libertà, non era solo dettata da motivi pubblicitari.
Infatti, un partito è per definizione una parte, è un'entità che si riconosce limitata e inserita in un contesto più vasto. Esprime interessi determinati, anche se estesi, punti di vista particolari, anche se generosamente universalistici; e si contrappone ad altre parti, ad altri partiti, ad altri interessi, in una dialettica regolata dalle leggi e dalle istituzioni democratiche. Il Tutto, da questo punto di vista, non è che il gioco delle parti, l'interazione costituzionale fra partiti.
Che un partito si definisca popolo significa, tendenzialmente, tutto ciò: questo superamento della democrazia costituzionale verso la democrazia demagogica e populista; questo modo sbrigativo ed emotivo di dire Noi, con una pretesa di totalità e di esaustività che rende impossibile ogni dialogo e ogni dialettica con gli altri; questa delegittimazione dell'avversario politico come anti-italiano (ovvero, nemico del popolo); questo culto della personalità, e lo speculare culto del popolo, alimentati, in un circolo vizioso, dal Capo e dalla sua creatura.
Il ritorno sostanziale alla democrazia parlamentare e alle sue logiche istituzionali dovrà essere, quindi, anche un ritorno alla consapevolezza della parzialità, della limitatezza, delle persone e delle politiche; alla misura, insomma, dopo la dismisura; alla realtà, dopo il sogno populista e comunitario.
Carlo Galli
La Repubblica, 30 settembre 2009
Infatti, un partito è per definizione una parte, è un'entità che si riconosce limitata e inserita in un contesto più vasto. Esprime interessi determinati, anche se estesi, punti di vista particolari, anche se generosamente universalistici; e si contrappone ad altre parti, ad altri partiti, ad altri interessi, in una dialettica regolata dalle leggi e dalle istituzioni democratiche. Il Tutto, da questo punto di vista, non è che il gioco delle parti, l'interazione costituzionale fra partiti.
Che un partito si definisca popolo significa, tendenzialmente, tutto ciò: questo superamento della democrazia costituzionale verso la democrazia demagogica e populista; questo modo sbrigativo ed emotivo di dire Noi, con una pretesa di totalità e di esaustività che rende impossibile ogni dialogo e ogni dialettica con gli altri; questa delegittimazione dell'avversario politico come anti-italiano (ovvero, nemico del popolo); questo culto della personalità, e lo speculare culto del popolo, alimentati, in un circolo vizioso, dal Capo e dalla sua creatura.
Il ritorno sostanziale alla democrazia parlamentare e alle sue logiche istituzionali dovrà essere, quindi, anche un ritorno alla consapevolezza della parzialità, della limitatezza, delle persone e delle politiche; alla misura, insomma, dopo la dismisura; alla realtà, dopo il sogno populista e comunitario.
Carlo Galli
La Repubblica, 30 settembre 2009
tutto l'articolo QUI
Non sarà fascismo ma certo che quel "Noi" riecheggia da vicino quel "A noi" del Ventennio.
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Ha anche detto, Berlusconi, che gli organi di informazione a lui riconducibili non hanno mai attaccato nessuno (effettivamente, "Il Giornale" è di suo fratello Paolo...), a differenza di quanto gli altri fanno con lui; e ha sostenuto di di aver moralizzato la vita politica italiana... Ovviamente è lui a decidere quel che è morale e quel che è immorale.
RispondiEliminaDice, infine, che Santoro e la Dantini, col loro modo di fare televisione, gli fanno guadagnare voti. Ma allora, dov'è il problema? Li mandi a reti unificate, che ne avrà un consenso plebiscitario...
"Il ritorno sostanziale alla democrazia parlamentare......."
RispondiEliminaIl problema è se e quando ci sarà questo ritorno, e quanto ci sarà costato!
Bell'articolo, io lì per lì non avevo riflettuto molto sua questa sua frase.
RispondiEliminaCaro Alberto t'invito a visitare il mio blog e dare un giudizio sul post su Gasparri, baSta RIAVVIARE LA PAGINA PER AVERE UNA NUOVA FRASE E COSì ALL'INFINITO, CIAO
RispondiEliminaIl buon Galli, da liberale, se la prende con il concetto di comunità. Quello che è paradossale in tutto questo è che è proprio sfruttando cinicamente il fatto che ovviamente una società costituisce una comunità, nè potrebbe mai essere diversamente, il signor B. è arrivato al punto in cui è arrivato. Possibile quindi che questi popperiani la menino tanto con il concetto di individui liberi e razionali, ignorando quanto le decisioni personali, anche quelle politiche siano influenzate dalle viscere? Affidare al mercato, sia economico che a quello dei voti, le sorti dell'umanità porta a questi risultati mostruosi. Il mercato, in verità, potrebbe funzionare solo se noi fossimo individui liberi e razionali come l'Illuminismo pretende. Ma non lo siamo, e la situazione politica italiana è proprio la dimostrazione dimostarta di quanto ogni teoria liberale si basi su astrazioni fuori dalla realtà. Si sarà poi capito che io mi considero comunitarista? :-D
RispondiEliminauna parte di quella che doveva essere opposizione a quel progetto politico, a quel ricondurre la democrazia ad una sorta di convention permanente, si è fatta i suoi calcoli derogando al mandato che gli avevamo dato con il nostro voto. 10 anni fa quando vi erano le condizioni per rendere l'uomo di Arcore meno potente, si è preferito fare altre cose, esempio regalare la Telecom a qualcuno, "chi era entrato con le pezze al culo ne è uscito con abiti firmati", e non solo. Forse la malattia è tanto profonda che non ci si rende conto del suo essere strutturale alla politica di questo paese, indipendentemente dalla collocazione politica. forse se non si toccherà il fondo e forse andando anche oltre, non riusciremo a sentirci un popolo, un popolo libero.. una sola speranza resta l'Europa e la sua gente.
RispondiEliminaBaruffa
bello l'articolo
RispondiEliminaCondivido sostanzialmente quanto dice Vincenzo Cucinotta: per scegliere liberamente occorrono gli strumenti, anche cognitivi, che consentano di valutare una scelta nella sua effettiva portata. E questo difficilmente succede, in particolare in una situazione come la nostra. Ho letto sui giornali e sentito in TV la notizia di quella fabbrica sulla quale la procura di Paola ha aperto un'inchiesta per accertare la responsabilità della morte di 40 persone per cancro e della malattia di altre 60, poiché si ritiene che ciò sia dovuto alle sostanze pericolose che vi venivano maneggiate senza nessuna cautela. Di qualche giorno prima è la notizia delle navi fatte affondare piene di rifiuti pericolosi (ma l'Espresso aveva già dedicato un ampio servizio, con tanto di copertina, all'argomento almeno due e o tre anni fa: ah, sì, ma quella è disinformazine comunista...). E di episodi in giro così ce ne sono tanti, ma se ne parla assai poco (a parte, forse, alla trasmissione Ambiente Italia, che però pare sia vista quasi solo da noi addetti ai lavori).
RispondiEliminaIn compenso le televisioni ci fanno apparire come il problema principale sia quello dell'immigrazione e della necessità di tenere lontani quei poveracci che sbarcano.
Intendiamoci, non è che il problema dell'attrito di civiltà non ci sia, anzi c'è sempre stato, anche se magari a ruoli invertiti (ancora seicento anni fa, in Andalusia, i musulmani erano la parte tollerante, colta, raffinata della popolazione - si pensi al'edilizia rimasta, ai giochi d'acqua, eccetera -, mentre i cristiani erano ignoranti e sporchi, nobili compresi). Intanto, però, la cosa non va generalizzata (conosco dei musulmani laici, ai quali della religione non importa un fico secco, e comunque anche tra i musulmani chi crede può "credere" in modo diverso, così come tra i cristiani e i cattolici ci stavano i prelati sostenitori di Pinochet e di Franco e i sacerdoti che stavano dalla parte del popolo ed erano perseguitati dalla dittatura franchista e da quella cilena: non si può dire che fossero tutti uguali!). Ma vedendo Mughini e Meluzzi accanirsi contro l'Imam di Milano (peraltro un religioso dalle idee assai lucide ed aperte, per essere appunto un religioso) mi chiedo quando, in televisione, si potranno vedere gli stessi autorevoli personaggi prendersela con chi scempia, veramente, il nostro territorio.
Dunque la nostra popolazione, bersagliata da simili messaggi televisivi, non può scegliere lucidamente e consapevolmente. Ma come fare diversamente?
Una aristocrazia del pensiero? Ma chi li sceglie, questi "aristoi", questi "ottimi"? C'era già Togliatti che era definito il Migliore, e questo è bastato e avanzato, per quel che mi riguarda...
Un tiranno illuminato? E dove lo prendiamo? L'unico di cui ho notizia era l'imperatore Adriano come lo leggiamo nel magnifico libro della Yourcenar, ma era così davvero? Ce n'è un altro? E come facciamo a sapere che lo è prima di metterlo alla prova? E dopo, se è un tiranno, chi lo toglie più, qualora non fosse all'altezza?
Churchill non mi piace per nulla, però aveva ragione dicendo che la democrazia è piena di difetti ma purtroppo non hanno ancora inventato un sistema migliore.
Sì, la democrazia ateniese era fatta di persone consapevoli, formate alle scuole filosofiche, eccetera, mentre la nostra lo è un po' meno. Sarebbe però sufficiente, per aiutare a scegliere con cognizione di causa, un'informazione corretta. Il vero problema è quello. Altrove, pur con tutti i vizi locali che ci possono essere, l'informazione fa il suo lavoro, qui no, se non minoritariamente. E a questo punto siamo arrivati al cane che si morde la coda: non c'è informazione corretta senza gente che la sa scegliere, e senza informazione corretta non c'è gente che sa scegliere. Rompere questo anello non è facile, ma è l'unica chance...
@c.e.g.
RispondiEliminaNon ho mai pensato a una dittatura illuminata. Immaginare un sistema istituzionale "ideale" è cosa molto complicata, ma sono dei problemi che comunque ho tentato e tento di affrontare: qui la cosa è del tutto impossibile, magari se fai un salto sul mio blog, vedrai alcune mie idee in materia.