Mia madre ha avuto un ictus un mese e mezzo fa: era rimasta paralizzata in tutta la parte destra del corpo.
Non parlava, non riconosceva nessuno e quando, dopo due settimane, ha cominciato lentamente a riprendere i movimenti, i medici stessi hanno gridato al miracolo: loro non potevano sapere con che tempra è stata forgiata quella donna.
La testa era rimasta però altrove, assieme alla parola: non riconosceva i suoi figli, i suoi nipoti e nessun’altra persona che faceva parte della sua vita; ci siamo detti che averla viva e non costretta ad una vita di vegetale in un letto per gli anni che le sarebbero rimasti, era una grandissima fortuna.
Così com’è stata una fortuna incontrare Anna, la signora rumena che da assistente in ospedale è diventata la donna che ora vive con lei, avendo ancora io la fortuna di lavorare a tempo pieno; mio fratello un po’ meno, costretto alle pause forzate della cassa integrazione ma con l’impegno di essere disponibile anche con un preavviso di poche ora.
Se un mese fa, il giorno che l’hanno dimessa dall’ospedale, mi avessero detto quanto oggi sarebbe successo, avrei riso forte per non piangere.
Io non lo so se è stata l’ora legale, o perché oggi c’è un sole splendido e tiepido come la stagione vuole. Oppure se sono stati i suoi ricordi, che sono ancora fermi a prima della guerra, quando ha conosciuto mio padre in montagna, a combattere per ciò di cui non conoscevano il significato etimologico della parola ma che sapevano essere la cosa per cui valeva battersi.
Credo che quel periodo è vivo e vivido come non mai in lei, perché qualche giorno fa mentre era ancora in ospedale, tra una parola e l’altra pressoché incomprensibili, mi ha nominato il Duce.
Le risposi che il Duce non c’era più da tempo, che era morto e che adesso c’era Berlusconi, che lei odia forse più di me, anche se pare incredibile.
Fatto sta che ieri mattina, mentre io e Anna le facevamo la doccia, le ho detto che doveva cercare la sua scheda elettorale. Ha cominciato a dire no no no no e solo l’entrare nel mio ruolo di cattivissima figlia degenere l’ha convinta ad accompagnarmi in camera e farmi frugare dove, presumibilmente, era riposta la scheda elettorale.
Stamattina il cambio dell’ora legale mi ha fatto arrivare a casa sua con dieci minuti di ritardo: era in cortile con Anna che mi aspettava. Sono scesa dall’auto che ho parcheggiato nel viale e ha pronunciato, per la prima volta dalla sera prima che l’ictus venisse a turbarle la testa, il mio nome.
Chiaro, lo ha detto: «Daniela, metti la macchina nel cortile», questo mi ha detto.
Ero sbalordita, sapete? Il mio nome, pronunciato chiaramente da chi, fino a due giorni fa, mi guardava come non sapessi chi fossi, che cosa volessi da lei e perché continuavo a sgridarla e dirle di smettere di piangere.
Le ho risposto che avrei parcheggiato dentro in cortile dopo che saremmo tornate dal seggio.
Poi le ho proposto di andare al cimitero a trovare mio padre.
Mi ha guardato e senza dire nulla mi ha preso per mano, accompagnandomi fino al ripostiglio dove tiene le scarpe. Ne ha scelto un paio, si è seduta perché le potessi infilare, poi si è alzata, ha preso la busta con il certificato elettorale, mi ha indicato dove potevo trovare la sua carta d’identità ed è salita in macchina.
Per salire la rampa della scuola dove lei vota da anni, scelta obbligata alle scale che fatica a salire col suo lento passo traballante, ci abbiamo messo dieci minuti ma non abbiamo nulla da fare io e lei, oggi, se non fare venire sera.
Ho consegnato il certificato elettorale e la carta d’identità ai ragazzi dei seggi, ho chiesto loro se potevo entrare con lei in cabina e mi hanno detto di no, che ci sarebbe voluto una certificazione medica, potevo solo accompagnarla ma non essere presente mentre lei esprimeva la sua preferenza.
Una volta aperta la scheda le ho chiesto se sapeva dove mettere la croce, sapendo che non sarebbe mai stata in grado di scrivere un nome, ma la croce sì.
Credo mi abbia risposto qualche cosa come «non sono mica rimbambita».
Ed è una delle sue risposte, l’unica che volevo sentire e che anelavo di udire da un mese e passa, perché in quel momento ho dimenticato la sua malattia: era la mia mamma di sempre, l’unica mamma che vorrei, quella che non cambierei con nessun’altra, litigate, scazzi, pianti, accuse, pianti, sensi di colpa, riappacificazioni comprese.
Quando siamo risalite in macchina credo mi abbia detto che non era proprio una croce ma un segno, non è riuscita a farla una bella croce ma che importa?
So che qualsiasi cosa fosse, l’ha messo sul simbolo del PD.
E non accetterò mai che nessun medico mi dica che l’ha fatto per imitazione: lei sa che cosa è il PD anche se spesso inveiva dicendo che sono anche loro uguali a tutti gli altri.
Dopo siamo andati al cimitero, si è messa a piangere davanti alla foto di mio padre e lo ha chiamato per nome: oggi è stato il giorno dei nomi, quelli che aveva perso e che forse domani non ricorderà più.
Ma oggi…
Oggi è una di quelle giornate che pagheresti perché fosse così, esattamente come si è svolta da stamattina alle nove.
Non vorrei cambiarne una virgola.
Perché vedere oggi mia madre com’è non ha prezzo, per tutto il resto, userò la Visa.
Ora dorme e io posso piangere.
Daniela
Non parlava, non riconosceva nessuno e quando, dopo due settimane, ha cominciato lentamente a riprendere i movimenti, i medici stessi hanno gridato al miracolo: loro non potevano sapere con che tempra è stata forgiata quella donna.
La testa era rimasta però altrove, assieme alla parola: non riconosceva i suoi figli, i suoi nipoti e nessun’altra persona che faceva parte della sua vita; ci siamo detti che averla viva e non costretta ad una vita di vegetale in un letto per gli anni che le sarebbero rimasti, era una grandissima fortuna.
Così com’è stata una fortuna incontrare Anna, la signora rumena che da assistente in ospedale è diventata la donna che ora vive con lei, avendo ancora io la fortuna di lavorare a tempo pieno; mio fratello un po’ meno, costretto alle pause forzate della cassa integrazione ma con l’impegno di essere disponibile anche con un preavviso di poche ora.
Se un mese fa, il giorno che l’hanno dimessa dall’ospedale, mi avessero detto quanto oggi sarebbe successo, avrei riso forte per non piangere.
Io non lo so se è stata l’ora legale, o perché oggi c’è un sole splendido e tiepido come la stagione vuole. Oppure se sono stati i suoi ricordi, che sono ancora fermi a prima della guerra, quando ha conosciuto mio padre in montagna, a combattere per ciò di cui non conoscevano il significato etimologico della parola ma che sapevano essere la cosa per cui valeva battersi.
Credo che quel periodo è vivo e vivido come non mai in lei, perché qualche giorno fa mentre era ancora in ospedale, tra una parola e l’altra pressoché incomprensibili, mi ha nominato il Duce.
Le risposi che il Duce non c’era più da tempo, che era morto e che adesso c’era Berlusconi, che lei odia forse più di me, anche se pare incredibile.
Fatto sta che ieri mattina, mentre io e Anna le facevamo la doccia, le ho detto che doveva cercare la sua scheda elettorale. Ha cominciato a dire no no no no e solo l’entrare nel mio ruolo di cattivissima figlia degenere l’ha convinta ad accompagnarmi in camera e farmi frugare dove, presumibilmente, era riposta la scheda elettorale.
Stamattina il cambio dell’ora legale mi ha fatto arrivare a casa sua con dieci minuti di ritardo: era in cortile con Anna che mi aspettava. Sono scesa dall’auto che ho parcheggiato nel viale e ha pronunciato, per la prima volta dalla sera prima che l’ictus venisse a turbarle la testa, il mio nome.
Chiaro, lo ha detto: «Daniela, metti la macchina nel cortile», questo mi ha detto.
Ero sbalordita, sapete? Il mio nome, pronunciato chiaramente da chi, fino a due giorni fa, mi guardava come non sapessi chi fossi, che cosa volessi da lei e perché continuavo a sgridarla e dirle di smettere di piangere.
Le ho risposto che avrei parcheggiato dentro in cortile dopo che saremmo tornate dal seggio.
Poi le ho proposto di andare al cimitero a trovare mio padre.
Mi ha guardato e senza dire nulla mi ha preso per mano, accompagnandomi fino al ripostiglio dove tiene le scarpe. Ne ha scelto un paio, si è seduta perché le potessi infilare, poi si è alzata, ha preso la busta con il certificato elettorale, mi ha indicato dove potevo trovare la sua carta d’identità ed è salita in macchina.
Per salire la rampa della scuola dove lei vota da anni, scelta obbligata alle scale che fatica a salire col suo lento passo traballante, ci abbiamo messo dieci minuti ma non abbiamo nulla da fare io e lei, oggi, se non fare venire sera.
Ho consegnato il certificato elettorale e la carta d’identità ai ragazzi dei seggi, ho chiesto loro se potevo entrare con lei in cabina e mi hanno detto di no, che ci sarebbe voluto una certificazione medica, potevo solo accompagnarla ma non essere presente mentre lei esprimeva la sua preferenza.
Una volta aperta la scheda le ho chiesto se sapeva dove mettere la croce, sapendo che non sarebbe mai stata in grado di scrivere un nome, ma la croce sì.
Credo mi abbia risposto qualche cosa come «non sono mica rimbambita».
Ed è una delle sue risposte, l’unica che volevo sentire e che anelavo di udire da un mese e passa, perché in quel momento ho dimenticato la sua malattia: era la mia mamma di sempre, l’unica mamma che vorrei, quella che non cambierei con nessun’altra, litigate, scazzi, pianti, accuse, pianti, sensi di colpa, riappacificazioni comprese.
Quando siamo risalite in macchina credo mi abbia detto che non era proprio una croce ma un segno, non è riuscita a farla una bella croce ma che importa?
So che qualsiasi cosa fosse, l’ha messo sul simbolo del PD.
E non accetterò mai che nessun medico mi dica che l’ha fatto per imitazione: lei sa che cosa è il PD anche se spesso inveiva dicendo che sono anche loro uguali a tutti gli altri.
Dopo siamo andati al cimitero, si è messa a piangere davanti alla foto di mio padre e lo ha chiamato per nome: oggi è stato il giorno dei nomi, quelli che aveva perso e che forse domani non ricorderà più.
Ma oggi…
Oggi è una di quelle giornate che pagheresti perché fosse così, esattamente come si è svolta da stamattina alle nove.
Non vorrei cambiarne una virgola.
Perché vedere oggi mia madre com’è non ha prezzo, per tutto il resto, userò la Visa.
Ora dorme e io posso piangere.
Daniela
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Da un commento di Daniela su Facebook
RispondiElimina"Alberto, sei stato tu con il tuo stato che mi ha dato il la anche se ne avrei scritto ugualmente. Grazie a te."
L'empatia esiste, Daniela carissima.
Grazie, Alberto.
RispondiEliminaAlberto com'era il tuo stato su facebook per aver innescato una così bellissima cosa?
RispondiEliminaGrazie Daniela.
Auguri Daniela per la tua splendida mamma e grazie aqd Alberto per aver pubblicato questo post
RispondiEliminagrazie per il bellissimo post. e auguri a Daniela e sua mamma.
RispondiEliminaGrazie Daniela di questa bellissima lettera (e grazie Alberto di averla pubblicata).
RispondiEliminaIn bocca al lupo, Daniela, per la tua straordinaria madre.
RispondiEliminaE grazie a te, Al, per aver condiviso questa storia di altissimo valore umano ed educativo.
Verrò a leggerla con i miei alunni...
annarita
Questo post è bellissimo e sono convinto che la mamma di Daniela sappia cos'è il PD molto meglio di alcuni rappresentanti interni dello stesso partito...
RispondiEliminaun abbraccio a lei!
Sto per uscire.
RispondiEliminaDiretta al seggio della mia bella cittadina.
Ci andrò con la mia piccola, f&u.
Oggi è il giorno della non astensione, oggi voglio ancora crederci.
Grazie Daniela, grazie Al.
Dopo le figlie di Ada, la figlia di Daniela.
Mi commuove così tanto amore
@Iris
RispondiEliminaIl mio stato su facebook era
"Ci sono miti che nemmeno sanno di esserlo e io li ammiro per questo."
Che storia bellissima! Capisco perfettamente come si sia sentita Daniela...
RispondiEliminase ne dice un gran male, di quell'omino a noi sgradito ed inviso ma anche io ho un aneddoto molto simile di quando mio padre fu ricoverato in fin di vita, diversi anni fa e sembrava così stanco da aver scelto di riposarsi per sempre, fino ad una mattina in cui andai a trovarlo in reparto e volle che gli leggessi il giornale fino a domandarmi direttamente: "dimmi che Berlusconi non c'è più!!!"
RispondiEliminaIo iniziai a ridere perchè un modo migliore di tornare alla vita, con tale grinta, poteva venire solo da mio padre!
e non vi dico cosa mi ha risposto, poche settimane fa agli auguri per la festa del papà, il mio babbo anticlericale.....
;-)
Daniela, auguroni a te e alle mamme-MITO.
Ho letto il post d'un fiato...
RispondiEliminacommossa... mi trovo in un particolare stato d'animo...
grazie Al, grazie Daniela,
le mamme sono miti. Anche mia mamma lo è ...
Auguri Daniela, un bacio alla tua mamma....
g
..è dieci anni che mia madre riposa all'ombra dei cipressi, la sua voce, i suoi gesti si allontanano inesorabilmente, il suo ricordo, quello vivo è legato alle cose, al suo essere donna della terra, di una terra dura ed avara, che richiedeva spesso, sforzi incredibili.. la ricordo quando alla mattina alle 3.30 si alzava e partiva per andare ad innaffiare, o quando le sue mani mi insegnavano a fare i solchi per i fagioli, quello che mi manca è la sua voce, fatico nel ricordo, la incontro nei sogni, qualche volta..
RispondiEliminaun abbraccio a Daniela
Baruffa
E' triste per una figlia non sentirsi più chiamare col proprio nome o col familiare diminutivo dalla mamma. Capisco cosa significa.
RispondiEliminaUn abbraccio a Daniela e alla sua mamma-mito.
Ciao Alberto.
(Il libro che mi hai indicato non lo conosco, provvederò, grazie.:)
Che bella testimonianza! Grazie, Daniela, per averla condivisa. Auguri a tua mamma, una donna straordinaria.
RispondiEliminaChe bella storia Daniela. Sento che, domani, ci porterà fortuna...
RispondiEliminatua madre è veramente un mito, mi hai fatto commuovere, veramente
RispondiEliminaTua madre è veramente un mito! E son convinta che quel segno, che non è una croce ma poco importa, l'abbia messo al PD perchè lei lì lo voleva mettere. Alla faccia dei tantissimi astenuti. Alla faccia di chi ricorda tante sciocchezze ma non cosa voglia dire "votare".
RispondiEliminaTua madre è fantastica!
Davvero bello il racconto di Daniela. In fondo, questo piccolo uomo qualche piccolo miracolo riesce a farlo: quello di ridare vitalità chi vuol mandarlo a casa. Speriamo che questi piccoli miracoli compiano quello grande di dargli una batosta e di fargli smettere la sua insopportabile arroganza.
RispondiEliminaNon ci sono parole per commentare un post del genere. L'ho praticamente divorato con una commozione e un'emozione davvero incredibile.
RispondiEliminaQuante volte diamo per scontato i nostri genitori, mio padre, mia madre, molte volte mi sono soffermato a guadare quei volti, ascoltare quelle voci e ragionare quanto sono importanti.
Una mamma incredibile Daniela, una mamma speciale, una mamma.
Grazie Daniela Grazie Alberto
Grazie per averci raccontato questa storia
RispondiEliminasono straordinarie le cose che riusciamo ad aprezzare, nel momento in cui ci vengono sottratte. Bello avere qualche spiraglio di un tempo che fù..ma che non riuscivano a cogliere in pieno. Grazie Daniela
RispondiEliminaBellissimo ed emozionante post di Daniela e belle anche le vostre risposte.. Sono stato fortunato a trovarmi in questa pagina!
RispondiEliminaCon la Visa puoi pagare il "prezzo" di qualcosa.
RispondiEliminaMa il "Valore" di tua madre e "inestimabile" e non ha prezzo
e lo manterrà nel tempo specialmente quando tua madre riprenderà a svolgere normalmente tutte le sue azioni quotidiane.
La “volontà”, il “desiderio” di fare la cosa giusta, è un valore che ci si porta dentro sempre, e ognuno deve poterlo esprimere in qualunque modo.
Un augurio di cuore di una completa guarigione per tua madre e una carica di energia e fiducia per te che devi in questo momento aiutarla nel migliore dei modi.
Cordialmente
Genius