Astro del ciel
Un dì osservando l'aer un po' scosso
stellar lamento udìì sì triste
ché da tormenti parea esser mosso.
Guardo puntai all'eterne piste
pensando il ciel tremasse invano
per suoi dilemmi o pure sviste.
Quand'incontrai colui che in mano
dell'altro ieri ebbe l'affanno,
ormai provato da un cor malsano.
I raggi in suso, non era inganno,
del suo bel ciclo egli mostrava
come caduto dopo un gran danno.
La man gli tesi infin ch'urlava
pria ch'ei perisse d'amar destino,
con voce roca ormai parlava:
"Io son Romano, il gran fantino,
ma giallorosso non ho il casato
della mortazza faccio il becchino.
Or che nel limo son qui cascato,
in così sozza e crudel mastella,
chieder ragion vorrei al creato
di quel gran Giuda con la favella
che mi tradì, è ormai notizia,
con su una maschera di mortadella".
Nel suo dar fiato a cotal malizia
immobil stette il perdente eterno,
come a pregar terminal giustizia,
per poi tuffarsi come in averno
anime immonde cercan la mota
gridando a Dio: "Fatal governo"!
Strappar io volendo da quella gota
l'ultimo brano di altrui pietade,
alla sacral volta girai la rota.
"Oh voi celesti di astral contrade,
per qual motivo dev'ei perire
sanza conoscere l'altra metade?
Vi prego ordunque di non mentire,
e dirmi tosto del parlamento
fra tutti i divi: chi è ben seguire?"
Scosso l'Ariete da simil lamento
puntute corna volse all'orecchio
di quel mio viso tanto sgomento,
quando tuonando come un gran vecchio,
l'empireo regno riempì in un verso:
"D'inferno ormai è il tristo specchio
la vostra Italia, giacché ha perso
fresca bandana il fu suo capo
cavalier, da troppo tempo immerso
in certi capricci da senil satràpo".
A modo ugual di azion molesta
che a botte cava robusto tappo,
sorgean schiamazzi e buffa tempesta
dall'antro dove zodiaco posa,
finché mutar volle alcun la festa:
"Livida fauce vostra invidiosa!",
fé eco il Toro, "Sarà Veltroni
a indossar panni da finta sposa!".
Un mar di ragli da quegli androni
montaron presto col vento in poppa,
sì da sedar financo due caproni.
"Rammentar dovete tal Padoa Schioppa
e il suo giusto metro di giudizio
che tasche ancor piangon la toppa".
Proprio il Gemelli l'altrui comizio
ruppe in un sorso puntando il dito:
"Voi e quel Fini di fascio indizio,
tricolor fiamma avete ambìto,
allor già gonfi codesto foco
sì che il suo corpo venga ben fritto".
"Credete a me, la vampa è poco",
montò poi il Cancro con voce sdegna
"per chi com'egli fece trasloco
d'ardimentosa littoria insegna.
Mussolin Padre schiumar potrebbe
dal fiero avello dov'ancor regna".
Nomato l'avo che in ver andrebbe
sul deretano battuto a calci,
il re dei segni come un sol crebbe:
"A nostalgia e piangenti salci
uso non sono, Leon m'appellano,
ma non sognate martello e falci,
quanto bastoni ch'omo randellano".
Testé dipinta l'atroce immago,
silenzio fuse nei cor chi svelano
d'esser capaci tant'è un gran lago.
Libra sempr'equa fu quelle notti
quando ferirono con man da Iago
fedel scudiero a sinistri motti:
tal Turigliatto da Vespa evaso,
che tanta pena die' a Bertinotti.
Sottrar ei volea da sotto il naso
preziose gemme e danar sonante
a chi quel lusso non ebbe a caso.
Golosa sempre di futil contante,
intonar volle la Virgo astrale
dolce peana come adorante
a quella femmina assai regale
che al Pecoraro gridò "finocchio":
"La donna è nobil, mai vien banale,
se Santanché ella porta sott'occhio.
Qual Rosi Bindi giammai pudica
in sua divisa non v'è mai accrocchio".
"Possiam ben dire ch'è una gran fica!"
sbottò ridendo il viril scorpione.
E il sagittario senza fatica
gli venne appresso con n'orazione:
"Vagheggiar sol posso i gran bei giorni
pria che'l senatur frenasse ormone.
Or egli può solo contar gli storni,
unico uccel a non romper l'fido".
Così rizzato, da quegl'intorni
il Capricorno lanciò un gran grido,
che'l spirto nostro rapprese in cera.
"Domani è l'giorno in cui vi sfido
a votar Ferrando, quel Barbanera,
ancor di falce porta il baluardo,
che sol la gabbia è sua galera!".
Aspro strillando di cotal stendardo,
la terra sotto cedette al mare
e coprì l'acqua il novello bardo.
Passando cheto come a scrutare
chi da Morfeo occhio è rapito,
l'Acquario cenno mosse a frenare
il frate Pesci, bensì più ardito.
Già rosso sangue mostrava gli occhi,
stille infernali ch'ei avea carpito
dal re dell'Ade: "Non siano sciocchi
- fec'ei d'un tratto mirando al volgo -
quelli che'l voto danno ai pidocchi.
Fuorché Di Pietro altro non accolgo!".
Al fin tediato d'inutil favelle,
da tutti i segni l'pensier distolgo,
quasi a dir loro: "Nessun eccelle".
Allora mesto voltai la schiena,
con viril promessa: mai più le stelle!
Fabio Acca
nero_rosso@email.it
Un dì osservando l'aer un po' scosso
stellar lamento udìì sì triste
ché da tormenti parea esser mosso.
Guardo puntai all'eterne piste
pensando il ciel tremasse invano
per suoi dilemmi o pure sviste.
Quand'incontrai colui che in mano
dell'altro ieri ebbe l'affanno,
ormai provato da un cor malsano.
I raggi in suso, non era inganno,
del suo bel ciclo egli mostrava
come caduto dopo un gran danno.
La man gli tesi infin ch'urlava
pria ch'ei perisse d'amar destino,
con voce roca ormai parlava:
"Io son Romano, il gran fantino,
ma giallorosso non ho il casato
della mortazza faccio il becchino.
Or che nel limo son qui cascato,
in così sozza e crudel mastella,
chieder ragion vorrei al creato
di quel gran Giuda con la favella
che mi tradì, è ormai notizia,
con su una maschera di mortadella".
Nel suo dar fiato a cotal malizia
immobil stette il perdente eterno,
come a pregar terminal giustizia,
per poi tuffarsi come in averno
anime immonde cercan la mota
gridando a Dio: "Fatal governo"!
Strappar io volendo da quella gota
l'ultimo brano di altrui pietade,
alla sacral volta girai la rota.
"Oh voi celesti di astral contrade,
per qual motivo dev'ei perire
sanza conoscere l'altra metade?
Vi prego ordunque di non mentire,
e dirmi tosto del parlamento
fra tutti i divi: chi è ben seguire?"
Scosso l'Ariete da simil lamento
puntute corna volse all'orecchio
di quel mio viso tanto sgomento,
quando tuonando come un gran vecchio,
l'empireo regno riempì in un verso:
"D'inferno ormai è il tristo specchio
la vostra Italia, giacché ha perso
fresca bandana il fu suo capo
cavalier, da troppo tempo immerso
in certi capricci da senil satràpo".
A modo ugual di azion molesta
che a botte cava robusto tappo,
sorgean schiamazzi e buffa tempesta
dall'antro dove zodiaco posa,
finché mutar volle alcun la festa:
"Livida fauce vostra invidiosa!",
fé eco il Toro, "Sarà Veltroni
a indossar panni da finta sposa!".
Un mar di ragli da quegli androni
montaron presto col vento in poppa,
sì da sedar financo due caproni.
"Rammentar dovete tal Padoa Schioppa
e il suo giusto metro di giudizio
che tasche ancor piangon la toppa".
Proprio il Gemelli l'altrui comizio
ruppe in un sorso puntando il dito:
"Voi e quel Fini di fascio indizio,
tricolor fiamma avete ambìto,
allor già gonfi codesto foco
sì che il suo corpo venga ben fritto".
"Credete a me, la vampa è poco",
montò poi il Cancro con voce sdegna
"per chi com'egli fece trasloco
d'ardimentosa littoria insegna.
Mussolin Padre schiumar potrebbe
dal fiero avello dov'ancor regna".
Nomato l'avo che in ver andrebbe
sul deretano battuto a calci,
il re dei segni come un sol crebbe:
"A nostalgia e piangenti salci
uso non sono, Leon m'appellano,
ma non sognate martello e falci,
quanto bastoni ch'omo randellano".
Testé dipinta l'atroce immago,
silenzio fuse nei cor chi svelano
d'esser capaci tant'è un gran lago.
Libra sempr'equa fu quelle notti
quando ferirono con man da Iago
fedel scudiero a sinistri motti:
tal Turigliatto da Vespa evaso,
che tanta pena die' a Bertinotti.
Sottrar ei volea da sotto il naso
preziose gemme e danar sonante
a chi quel lusso non ebbe a caso.
Golosa sempre di futil contante,
intonar volle la Virgo astrale
dolce peana come adorante
a quella femmina assai regale
che al Pecoraro gridò "finocchio":
"La donna è nobil, mai vien banale,
se Santanché ella porta sott'occhio.
Qual Rosi Bindi giammai pudica
in sua divisa non v'è mai accrocchio".
"Possiam ben dire ch'è una gran fica!"
sbottò ridendo il viril scorpione.
E il sagittario senza fatica
gli venne appresso con n'orazione:
"Vagheggiar sol posso i gran bei giorni
pria che'l senatur frenasse ormone.
Or egli può solo contar gli storni,
unico uccel a non romper l'fido".
Così rizzato, da quegl'intorni
il Capricorno lanciò un gran grido,
che'l spirto nostro rapprese in cera.
"Domani è l'giorno in cui vi sfido
a votar Ferrando, quel Barbanera,
ancor di falce porta il baluardo,
che sol la gabbia è sua galera!".
Aspro strillando di cotal stendardo,
la terra sotto cedette al mare
e coprì l'acqua il novello bardo.
Passando cheto come a scrutare
chi da Morfeo occhio è rapito,
l'Acquario cenno mosse a frenare
il frate Pesci, bensì più ardito.
Già rosso sangue mostrava gli occhi,
stille infernali ch'ei avea carpito
dal re dell'Ade: "Non siano sciocchi
- fec'ei d'un tratto mirando al volgo -
quelli che'l voto danno ai pidocchi.
Fuorché Di Pietro altro non accolgo!".
Al fin tediato d'inutil favelle,
da tutti i segni l'pensier distolgo,
quasi a dir loro: "Nessun eccelle".
Allora mesto voltai la schiena,
con viril promessa: mai più le stelle!
Fabio Acca
nero_rosso@email.it
o mamma...lunga.... domani torno a leggere, ché mi pare gustosa!
RispondiEliminaora crollo...:-)
ciao Al
stupendamente arguta.... complimenti!
RispondiElimina...cioè...non so...bella però
RispondiEliminaBuon compleanno,arguta Skip!
un poema
RispondiEliminaMolta carina.
RispondiEliminaIn effetti la scelta e' quella che e'...
ciao e buon we
Acc... il problema è concentrarsi abbastanza per leggerla! un po' ostica, ma alla fine... una figata!
RispondiEliminaUn delirio geniale! Ha 45 terzine come un canto dantesco, mamma! E finisce pure con la parola "stelle"...
RispondiEliminaskip
RispondiEliminaBuon compleanno anche da parte mia. Ciao.
Incredibile! Ma quanto tempo ha impiegato Fabio Acca a scrivere questo canto dantesco?
RispondiEliminagrazie per gli auguri :)
RispondiEliminaAnni arguti, skip..
RispondiEliminageniale, sì!
RispondiEliminaauguri, skip!
Ciao ragazzi, sono Fabio h, ci ho messo poco, kualche giorno... l'ho scritto in autobus, col cellulare, nel tragitto per andare a lavoro... uhauhauha!
RispondiElimina